Biloslavo e Carnieletto raccontano decenni di sistematico insabbiamento della memoria
«Verità infoibate» riporta alla luce pagine buie del nostro passato nascoste per troppo tempo, che in realtà affondano ancora nel presente grazie ad opportunismo politico, banale conformismo, paura di andare controcorrente o totale disinteresse.
Dal nuovo presidente americano che ammira Tito alla decorazione del Quirinale ancora appuntata sul petto del Maresciallo, fino alle foibe scoperte in Slovenia, la giustizia negata e gli oltraggi ai martiri delle violenze titine che riemergono puntualmente ogni 10 febbraio, giorno del Ricordo. In edicola da domani con il Giornale pubblichiamo alcuni stralci di Verità infoibate - Le vittime, i carnefici, i silenzi della politica, per non dimenticare una ferita aperta ancora oggi.
FOIBE, COLD CASE DELLA STORIA Piccole tracce sepolte dall'oblio della storia: frammenti di cranio, di tibie, di costole. Ce ne sono migliaia e rappresentano la memoria del sottosuolo, che si ostina a non dimenticare i crimini di guerra compiuti dai partigiani di Tito vincitori, dopo la fine del Secondo conflitto mondiale. La piccola e vicina Slovenia è il cimitero nascosto più impressionante d'Europa: una fossa o foiba ogni ventisette chilometri quadrati con una media di centotrentacinque vittime ciascuna. Una commissione governativa ne ha individuate 750. Tito ed i suoi sgherri, per spianare la strada alla Jugoslavia socialista, hanno massacrato un quarto di milione di persone, e non solo in Slovenia. Tutti prigionieri di guerra in stragrande maggioranza sloveni, croati e serbi, che hanno combattuto dalla parte sbagliata o civili, ma pure migliaia di italiani, spazzati via e nascosti per sempre nelle viscere della terra in nome di una pulizia multietnica e politica. In molti casi si cerca di dare un nome e cognome alle povere ossa. «Sono i cold case della storia», dice Paolo Fattorini, esperto di Dna in ambito forense e docente di medicina legale dell'Università di Trieste. «L'interesse scientifico è grande, ma non nego un coinvolgimento emotivo. Mia madre era un'esule istriana. Provare a identificare il numero più alto possibile delle vittime nascoste per tanto tempo serve a voltare pagina».
Prima pena di morte in Cina per uomo che tenta la fuga dalla quarantena
Prima pena di morte in Cina per uomo che tenta la fuga dalla quarantena
Prima sentenza capitale legata all’epidemia di coronavirus. L'uomo ha provato a forzare un posto di blocco e ha pugnalato a morte due funzionari
A tempo di record - persino per i giudici di Pechino - un uomo che aveva cercato di forzare un posto di blocco per fuggire da una delle città epicentro del virus, è stato condannato alla pena capitale. Si tratta della prima sentenza di morte emessa da un tribunale cinese, legata all’epidemia di coronavirus.
L’uomo è stato condannato nel fine settimana, per aver pugnalato a morte due funzionari in un posto di blocco istituito per contenere la diffusione del coronavirus all’inizio di febbraio, nel tentativo di fuggire dalla “zona rossa” e tornare al proprio villaggio. Un tribunale nella provincia sud-occidentale dello Yunnan ha emesso la condanna a morte del 23enne Ma Jianguo ieri, per il delitto avvenuto soltanto lo scorso il 6 febbraio, con insolita rapidità persino per un paese - la Cina – dove si usa dire che “il boia non va mai in vacanza”.
“Jianguo ha gravemente violato le leggi nazionali, proprio quando lo Yunnan era nella fase più critica di un’emergenza per la salute pubblica, ignorando le politiche di controllo dei virus” si legge nella motivazione della sentenza.
L’uomo stava viaggiando in macchina con un passeggero quando è stato intercettato a un posto di blocco che gli ha intimato l’alt. Secondo il tribunale, a quel punto il suo passeggero è sceso dall’auto e, ignorando i ripetuti avvertimenti dei poliziotti, ha cercato di rimuovere a forza le transenne che impedivano il passaggio dei veicoli, rifiutandosi di obbedire agli ufficiali che gli intimavano di non farlo. Un funzionario della contea, Zhang Guizhou, presente sul posto, ha estratto allora il suo telefonino per filmare quanto stava accadendo e documentare il rifiuto dei due di rispettare le disposizioni del governo. A quel punto il condannato, che secondo il racconto successivo dei poliziotti presenti dava la chiara impressione di trovarsi in uno stato di grande agitazione e in preda al panico, ha tirato fuori un coltello a serramanico e ha cominciato a pugnalare Zhang più volte al petto. L’uomo ha poi assalito anche Li Guomin, un funzionario distrettuale presente al checkpoint, che era intervenuto in soccorso del collega, accoltellando anche quest’ultimo ripetutamente. Sia Zhang che Li sono morti più tardi in ospedale per le ferite riportate.
“Nel tentativo di fuggire dalla quarantena imposta dalla Stato, il condannato ha causato la morte di due persone. Tale comportamento va considerato omicidio intenzionale ”, ha dichiarato in una nota la corte del popolo intermedio di Honghe Hani e la prefettura autonoma di Yi.
Tajani conferma il pieno appoggio a Draghi di FI-Udc: “Ci aspettiamo da lui risposte innovative”
”Abbiamo confermato al premier incaricato il pieno appoggio di Forza Italia, anticipato dal presidente Berlusconi stamane al telefono”. Sono state le prime parole di Antonio Tajani, vicepresidente di Fi, a nome della delegazione Fi-Udc, al termine delle consultazioni con Mario Draghi. ”Forza Italia farà la sua parte con un contributo di idee, programmi e progetti”, ha assicurato. Specificando ai cronisti di avere “consegnato al premier incaricato un documento con proposte su Recovery e vaccini. Ci attendiamo da Draghi risposte innovative”.
Tajani: “Ecco cosa ci aspettiamo da Draghi”
Forza Italia si aspetta un governo di ”alto profilo’‘, che coinvolga ”tutte le risorse della politica, dell’economia e della cultura, per affrontare insieme la più grande emergenza dal Dopoguerra”. Il vicepresidente di Fi, al termine delle consultazioni parlando in conferenza stampa, ha sottolineato la speranza sua e del partito per un ”governo dei migliori al servizio del’Italia e degli italiani”. No, dunque, alla ”nascita di una nuova maggioranza politica”.
Bannon svela la strategia dem contro Trump: sarà assolto ma vogliono macchiarne l’immagine
Ascoltare il guru dell’alt right statunitense Steve Bannon spiegare come i dem Usa intendono macchiare irrimediabilmente l’immagine di Trump pur sapendo che l’ex-presidente sarà inevitabilmente assolto dall’impeachment significa ripercorrere mentalmente l’infantile strategia dei dem di casa nostra, quel centrosinistra italiano incapace di esercitare la democrazia in maniera matura e ostaggio dei propri pregiudizi secondo i quali un avversario politico e, piuttosto, un nemico da annientare. Magari con l’aiuto di qualche toga che volentieri si presta.
Insomma a migliaia di chilometri di distanza il Dna dei dem è invariabilmente lo stesso, profondamente antidemocratico.
“I democratici hanno dalla loro un caso molto emotivo e convincente, cercheranno di condannarlo davanti agli americani e macchiarlo per sempre”, ragiona Steve Bannon intervistato da Politico parlando di Trump. E dando concretezza alla preoccupazione che il processo di impeachment della prossima settimana contro Donald Trump possa, al di là della scontata assoluzione, danneggiare in modo permanente l’immagine dell’ex-presidente. Come? Collegandola a quella dell’assalto al Congresso in cui sono rimaste uccise 5 persone.
Il timore è che il procedimento di impeachment, che sarà trasmesso in diretta televisiva, con i manager democratici che intendono usare come prove i video ed i filmati delle migliaia di persone che, con i cappelli rossi del Maga, prendevano d’assalto il Congresso, possa compromettere le future aspirazioni politiche di Trump e del suo movimento.
Per questo alleati e legali di Trump insistono nel continuare a negare la costituzionalità dell’impeachment di un presidente non più in carica, preferendo quindi contestare dal punto di vista formale il procedimento.
Il M5s è l'opposto di ciò che era. Ora a Grillo va bene lo "psiconano"
Il garante del Movimento parteciperà alle consultazioni. I Cinque stelle hanno introiettato quella realpolitik che avevano sempre condannato
Ormai è certo. Il garante Beppe Grillo guiderà la delegazione dei Cinque stelle che domani incontrerà il presidente incaricato Mario Draghi. E così l’ennesima giravolta del M5s è servita. Salvo, come pure la presenza di Davide Casaleggio a Roma fa ipotizzare, non si arrivi a una consultazione su Rousseau e a una stroncatura da parte della rete dell’ipotesi del M5s nel nuovo esecutivo. Si dirà che il Movimento di governo è maturato, è più responsabile. Si dirà che ha imparato il galateo istituzionale e, soprattutto, che ha bandito le reazioni di pancia. Insomma, niente più minacce di impeachment, ma rispetto delle istituzioni. Per carità, tutto è possibile. Ma la verità è che il M5s ha finito con l’introiettare, nel bene e nel male, quella realpolitik che aveva sempre condannato. E la partecipazione di Grillo alle consultazioni per un governo che, si sa, potrebbe avere un perimetro ampio di sostegni, incluso quello del sempre “odiato” Silvio Berlusconi, è forse l’ultima piroetta che non ti aspetti.
Che fine ha fatto, infatti, lo “psiconano”, come spesso il comico ligure apostrofava il leader di Forza Italia? E’ vero pure che anche il Cav non ha mai lesinato critiche ai Cinque stelle. E lo stesso potrebbe dirsi del Partito democratico che, alla fine ci ha fatto un governo insieme ai pentastellati. D’accordo. Tuttavia, nel caso del M5s fa davvero specie. E non, certo, per doppiopesismo. Sono i grillini, infatti, ad essersi presentati in Parlamento con un chiaro “pedigree” e con la sicumera di riuscire ad aprirlo come una scatoletta di tonno. Sono sempre gli stessi che, all’epoca delle consultazioni con Bersani presidente incaricato, pronunciarono (fu l’allora capogruppo alla Camera Roberta Lombardi, ndr) quel “sembra si stare a Ballarò”. E, invece, oggi tutti (la maggior parte, in realtà) alla corte di Draghi. Non fa nulla che fino a qualche ora fa il mantra era “o Conte o voto”, "mai con Renzi" e “mai con Draghi”. Il Movimento, che ci ha abituato al suo essere concavo e convesso, è riuscito anche a spiegare l’ennesima piroetta. Come? Le parole magiche per entrare in partita, di sicuro non per ricompattarsi al suo interno, sono state “governo politico”.
L’ambasciatore Usa a Roma Eisenberg, ‘la Cina è pericolosa’, ‘l’Italia è un esempio nella lotta al Covid’
L’ambasciatore statunitense a Roma, Lewis Eisenberg, ha rilasciato un’intervista all’AdnKronos, gentilmente concessa a Notizie Geopolitiche, in cui tocca vari temi, dalla sfida lanciata dalla Cina al coronavirus, alla Libia. “Cosa mi porterei via dall’Italia? La gente. E avrei voluto incontrare è Leonardo”.
– Ambasciatore Eisenberg, quale opinione ha circa il possibile cambio di posizione del governo italiano rispetto all’azienda cinese che dovrebbe sviluppare il 5G nel nostro Paese e alla richiesta del ministro degli Esteri Luigi Di Maio di “un perimetro di sicurezza cibernetico europeo”?
“Aspettiamo di vedere come si procederà esattamente, ma per noi Huawei rappresenta una minaccia alla sicurezza. I cinesi, il Partito comunista cinese, avrebbero accesso al nucleo dei loro centri nevralgici. E noi non possiamo permetterci che agli scambi così importanti che abbiamo con l’Italia attraverso ogni canale possa avere accesso un’altra parte”.
– La Cina tuttavia rappresenta una sfida, per quanto bollata nei giorni scorsi dal segretario di Stato Mike Pompeo come “una nuova tirannia”..
“La Cina è un Paese interessante, generalmente è definito pericoloso per le sue azioni. Hong Kong è un buon esempio di un’azione intrapresa dalla Cina per cui il Paese può essere definito molto pericoloso, non è il popolo cinese, ci sono 1,3 miliardi di cinesi”. Ma “c’è il Partito comunista cinese che intraprende azioni nel Pacifico per assumere il controllo di isole che sono territorio internazionale, che viola l’accordo che il Regno Unito aveva con la Cina su Hong Kong, che attua il furto di proprietà intellettuale, causando danni economici ad altri Paesi: tutto questo la rende pericolosa”.
– Ritiene quindi pericolose le azioni della Cina nello scenario internazionale?
“Ce ne è abbastanza che possa essere portato come prova dall’Italia, da altri Paesi europei, dagli Stati Uniti, nell’ambito dell’Organizzazione mondiale per il commercio e dell’Organizzazione mondiale della sanità, dove la presenza cinese finisce per creare svantaggi ad altri membri di queste organizzazioni”. La Cina, “rappresenta un pericolo significativo, ma speriamo ci sia un’opportunità per cambiare il modo in cui opera, in modo che ci sia un soggetto che partecipa in modo costruttivo allo stato di diritto a cui aderisce il resto del mondo”.
Rimedi per alta pressione: come curare la pressione alta, cure e rimedi
Che cosa è l’ipertensione?
Definita come ipertensione, la pressione alta è la più comune malattia cardiovascolare.
La pressione del sangue è l’intensità della forza del cuore mentre pompa il sangue contro le pareti delle arterie e dei vasi sanguigni.
Così come avviene quando si gonfia un pallone di gomma, il sangue riempie le arterie fino a un determinato livello. La presenza di una eccessiva pressione di aria può danneggiare il pallone di gomma e, allo stesso modo, l’alta pressione sanguigna può creare danni alle arterie, favorendo eventi letali quali l’ictus o gravi episodi cardiaci.
La pressione alta non si manifesta con dei sintomi; è necessario effettuare la misurazione della pressione arteriosa per verificare una possibile condizione di ipertensione.
Quando la pressione sanguigna è definita alta
Quando si soffre di pressione arteriosa alta gli effetti nocivi sulle condizioni di salute, in generale, tendono ad aumentare coinvolgendo i vasi sanguigni, l’apparato renale e il cuore.
Per prevenire possibile complicanze a questi organi vitali, è importante che la pressione sanguigna registri valori che siano pari o minori a 120/80 mm. Hg.
Il primo valore, 120 mm. Hg., è il più alto e corrisponde alla pressione sistolica; il secondo, invece, 80 mm. Hg., il più basso, indica la pressione diastolica.
Se dopo avere svolto attività fisica si misura immediatamente la pressione, molto probabilmente, questa registra valori leggermente superiori a quelli normali; ma si tratterebbe, comunque, di una situazione che rientra nella norma dal momento che è naturale l’aumento e la diminuzione della pressione arteriosa in funzione della attività fisica che viene svolta e dello stato emotivo.
Ed è anche normale che i valori della pressione del sangue varino da soggetto a soggetto.
LA NOSTRA STORIA Il Mito biancoceleste: Giorgio Chinaglia
Il 24 gennaio 1947 a Pontecimato, frazione di Carrara, nasceva l’attaccante più forte e più amato che abbia mai indossato la maglia della Lazio: Giorgio Chinaglia.
Giorgio Chinaglia frequenta la scuola cattolica St. Peter’s e poi la Lady Mary grammar school. Qui conosce l’allenatore della squadra di rugby della Lady Mary che gli propone di allenarsi con loro. È il padre a rifiutare affermando che un italiano deve giocare solo al calcio. E così Giorgio inizia a giocare a pallone. Dopo poco tempo viene inserito sia nella squadra scolastica di calcio che in quella di rugby. Intanto il padre, dopo anni di sacrifici, abbandona la fabbrica ed apre un ristorante, il ‘Mario’s Bamboo Restaurant’, ricavandone ottimi profitti. Oltre a frequentare la scuola e il campo di allenamento la sera aiuta facendo il cameriere o lavando i piatti.
Il pallone però è il suo credo: segna reti a grappoli e un osservatore del Cardiff City gli propone di presentarsi a un provino ma Chinaglia rifiuta di farlo. È lo Swansea a portarlo nelle sue giovanili e Giorgio inizia la sua carriera. Aiutato dalla fortuna a causa di una decimazione dei titolari dovuta a infortuni e squalifiche viene convocato esordendo in una gara di Football League Cup contro il Rhotheram non ancora sedicenne. Solo l’anno dopo contro il forte Portsmouth farà la sua seconda apparizione in prima squadra. Nel 1966 però il club, non credendo nelle sue qualità, lo lascia libero. Il padre, che nel frattempo si trovava in vacanza a Massa, era riuscito a trovare un accordo con la Massese. L’esordio di Giorgio Chinaglia nel calcio italiano avviene proprio in un’amichevole contro la Lazio pareggiata per 2-2, dove realizza anche una rete di tacco.
I territori persi dall'Italia dopo la II guerra mondiale
I trattati di Parigi furono dei trattati di pace firmati nella capitale francese il 10 febbraio 1947 dopo la fine della seconda guerra mondiale.
La sottoscrizione dei trattati fu preceduta da una conferenza di pace che si svolse parimenti a Parigi, tra il 29 luglio e il 15 ottobre 1946 durante la quale ci fu il memorabile discorso del nostro primo ministro Alcide De Gasperi tra il freddo ed ostile atteggiamento dei rappresentanti delle potenze vincitrici. Il suo discorso fu fermo e dignitoso, indicando le nuove linee della politica estera italiana in termini democratici ed europeistici. De Gasperi volle separare la responsabilità morale del popolo italiano da quella del regime fascista, chiese una pace giusta, non punitiva, fondata sui valori della libertà politica, della democrazia, della libertà dal bisogno.
Il suo appello non ebbe, tuttavia, l'esito sperato. Il Trattato di pace, sottoscritto dai rappresentanti italiani il 10 febbraio 1947, impose all'Italia clausole pesanti. La forza dell'esercito veniva limitata a 165.000 soldati e 65.000 carabinieri; l'aviazione non poteva superare 25.000 uomini e 350 aerei; anche la marina era ridotta a 25.000 uomini e un tonnellaggio notevolmente ridimensionato. Le unità eccedenti venivano assegnate ai paesi vincitori, anche se Gran Bretagna e Stati Uniti rinunciarono, dopo la ratifica del Trattato, alle loro quote.
Le clausole finanziarie prevedevano pesanti riparazioni che l'Italia avrebbe dovuto versare ai paesi con i quali era entrata in conflitto. In particolare appariva particolarmente onerosa la richiesta di 600 milioni di dollari da parte dell'Unione Sovietica, successivamente, ridotte a 100 milioni di dollari.
Fra Grecia e Troika: gli scheletri nell’armadio di Draghi
La politica, soprattutto quando si trova ad affrontare crisi di governo, assume accelerazioni schizofreniche. Ma ora, con l’irrompere sulla scena pubblica di Mario Draghi, tra i protagonisti più rilevanti, forse il più importante, della recente storia europea, la frenesia è elevata al diapason.
L’apparato mass-mediatico si è già attivato per diffondere messaggi di idolatria sociale e disseccate formule di culto della personalità; in questo contesto, la principale preoccupazione di Kritica Economica è allora quella di garantire che ci sia un confronto serio sulla sua visione del mondo e del sociale.
Questo articolo vuole scandagliare il rapporto di Draghi con la democrazia e come questo rapporto si è realizzato concretamente nel corso degli anni: portiamo l’attenzione del lettore ai giorni della crisi greca, che rappresenta ancora oggi il principale punto di rottura e di non-ritorno per la vita politica europea. Perché è proprio in quella fase che il politico-Mario Draghi si è messo per la prima volta all’opera.
Il 25 gennaio 2015, Syriza, una coalizione che teneva uniti i movimenti della sinistra radicale greca, vince le elezioni. Il popolo greco è stremato dall’austerity e dalle dure condizioni imposte dalla firma dei due precedenti bailout. Il leader della coalizione che ha vinto le elezioni, Alexis Tsipras, ha ricevuto il preciso mandato elettorale di trovare un accordo con le istituzioni europee: ristrutturazione del debito, un surplus del bilancio primario dell’1,5% fisso, una banca per lo sviluppo invece delle privatizzazioni a prezzi stracciati, una bad bank pubblica per gestire i crediti deteriorati delle banche e tanto altro.
Il mistero di Federico Caffè, il maestro di Draghi scomparso nel nulla e mai ritrovato
Sul comodino di Federico Caffè vennero ritrovati il suo orologio, le chiavi, gli occhiali, il passaporto e il libretto degli assegni. Nessuna traccia, a parte qualche avvistamento, l’incontro che racconterà un allievo e una sfilza di ipotesi che non porteranno mai a una soluzione. Alle 5:30 del 15 aprile del 1987, un mercoledì, l’economista e accademico abruzzese usciva dalla sua casa sulla Balduina, a Monte Mario a Roma, e spariva nel nulla. Non è stato più ritrovato. Un nuovo caso Ettore Majorana, quarant’anni dopo la scomparsa del geniale fisico siciliano su un piroscafo da Napoli a Palermo. Alla Facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma si conservano ancora la libreria e la scrivania di Caffè, economista e pensatore tra i più influenti e brillanti della sua generazione, maestro anche dell’ex Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi.
Quando la notizia della scomparsa cominciò a circolare gli studenti, gli assistenti, gli amici setacciarono Roma per ritrovare l’accademico. Caffè aveva 73 anni, alto 1 metro e cinquanta. Si aspettò qualche giorno per portare il comunicato all’Ansa: per non generare troppo scalpore. L’accademico era nato a Pescara, figlio di una famiglia di modeste condizioni economiche. Si era laureato con lode alla Sapienza in Scienze economiche e Commerciali. Allievo di Guglielmo Masci e Gustavo Del Vecchio, studiò alla London School of Economics a Londra, e lavorò alla Banca d’Italia prima di insegnare a Messina, Bologna e all’Università di Roma fino alla pensione. Fu anche attivo nell’editoria, per Laterza, e nel giornalismo, soprattutto per Il Messaggero e Il Manifesto. Da sempre attento al tema del welfare, divulgatore del pensiero degli economisti svedesi, profondo conoscitore delle politiche di John Maynard Keynes. Era definito infatti “il più keynesiano degli economisti italiani”.
Draghi, carriera a luci ed ombre. Truccò il bilancio della Grecia
Il banchiere che prima affosso l'Italia (con le privatizzazioni) e la Grecia e poi le salvò alla Bce, evitando il fallimento dell'euro con il bazooka
Di Mario Draghi si è detto e scritto tutto il possibile. Da una parte l’uomo che ha salvato l’euro, dall’altra l’espressione dei poteri forti che rispondono di volta in volta al nome di Gruppo Bilderberg, Goldman Sachs, arrivando alle teorie più bislacche che annoverano la massoneria globale e il NWO (che sta per New World Order).
La verità è che Mario Draghi è forse il meno italiano tra i potenti del nostro Paese. Prima di tutto, perché ha uno standing internazionale riconosciuto. Tant’è che è bastato fare il suo nome – il governo arriverà, stiamone pur certi – perché lo spread precipitasse e le borse brindassero. Equita ha già fatto una lista delle azioni da acquistare sotto l’esecutivo del Divino.
I Cinque Stelle stanno facendo i Pierini ma si sono autoesclusi da qualsiasi logica di potere, dimostrando una volta di più che le scuole (quelle di politica o le università più prestigiose) sfornano élite proprio perché sono esclusive e permettono una selezione che l’uno vale uno ha scaricato con lo sciacquone. Ma dunque, chi è Mario Draghi?
Matteo Salvini, l'orrore del militante de "La Sinistra": imbavagliato come Aldo Moro. "Non succede, ma se succede..."
Un grave episodio di violenza quello che ha coinvolto il leader della Lega Matteo Salvini. Il segretario del Carroccio, infatti, è finito nel mirino di Federico Pinelli, un militante genovese de 'La Sinistra - Liguria'. Pinelli, sul suo profilo Facebook, ha pubblicato un post choc: una foto che ritrae il leader leghista imbavagliato e con la bandiera delle Brigate Rosse alle spalle. A incorniciare il terrificante fotomontaggio, questo commento: "Non succede… ma se succede…”, seguito dal pugno chiuso. A denunciare lo spiacevole episodio è stato Edoardo Rixi su Facebook.
"Un atteggiamento che richiama subito alla memoria il rapimento del presidente Aldo Moro - ha scritto il leghista -. Il post è comparso sul profilo del militante genovese intorno alle 23 e nel corso della notte è stato cancellato". Probabilmente è stata capita - a scoppio ritardato - l'assoluta gravità del fatto. Rixi, poi, ha parlato anche della "evidente militanza di Pinelli", che emerge dalla pagina Facebook de La Sinistra - Liguria. "Un post che inneggia e promuove la finalità del terrorismo degli anni di piombo nei confronti di un leader democraticamente eletto e che oggi rappresenta il primo partito in Italia", ha continuato il rappresentante della Lega.
Infine Edoardo Rixi ha lanciato un appello: "Ora ci attendiamo da stampa, Digos e magistratura di Genova la stessa attenzione riservata ad altri fatti dei giorni scorsi con indagini sull'autore del gesto e una forte presa di posizione contro il terrorismo rosso, senza fare pesi e misure diversi". Un invito a intervenire il prima possibile per condannare l'orribile post. E ancora: "Auspichiamo un serio dibattito sull’odio e l’istigazione alla violenza che trovano spazio sui social, con indagini vere e approfondite sull'autore di questo gravissimo gesto".
Piazza Pulita, Tito Boeri fa a pezzi Arcuri su Covid e vaccino: qual è stato l'errore più grave del commissario
Tito Boeri, professore di Economia ed ex presidente dell’Inps, in collegamento con “Piazza Pulita”, il talk sull’attualità condotto da Corrado Formigli su LA7, giovedì 4 febbraio, ha criticato la gestione del commissario Arcuri all’emergenza Covid-19: “Accentramento di potere sbagliato” e sul Recovery Fund: "Dal Conte ter un compitino".
Tito Boeri non ha usato mezzi termini per bocciare la campagna vaccinale del commissario Arcuri: “In base alle sue previsioni, occorrono 500.000 somministrazioni al giorno e siamo molto lontani. Questa campagna vaccinale rappresenta un impegno senza precedenti e la gestione deve essere centralizzata, serve l’aiuto della Protezione civile, non può essere lasciata in mano alle Regioni. Arcuri ha accentrato su di sé troppe cose e non riesce a seguire tutto. Sono stati fatti molti errori su approvvigionamenti e sui vaccini, questo accentramento di potere mi sembra pericoloso”.
Su Mario Draghi, l’economista ha spiegato: “E’ importante che abbia un’agenda e questo è tutt’altro che scontato. Ha sempre dimostrato di avere una visione delle cose che vanno fatte, saprà adattarsi alle circostanze e valuterà i vincoli. Ha un progetto a differenza dei Governi che lo hanno proceduto. Se il Recovery Fund va riscritto? L’impressione del piano nazionale per la ripresa del Conte due era l’impressione di un compitino fatto per assolvere le direttive dell’U.E., cioè raggiungere il 21% minimo. Era un insieme di progetti poco coordinati e senza riforme. Queste risorse servono per le riforme che devono far ripartire l’Italia. L’unica parte dettagliata è sulla giustizia, il resto è sommario e vago. E poi non è stato risolto il problema della Governance: non si sa chi fa cosa e questo è grave. La scelta di chi fa cosa è legata ai contenuti del piano stesso. Altra mancanza è la riapertura delle scuole. La scuola è il principale ascensore sociale e il problema è stato affrontato in modo superficiale. Chiuse mentre discoteche e ristoranti venivano riaperti, è un errore grave che ci trascineremo per anni”.
Mario Draghi incontra i partiti. Matteo Salvini: "Nostri ministri? O ci sei o no"
"Oci sei o non ci sei, non è il momento di cose strampalate come l'appoggio esterno ad un esecutivo Draghi. Il messaggio di Matteo Salvini fuori dal Senato arriva forte e chiaro: nel governo di SuperMario il leader della Lega ci vuole stare ma soltanto con dei ministeri. "Noi alla richiesta del presidente della Repubblica rispondiamo che ci siamo" per il tentativo di formare un governo Draghi, che domani incontrerà la delegazione della Lega. "Se poi non ci fossero le condizioni, lo ringraziamo e stiamo all'opposizione - precisa Salvini - ma l'intenzione è di partecipare da primo partito del Paese". Insomma ci dovrebbero essere ministri della Lega nel prossimo esecutivo? "Non facciamo le cose a metà. Se ci siamo, ci siamo. Altrimenti, diamo una mano dall'opposizione, come abbiamo fatto nell'ultimo anno e mezzo" dichiara il leader della Lega
“Le Monde” infierisce su Conte: Giuseppi, chi era costui? “Gli italiani non l’hanno ancora capito”
Come tutta la stampa estera, oggi Le Monde ha dedicato ampio spazio alla crisi italiana. E con buona pace di chi sostiene o più semplicemente si limita ad avanzare dubbi sui legami finanziari della testata, che punterebbero ad alterare la neutralità del giornale, ci va giù piatto. Sia nel commentare con enfasi l’incarico a Draghi. Che nell‘infierire sul suo predecessore dimissionario: Conte.
“Le Monde” infierisce su Conte al tappeto
«Draghi alla riscossa per trovare uno sbocco alla crisi politica», scrive allora oggi il quotidiano d’oltralpe che ha dedicato ampio spazio alla crisi italiana. Una realtà che Le Monde descrive impietosamente al lumicino, anche parlando del nuovo presidente del consiglio incaricato come «l’uomo cui si attribuisce il salvataggio della zona euro nel 2012 in piena crisi del debito. Chiamato al capezzale di uno dei suoi anelli deboli: l’Italia». Mentre liquida la questione Conte – a cui il quotidiano francese dedica un ritratto dal titolo emblematico: “Giuseppe Conte, o i limiti del trasformismo politico” – scrivendo che, anche «dopo le sue dimissioni da presidente del Consiglio, gli italiani ancora non hanno capito chi sia veramente»…
PiazzaPulita, la denuncia di Pierpaolo Sileri: "Il collega che mi ha dato del mongoloide"
Un racconto inquietante, quello di Pierpaolo Sileri a PizzaPulita, il programma di Corrado Formigli su La7. Il grillino e viceministro della Salute, infatti, racconta dell'orrore subito dopo un'altra comparsata in televisione. Un orrore composto da insulti e minacce di morte, denunciato dal grillino sui social. Il tutto per alcune prese di posizione su coronavirus, vaccini e dintorni. Insomma, vietato dire quel che si pensa. Ma a rendere ancor più grave la vicenda, il fatto che le minacce siano arrivate anche da parte di un collega.
Interpellato da Formigli, Sileri spiega: "Qualcuno ha fatto dei commenti strani. Qualche altro collega ha fatto di peggio - rimarca -. Uno, credo sia un fisiatra, mi ha dato del mongoloide. Puoi dirmi tutto ma non puoi usare una parola del genere, ci sono persone che soffrono e famiglie con disabilità. Un professionista sanitario che usa parole del genere fa semplicemente schifo e non è degno della professione sanitaria", picchia durissimo Sileri.
In un altro segmento della trasmissione, Sileri ha detto la sua sui contratti fatti dall'Italia sui vaccini. Contratti difesi dal viceministro, che ha spiegato: "I contratti sono stati fatti bene e a livello europeo. È stato però sbagliato non renderli pubblici, questo ha alimentato dietrologie e quant'altro. Era prevedibile che ci sarebbero stati problemi di produzione, chi lavora nell'ambiente sa che in questi ambiti può esserci sempre qualcosa che non funziona", conclude Sileri.
Governo Draghi, basta con bonus e ristori: agli italiani servono opportunità
Ha detto poco e ascoltato molto il premier incaricato Mario Draghi al battesimo delle consultazioni con i gruppi politici. Ma una cosa è stata chiara, ed è il titolo del suo programma che ha ben chiaro in testa: “Opportunità, non sussidi”. Uno stacco radicale da questa prima parte della legislatura. E quella parola, “opportunità”, è spuntata in ogni incontro che il futuro presidente del Consiglio ha avuto ieri con i primi- i più piccoli- gruppi parlamentari. Opportunità sono i posti di lavoro da creare, invece di sussidiare inutilmente la chiusura finta delle aziende. Opportunità sono gli investimenti da fare con quello che ancora qui viene definito “Recovery plan”, ma che si chiama proprio per questa caratteristica “Next generation Eu”.
Opportunità - così ha detto Draghi - offerta anche dal piano di vaccinazioni che serve non solo a salvare vite umane, ma a rimettere sui giusti binari il ciclo economico, che finché gli italiani non diventano immuni e ogni attività può riaprire non può camminare. Opportunità è la scuola e la formazione dei giovani pensando al rapporto con le imprese e il mondo del lavoro. Sembrano cose banali, ma è una rivoluzione copernicana rispetto ai tempi che abbiamo vissuto, densi di sussidi finanziati solo per pochi mesi senza sbocco, o di bonus che non sono manco costati troppo perché erano così inutili che gli italiani li hanno pressoché ignorati (infatti quegli stanziamenti sono stati de finanziati e utilizzati per pagare i mini-ristori).
Ai piccoli gruppi parlamentari è piaciuto molto quel poco di Draghi che hanno potuto sentire ieri. Perfino Vittorio Sgarbi che è caustico nei confronti di chiunque, si è sciolto: “Sono rimasto colpito”, ha spiegato, “dalle parole di inizio programma che ci ha detto Draghi perché ha parlato di comportamenti depressivi da vincere di persone che sono state colpite da profonda malinconia e di rinuncia non potendo lavorare e ha prospettato la necessità non di assistere attraverso provvedimenti simili al reddito di cittadinanza ma di dare lavoro, mettere le aziende in condizioni di ripartire. Mi è sembrato entusiasmante, credo avrà molto successo”. E pure Draghi si è un po' sciolto davanti al critico d'arte che spiegandogli la necessità di riaprire teatri cinema e musei anche nel week end, ha premuto senza accorgersene lo schermo del telefonino che aveva in mano accendendo un faretto: “Sgarbi che fa?”, ha sorriso il glaciale premier incaricato, “mi sta mica filmando con il suo telefonino?”. Risata generale.
Meloni: “L’Italia non è una democrazia di serie B, il popolo ha diritto di scegliere”
“L’Italia non è una democrazia di serie B, il popolo ha diritto di scegliere e di farlo soprattutto nei momenti di difficoltà”. Giorgia Meloni continua a ribadire che il voto è “la strada maestra” per uscire dalle secche di questo momento. “Non condivido la scelta del Presidente della Repubblica di aver escluso il voto”, ha chiarito, assicurando che “continuerò a fare quel che posso per lavorare a uno scenario che porti l’Italia al voto“.
Meloni: “L’Italia non è una democrazia di serie B”
Ospite prima a La7 e poi a Rai2, la leader di FdI ha chiarito di non avere “nulla contro Draghi”. “Ma – ha precisato – è una scelta che non mi sento di avallare“. Già nel corso della giornata Meloni aveva chiarito che “non c’è alcuna possibilità di una partecipazione o anche di un sostegno da parte di Fratelli d’Italia al governo Draghi”. Una posizione che necessita di una mediazione all’interno del centrodestra, dove le sensibilità sono diverse, ma c’è in tutti la ferma intenzione di lavorare compatti per dare stabilità al Paese. Per questo Meloni, pur ribadendo che “per noi l’unica strada restano le elezioni”, ha voluto proporre l’opzione dell’astensione. “Mezzo passo verso l’altro è l’astensione, ma solo – ha chiarito a La7 – se tutto il centrodestra fa la stessa scelta”.
La "sentenza" di Cacciari "Vi dico perché Draghi è la soluzione perfetta"
In una intervista a La Stampa il filosofo Massimo Cacciari ha ricordato il ruolo di Draghi alla Bce e ha lanciato una stoccata a Giuseppe Conte
L’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi certifica in modo definitivo il "decesso di un ceto politico incapace di tutto". È netto il giudizio di Massimo Cacciari sugli sviluppi della crisi di governo.
Anche su questo tema, infatti, il filosofo non si fa particolari problemi a parlare in modo diretto non risparmiando critiche, anche piuttosto dure, non solo alla nostra classe politica ma anche al premier dimissionario Giuseppe Conte.
In una intervista alla Stampa, l’ex sindaco di Venezia mette subito le cose in chiaro: "La statura internazionale di Draghi non si discute. Il bene che ha fatto alla Patria, chiamiamola ancora così, è evidente. Se in questi anni ci siamo salvati è perché Draghi era alla Bce dove è riuscito a resistere agli assalti di tutte le destre del mondo".
Non solo Covid e vaccini, Draghi si deve “smazzare” tutti i flop di Conte. Ecco i dossier più spinosi
Non solo lotta alla pandemia, vaccini e tenuta sociale, con lo snodo critico della fine del blocco dei licenziamenti, come indicato dal Presidente della Repubblica. Mario Draghi, qualora dovesse formare un suo governo, si troverebbe sul tavolo anche altri e complessi dossier. Si tratta di una lunga lista di questioni cruciali lasciati irrisolte dal governo Conte, tra lotte interne e incapacità: dalla Rete unica, all’Ilva, da Alitalia, ad Autostrade, fino al tasto delicatissimo delle nomine.
Tutti i dossier sul tavolo di Draghi
Anche su questo terreno si dovrà misurare, eventualmente, il presidente incaricato, che per ovvie ragioni nel suo breve discorso dopo l’incontro con Mattarella si è limitato a riepilogare gli obiettivi immediati elencati dal capo dello Stato, aggiungendo di suo solo il riferimento a Recovery Plan, con il richiamo “al futuro delle giovani generazioni e al rafforzamento della coesione sociale“. Questioni che, però, si giocano non solo sulle “risorse straordinarie dell’Ue”, ma anche sui nostri asset strategici interni.
Long Covid, uno su tre ha sintomi anche dopo sei settimane
Che il Covid-19 lasci strascichi significativi per lungo tempo dopo aver superato la sintomatologia più o meno severa ed essersi negativizzati è stato confermato da numerosi studi nel corso del mesi. Adesso una nuova indagine, pubblicata sugli Annals of Internal Medicine, ha scoperto che circa un terzo dei pazienti che hanno ricevuto un test positivo al Sars-CoV-2 continuano ad accusare sintomi anche dopo sei settimane dalla formale guarigione, cioè dal o dai tamponi negativi.
I punti importanti del lavoro dell’università di Ginevra sono un paio.
Primo, questi strascichi riguarderebbero anche persone senza particolari patologie pregresse. Il secondo è la varietà di questi sintomi persistenti: si spazia infatti dalla stanchezza duratura al dolore al petto, senza contare (ma non sono queste le rilevazioni dello studio ginevrino) i danni ai polmoni – come ha confermato un altro studio su 10 pazienti condotto dai ricercatori dell’università di Oxford con una nuova tecnica di scansione – e quelli neurologici di cui molto si parla negli ultimi tempi. Secondo un altro studio ancora, stavolta tedesco, il virus riuscirebbe infatti a insinuarsi nel cervello delle persone passando attraverso il naso, più precisamente attraverso le cellule dell’epitelio olfattivo a cui si lega e con le quali può viaggiare lungo le fibre nervose, gli assoni, che collegano i neuroni periferici al cervello. Lo fanno anche diversi altri virus come Herpes simplex 1 o Varicella Zoster, che transitano dagli epiteli ai nervi della spina dorsale o del trigemino.
Il long Covid, insomma, è una realtà di cui i medici dovranno prendere maggiore consapevolezza. Sono infatti ancora troppo pochi i percorsi terapeutici follow up specifici, che accompagnino e monitorino i pazienti una volta considerati guariti e dimessi. Secondo il gruppo di medici ed epidemiologi svizzeri – che ha esaminato i dati di 700 persone con test positivo, anche asintomatiche, di età media 43 anni e che al momento della diagnosi non erano in gravi condizioni – circa un terzo delle persone ha continuato ad accusare uno o più sintomi anche dopo sei settimane. Lo studio non si è lanciato oltre i 45 giorni di monitoraggio: potrebbe quindi anche darsi che i disturbi siano durati di più. Fra i pazienti il 70% non aveva particolari fattori di rischio. Per cui se la Covid-19 può manifestarsi in modo più o meno severo, o anche non manifestarsi del tutto, al culmine dell’infezione, le conseguenze che lascia dopo la negativizzazione riguardano una bella fetta di positivi, fra i quali quelli che al momento della positività avremmo definito asintomatici.
Palamara agli ex-colleghi: giochiamo a “Perfetti sconosciuti”, mettiamo tutti i cellulari sul tavolo
Li sta torturando da giorni con la sadica strategia del gatto e del topo, li sta mettendo alla berlina di fronte all’opinione pubblica con proposte irricevibili e imbarazzanti: Luca Palamara, espulso dai suoi colleghi come se fosse un rifiuto prosegue nella sua vendetta quotidiana cucinandoli a fuoco lento.
L’ultima proposta del gatto ai topi ora è questa: “giochiamo come nel film “Perfetti sconosciuti”. E mettiamo sul tavolo i telefoni. Condividiamo le chat degli attuali consiglieri, che so io, le conversazioni risalenti ai giorni in cui si decideva il procuratore capo di Roma o qualcuno si autocandidava come procuratore aggiunto o procuratore generale della Corte di Cassazione”.
Si può solo immaginare i commenti che, in queste ore, stanno arroventando le chat dei vertici dell’Anm, indispettiti dalla provocazione di Palamara. Che, intervistato a LaChirico.it, sulle sue conversazioni telefoniche, anche privatissime, squadernate sui giornali, replica: “Non me ne sono accorto oggi, già agli inizi della carriera ricordavo che una delle libertà fondamentali è la segretezza della corrispondenza. Se vogliono usare le mie chat, io dico: giochiamo come nel film “Perfetti sconosciuti”.
Il ragionamento è talmente semplice che lo capirebbe anche un bambino: “il responsabile del ‘sistema’ non sono soltanto io”.
Che ci sia un prima e un dopo-Palamara, come se fossero due ere geologiche diverse e distanti, non c’è dubbio. Che tutto questo disastro, poi, possa davvero sfociare in un cambiamenti degli equilibri fra i poteri dello Stato riportando quello giudiziario nel giusto alveo previsto dalla Costituzione, è tutto da vedere.
ILCORTO.EU
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