Lo spettro di un altro scisma tedesco aleggia sul Vaticano e quindi su Papa Francesco. Lo scrive in prima pagina La Repubblica, che indica nel cardinale Reinhard Marx e nel monsignor Georg Batzing i capofila di questa spinta che arriva dalla Germania. Dove l’accusa a Bergoglio è di aver frenato la riforma della Chiesa, suscitando il malcontento del fronte più progressista, che sembra minacciare una sorta di scisma a sinistra. Secondo La Repubblica tutto ciò prenderà forma in un documento che i vescovi tedeschi stanno elaborando a conclusione del sinodo nazionale: i principali terreni di scontro sono essenzialmente due e riguardano il sacerdozio femminile e la benedizione delle unioni omosessuali. Dal Vaticano filtrano indiscrezioni secondo cui Papa Francesco non farà nulla per esasperare la situazione o comunque alimentare le divisioni quando arriverà il documento tedesco: né condanne né ratifiche, scrive La Repubblica, probabilmente si tenteranno nuovi contatti, dopodiché toccherà ai vescovi tedeschi decidere cosa fare. Di certo c’è che Bergoglio non ha alcun interesse a realizzare uno strappo così doloroso, soprattutto in un momento delicato tra gli scandali finanziari e le riforme in cantiere.
Consiglio dei ministri non conosce coprifuoco. Ci si vede di sabato, quando il sole è tramontato, come al solito dopo cena, replicando lo schema dei giorni cupi di primavera.
Il Consiglio dei ministri non conosce coprifuoco. Ci si vede di sabato, quando il sole è tramontato, come al solito dopo cena, replicando lo schema dei giorni cupi di primavera.
Non si sa perché il governo ama queste riunioni al buio, come se avesse timore di mettere in chiaro le proprie scelte o per creare l'attesa o, magari, per spiazzare i giornali. Fatto sta che anche questa volta si tira tardi.
Rispetto ai mesi di quarantena qualcosa negli equilibri del governo è cambiato. Nulla di formale, ma qualcosa di più profondo, di pesi e contrappesi, di ruoli e protagonisti. La crisi dei Cinque stelle, per esempio, sembra ormai senza ritorno. Non c'è neppure più il tentativo di nascondere le guerre tra bande e il disorientamento di un movimento politico che non si riconosce. L'impressione è che i ministri grillini stiano al governo senza avere più nulla alle spalle, per titolo personale. Non senti la forza delle idee. Non sai se c'è una linea, un'idea, un sentimento. L'unica voce che lascia una traccia vaporosa è quella del ministro Spadafora che ingaggia un duello rusticano con Cristiano Ronaldo. Come a rivendicare il vecchio «uno vale uno».
Scandali finanziari, incarichi, guerre intestine. Ora la Chiesa di Bergoglio non sembra più disposta al cambiamento
Papa Francesco ha rivoluzionato o no la Chiesa cattolica? É una delle domande del momento. Un quesito che pure gli effetti dello stato pandemico hanno contribuito a sollevare. E questo è accaduto forse perché anche gli ambienti ecclesiastici, come tutti gli ambienti del resto, sono chiamati ad affrontare un sconvolgimento generale, che può influire persino su un'istituzione millenaria ed apparentemente monolitica come l'Ecclesia. Questa fase, insomma, è davvero particolare.
Gli addetti ai lavori si stanno soffermando su come il Covid-19 abbia ridimensionato o comunque rivisitato il ruolo stesso di un pontefice al cospetto del mondo. Sono tempi di bilanci, per quanto il regno di Francesco sia ancora in corso.
Dallo Ior alla dottrina, passando per l'organizzazione curiale e le priorità pastorali: l'impronta di Jorge Mario Bergoglio non può non essere notata. Un altro discorso riguarda l'entità di questa impronta, che può essere mal digerita o no. É una costante della storia della Chiesa cattolica: ogni vescovo di Roma ha avuto che fare con un fronte critico. Nel caso dell'ex arcivescovo di Buenos Aires, gli oppositori appartengono per lo più all'emisfero conservatore o tradizionalista. Dalla elezione di Jorge Mario Bergoglio sul soglio di Pietro sono trascorsi più di sette anni. A che punto è la riforma? Com'è intervenuto il pontefice argentino sulle logiche curiali? La Chiesa oggi può dirsi più trasparente? La dottrina è stata modificata? Esiste un "tappo" che impedisce alla "spinta propulsiva" di Bergoglio di concretizzare le sue istanze? Sono tutti quesiti utili per compendere il momentum. Rispondere in maniera esaustiva, però, non è un esercizio semplice.
Attualmente non esiste una cura in grado di debellare il disturbo. La terapia, dunque, è sintomatica e tra gli obiettivi si pone anche quello di evitare le complicanze
Secondo alcune indagini statistiche la sua incidenza annua oscillerebbe tra i 6,8 e i 16,3 soggetti ogni 100mila negli Usa e tra le 4,6 e le 7,4 persone ogni 100mila in Europa.
Si tratta, dunque, di un disturbo raro che colpisce prevalentemente gli uomini, in particolare con un'età superiore ai 50 anni. La fibrosi polmonare idiopatica è una malattia polmonare di tipo cronico caratterizzata dalla formazione anomala e per motivi ancora non noti di tessuto cicatriziale attorno agli alveoli. Questi ultimi sono piccole sacche situate alla fine dell'albero bronchiale. Proprio qui termina la corsa dell'aria inspirata e avviene il prelievo dell'ossigeno in essa contenuto. La fibrosi polmonare idiopatica appartiene alla categoria delle polmoniti interstiziali idiopatiche la cui eziologia, come dice il termine, non è di natura infettiva, bensì sconosciuta. Purtroppo le conseguenze della patologia sono irreversibili, ciò significa che i cambiamenti a livello dei polmoni sono permanenti e che il tessuto cicatriziale che si viene a creare non è sostituibile con del tessuto funzionale.
Nonostante le numerose ricerche, non si conoscono ancora le cause della fibrosi polmonare idiopatica. Esistono, tuttavia, fattori di rischio in grado di favorirne la comparsa. Innanzitutto la familiarità. Vari studi hanno dimostrato che più del 20% dei malati ha un familiare affetto dalla malattia o comunque da una polmonite interstiziale idiopatica. Il 75% dei pazienti, inoltre, presenta una lunga storia di tabagismo. Sotto la lente di ingrandimento, poi, i soggetti che hanno combattuto infezioni virali sostenute, ad esempio, dal virus dell'epatite C e dal virus di Epstein-Barr. Da non sottovalutare il reflusso gastroesofageo e l'esposizione per motivi lavorativi a polveri di metallo, di carbone, di legno, di fieno e/o di pietra. Infine, come già accennato, la patologia è maggiormente diffusa tra gli uomini e le probabilità di soffrirne crescono con l'aumentare dell'età.
Parla l’infettivologo, e va bene. Parlano il virologo, lo scienziato, il ricercatore, e va bene. Ma Domenico Arcuri, il super commissario, non parla mai? Non ci dice mai a che diavolo serva? Forse una conferenza stampa settimanale servirebbe, non fosse altro per garantire la trasparenza a fronte di tante deleghe eccezionali. E anche perché il suo stipendio è pagato dai cittadini!
Invece niente, silenzio, mutismo, invisibilità. Che lui si nasconda (per la vergogna) si può comprendere, ma che i giornalisti - quelli specializzati negli inseguimenti, nelle inchieste, nelle domande ininterrotte, quelli con telecamere e telefonini sempre accesi anche quando sembrano spenti - dove sono? Possibile che non riescano a trovarlo? Oppure l’uomo è al centro di relazioni che coinvolgono tutti, anche certi editori che producono mascherine?
Se i contagi crescono è possibile interrogare coloro che da mesi e mesi detengono i pieni poteri derivanti dallo stato di emergenza, coloro che fanno inutili dpcm a valanga? Perché non rispondono mai?
Stiamo assistendo a uno squallido scaricabarile sui cittadini, a una colpevolizzazione dei comportamenti come se fossero bambinetti da bacchettare e rieducare. Ecco, io mi sono rotto di questa presunzione, per colpa della quale avremo un aggravamento della situazione economica.
Ci hanno abbuffati di comitati tecnico-scientifici, di task force, di Colao Meravigliao, di Villa Pamphili, di proroghe sullo stato di emergenza, di dpcm e alla fine la colpa è del comportamento sociale degli adolescenti, delle famiglie, dei gestori delle palestre o dei ristoratori: ma tutti i «superqualchecosa» - Arcuri in testa - non rispondono mai?
Perché loro si possono schermare dietro silenzi e segreti buoni solo a nascondere le loro assolute incompetenze? Parlano di soldi, di manovre, di bonus, ma alle persone non arrivano che briciole.
Spunta l'audio segreto sull'affaire del palazzo di Londra del Vaticano, l'operazione milionaria su cui indaga la magistratura vaticana. A riportare la conversazione avvenuta quando cominciava a giungere voce della compravendita dell'immobile di Sloane Avenue ai piani alti del Vaticano all'Hotel Bulgari di Milano tra il broker Gianluigi Torzi, il dirigente del Vaticano Fabrizio Tirabassi e l'allora gestore delle finanze della Santa Sede Enrico Crasso è il Corriere della sera.
"Tu lo sai che su questa operazione c'è tutto il mondo, sì? Ci sono i servizi vostri, i servizi inglesi... - afferma Torzi - questa cosa va fatta come ti dico io e nessuno si fa male, perché non è che Gianluigi è caduto dal cielo e vi ha salvato l'operazione", è una delle frasi attribuite agi tre. "«Fabbrì - incalza il broker - ma sai quanti cazzo di milioni ho guadagnato in vita mia, io? Porc...»". I soldi di cui parlano sono quelli riservati della Segreteria di Stato, alimentati dalle offerte dei fedeli a Papa Francesco: l'Obolo di San Pietro. È il 19 dicembre 2018", si legge sul Corriere.
L'operazione è stata scoperta dai superiori, i tre devono coprire tutto. "«Tu mi hai salvato il culo - sostiene Tirabassi, il laico più alto in grado tra i gestori dei fondi della Segreteria - di fronte a un'operazione di cui... non ero responsabile de' sape' cose... e a differenza di tutti non ho preso niente». Torzi si è autoassegnato mille fondamentali azioni di Gutt, la società lussemburghese che ha rilevato il palazzo. Quelle azioni, che valgono solo il 3 per cento del capitale, gli danno però tutte le leve di gestione dell'immobile del Vaticano". Le azioni sono il cuore del problema. "«Io pensavo di gestire 3-4 anni. Dammi 10 milioni e me ne vado; dammi 8 milioni, che cazzo ti devo dire Sì, comunque me ne vado... Se mi dai 2 milioni ti dico "mi hai ca... in mano" perché ne ho dati tre e mezzo solo a... (qui cita uno dei protagonisti della storia: non lo riportiamo perché al momento non è stato possibile verificare se sia solo una millanteria, ndr ). C'è il bonifico! Ti faccio vedere!»", è una delle frasi a lui attribuite e che aprino scenari inquietanti sulla vicenda.
Occhio a non esagerare. Bruno Vespa condanna l'allarmismo gratuito sul coronavirus: "Gli allarmi sono giusti, visto che ieri è stato superato il tetto dei diecimila casi (di cui quasi un quarto in Lombardia) sia pure con un numero più ridotto di morti - verga il conduttore di Porta a Porta sulle colonne del Giorno -. Ma il delirio di allarmismo rischia di inginocchiare il Paese senza che ve siano i presupposti".
Nel mirino del giornalista la "grave disattenzione" che colpisce tutto il Paese e che obbliga Vincenzo De Luca ad annunciare il coprifuoco per le 22. "Il governatore della Campania lo fa perché l'impianto sanitario, come di altre regioni del Sud, è molto fragile e non è stato fatto molto per potenziarlo". Secondo Vespa non si è fatto abbastanza nell'intervallo di tempo tra maggio e settembre, quando il Covid ha concesso anche qualche momento di tranquillità. Eppure per ora "è incomprensibile l'allarme generale visto che in Italia sono occupati meno del dieci per cento dei posti in terapia intensiva e in Campania meno del 20". Eppure, stando alle ultime indiscrezioni, il governo è intenzionato ad intervenire con un nuovo, stringente, dpcm. Che dovrebbe però escludere il coprifuoco serale.
Ma le critiche di Vespa non finiscono qui e nel suo editoriale se la prende con la chiusura anticipata di bar e ristoranti (secondo indiscrezioni inserita all'interno del prossimo Dpcm ndr), quella che lui stesso definisce senza mezzi termini "una sciocchezza". Ad avvalorare la sua tesi le cifre che vedono un'ipotetica chiusura delle attività commerciali a mezzanotte costare 300 milioni al mese. A questo punto non resta che chiedersi "dove sono i geniali strateghi che in primavera inseguivano con i droni su spiagge deserte il bagnante abusivo e il solitario runner che correva sulla battigia?". Spariti, così come sono spariti gli investimenti sui trasporti. "Gli unici - a detta di Vespa - a dover essere fatti" per fermare l'emergenza.
Dopo la durissima battaglia in televisione della scorsa settimana, continua la "rissa" tra Nicola Porro e Massimo Galli, l'infettivologo del Sacco di Milano. Lo scontro ora va in scena su Twitter, si tratta in verità di un attacco unilaterale rivolto dal giornalista all'esperto. Nel mirino di Porro un'intervista di Galli al Corriere della Sera, in cui parlando dell'emergenza coronavirus e delle misure da adottare per contenerla ha affermato che "a breve il non necessario andrà tolto". Insomma, Galli come sempre si mostra pessimista. E Porro passa all'attacco. "Galli: a breve il non necessario andrà tolto, dice oggi il noto Virostar - premette il giornalista su Twitter -. Detto da uno che militava nel movimento studentesco e che considerava un pericolo le amministrative, dovrebbe preoccupare", picchia durissimo. Il doppio riferimento di Porro è alla militanza in gioventù di Galli e all'appello pre-voto a rimandare le elezioni. E la guerra continua.
Durissimo scontro a distanza tra il commissario e l'assessore al Welfare della Regione Lombardia: ecco cosa è successo
Botta e risposta a distanza tra Domenico Arcuri e Giulio Gallera, con l’assessore al Welfare della Lombardia che ha replicato piccato al commissario per l’emergenza Covid, per il quale, nei mesi scorsi, alcune regioni non si sarebbero adeguatamente attrezzate in termini di terapie intensive.
La replica di Gallera
“Penso che il commissario Arcuri abbia fatto una battuta, non può credere a ciò che ha detto. I respiratori che ha inviato Arcuri li stiamo usando tutti", ha detto Gallera, a Stasera Italia, su Rete 4, spiegando invece come sia il governo a non aver ancora mandato le risorse promesse.
Per quanto riguarda l'estensione delle terapie intensive, ha proseguito Gallera, in Regione Lombardia, il governo avrebbe stanziato 250 milioni di euro e i soldi non sarebbero ancora arrivati. “Ieri sono state individuate le aziende ospedaliere come enti attuatori e il commissario non ha ancora individuato le aziende che devono fare i lavori. Quindi - ha aggiunto Gallera, come riporta Adnkronos - da questo punto di vista, le uniche carenze e l'unico ritardo sono del commissario. Detto questo, in Lombardia le terapie intensive ci sono".
"Tra tassazione della prima casa e introduzione di una vera e propria patrimoniale, siamo al terrorismo psicologico nei confronti del popolo, già stremato da una gestione disastrosa della lotta al coronavirus". Il vice direttore del Tempo Francesco Storace asfalta il governo di Giuseppe Conte e sul sito 7Colli.it scrive: " Vogliono farci maledire la casa in cui abitiamo. Fanfaroneggiano di soldi europei, ma la realtà drammatica è che dalle parti degli incapaci di Palazzo Chigi puntano a fare cassa sui risparmi degli italiani".
La domanda è lecita: dove sono i miliardi europei? "La linea dell’economia ha imboccato da mesi la linea del ribasso sempre più giù - scrive Storace - La cosiddetta seconda ondata di mister Covid completerà l’opera. Ma Conte e soci finora hanno sempre parlato di ripresa, crescita, chiacchiere. Arrivano duecento miliardi dall’Europa, dicono anche se non ne sono più certi. E quindi, per cautelarsi nella solita orribile maniera, puntano di nuovo sul portafoglio dei cittadini, sempre più individuati come soggetti da spremere".
Il ragionamento è quello che le tasse, semmai, vanno abbassate e non aumentate, se si vuole far ripartire l’economia. "Tutto questo non può passare -denuncia - E sarà bene che l’opposizione si attrezzi a combattere una durissima battaglia per impedire che il governo Conte possa mettere in cantiere una manovra sciagurata che squasserebbe il Paese intero".
La cassa integrazione in ritardo, i prestiti delle banche erogati solo ad alcuni e non a tutti i soggetti in difficoltà e i tanti provvedimenti promessi nei mesi passati non hanno certo aiutato chi chiedeva aiuto. "Persino i mitici 600 euro - sottolinea Storace - sono stati elargiti a piccole dosi, come se fossero cifre con cui arricchirsi. Evitino almeno di mettere le mani sulla casa" chiosa.
Italia è fra i peggiori paesi di Europa nella gestione della pandemia dall'inizio dell'anno. È quartultimo fra 44 Paesi (peggio hanno fatto solo Belgio, Gran Bretagna e Spagna) per numero di vittime di coronavirus rispetto alla popolazione di ciascun Paese. Questo è il criterio con cui si punta il dito nei confronti degli Usa (un morto ogni 1.491 abitanti), e del Brasile (un morto di virus ogni 1.424 abitanti).
Non usa mezzi termini, Maria Elisabetta Casellati. «Salute e attività economiche si coniugano con una sola parola: responsabilità che gli italiani hanno già dimostrato. Responsabilità con una rigorosa osservanza delle regole. In questo modo noi possiamo tenere aperte tutte le attività. Non possiamo permetterci né da un punto di vista sociale né da un punto di vista economico un nuovo lockdown, anche strisciante». Ai microfono del Tg2, la presidente del Senato non ha dubbi. «Occorre alimentare la fiducia, non la paura. Con un reciproco sospetto», afferma.
Casellati: «Stare qui non è mettere una medaglietta»
«Fare il presidente del Senato non è mettere una medaglietta. È difendere le prerogative costituzionali», aggiunge. «Il che significa che in un’emergenza sanitaria grave che coinvolge tutti i cittadini, il governo deve discutere ogni misura con il Parlamento». Infatti,«il Parlamento è la voce degli italiani. Venire dopo a ratificare le proprie scelte non va bene perché il Senato non è un passacarte».
Il ricordo commosso di Jole Santelli
La Casellati dedica un passaggio dell’intervista al ricordo di Jole Santelli. C’è commozione nelle sue parole. «Un grande dolore per una grande donna. Intelligente, generosa, visionaria, lungimirante. Una delle ultime volte che l’ho sentita per telefono le ho chiesto se avesse paura del Covid. Mi ha risposto no perché lotto tutti i giorni contro la mia malattia».
Si accende la polemica tra Vincenzo Spadafora e Cristiano Ronaldo, che dal suo isolamento extralusso risponde per le rime al ministro dello Sport
Continua lo scontro a distanza tra il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, e Cristiano Ronaldo.
Tutto nasce dopo il riscontro positivo del tampone per coronavirus per il calciatore portoghese, che come altri suoi colleghi ha raggiunto il ritiro della sua nazionale. Ed è proprio in Portogallo che Cristiano Ronaldo ha ricevuto l'esito dell'avvenuto contagio. Da quel momento è iniziato il balletto di dichiarazioni, smentite, accuse e difese, che ha visto scendere in campo il ministro dello Sport in persona per chiedere maggiori chiarimenti sulla vicenda e Cristiano Ronaldo ribattere colpo su colpo alle sue affermazioni.
Il caso è nato quando sette giocatori della Juventus si sono allontanati anticipatamente dalla "bolla" Juventus, che si trovava in isolamento dopo il riscontro di due positività tra i membri dello staff bianconero, per raggiungere le rispettive nazionali. Come imposto dal protocollo, la società ha dovuto segnalare questa anomalia alla Asl di Torino e i loro nomi sono stati inseriti in un fascicolo dalla Procura e sono oggetto di inchiesta anche da parte della Figc. Nessun sospetto di violazione, invece, per il ritorno in Italia di Cristiano Ronaldo, che dopo l'esito del tampone ha fatto ritorno a Torino con un volo sanitario (a bordo di un jet privato), per poi raggiungere la sua abitazione con un'ambulanza privata. Questo caso ha innescato la reazione del ministro dello Sport che, interrogato sulla vicenda, ha sostenuto la violazione del protocollo da parte di Cristiano Ronaldo. "La domanda era su andata e ritorno. A quel che risulta in merito all'andata è stata la stessa società a segnalare alla Asl che alcuni giocatori avevano 'rotto' l'isolamento fiduciario senza averne l'autorizzazione, tanto che il direttore del dipartimento di prevenzione della Asl di Torino ha dichiarato di aver dovuto trasmettere in Procura i nomi", ha detto Spadafora all'Ansa.
Secondo un frate latinista, la “Declaratio” è stata scritta appositamente perché si scoprisse che le dimissioni sono invalide. Papa Ratzinger avrebbe così protetto la Chiesa dalle trame cospiratrici della Mafia di San Gallo
L’11 febbraio 2013 è una data che resterà per sempre nella Storia come il giorno delle “dimissioni” di Papa Benedetto XVI. Un atto su cui si è detto e scritto molto, e che certamente rimarrà impresso nella memoria collettiva per la sua gravità ed eccezionalità.
Ma se Papa Ratzinger avesse nascosto nella famosa Declaratio la prova che la sua rinuncia è nulla? È ciò che pensa Frà Alexis Bugnolo, francescano italo-americano ed esperto latinista, che ha studiato e analizzato il testo dell’abdicazione. E ritiene che il Pontefice tedesco abbia vergato la Dichiarazione «con estrema abilità e sottigliezza, appositamente perché nel tempo venisse scoperta invalida».
Gli errori nella Declaratio di Benedetto XVI
La tesi del frate si fonda sui noti errori grammaticali della Declaratio di Benedetto XVI. Alcuni dei quali erano stati notati quasi subito da eminenti classicisti come Luciano Canfora e Wilfried Stroh, e corretti anche sul sito ufficiale vaticano.
Frà Bugnolo ne ha individuati molti altri, che per la maggior parte sono, in realtà, relativamente poco significativi. Tra l’altro, vi sono scelte lessicali discutibili, complementi costruiti in maniera imperfetta, ma anche il mancato uso del plurale maiestatis.
Tre giorni per la completa remissione: Donald Trump non è più a rischio di trasmissione Covid, secondo i medici che lo avevano in cura.
Bel colpo per la salute e la campagna elettorale del presidente americano, che - nella comune rappresentazione - sconfigge il virus in 72 ore e scrive su twitter: via libera da parte dello staff medico della Casa Bianca. Significa che non posso più contrarre il Covid e non possso contagiarlo.
Il tweet è stato rimosso perché l'informazione fuorviante. La comunità scientifica avverte infatti che il recupero dalla malattia non rende un paziente immune.
Per celebrare la sua vittoria sul virus, Trump aveva anche pensato - secondo quanto scrive il New York Times, che cita alcune sue fonti - di mostrarsi in pubblico con la maglietta di Superman, dopo le sue dimissioni dall'ospedale militare Walter Reed.
Appena rientrato dall'ospedale, il presidente voleva mostrarsi fragile, salvo poi togliersi la camicia e mostrare la t-shirt di Superman, da ostentare come "simbolo di forza".
Alla fine, il presidente ha desistito dal mettere in atto la sua perfomance, che era stata condivisa con suoi collaboratori "in diverse telefonate" fatte lo scorso fine settimana dalla suite presidenziale del Walter Reed National Military Medical Center.
"Mi sento così forte... bacerei tutto il pubblico, bacerei i ragazzi e le belle donne, gli darei un bacio grande e grosso". Così Donald Trump nella prima manifestazione elettorale dieci giorni dopo essere risultato positivo al coronavirus e il ricovero in ospedale. "Mi sento in forze", ha detto, parlando a Sanford, in Florida, e mentre il suo medico diffondeva la notizia della sua negatività al test. Il presidente ha anche scherzato con gli elettori e alla fine del comizio ha anche accennato a dei passi di danza sulle note di Ymca dei Village People.
"Dicono che sono immune. Non so per quanto tempo. Alcuni dicono per tutta la vita, altri per quattro mesi" ha affermato Trump, che ha parlato per un'ora alla folla di sostenitori e ha esortato gli americani a "uscire" pur ammettendo che è "rischioso". Durante il comizio non sono mancati attacchi a Joe Biden. Trump ha sostenuto che il candidato democratico alle elezioni presidenziali del 3 novembre metterebbe i bastoni tra le ruote alla ripresa dell'economia e "prolungherebbe" la pandemia.
Il virus sul bus porta i soldi al Nord
I governatori della terza camera dello Stato fanno finta che devono rispettare il tetto dell’80% e chiedono una compensazione per il restante 20%, ma i pulmini viaggiano zeppi, le persone sono strette come sardine. Per cui gli incassi saranno quelli di sempre, ma a questi incassi vogliono aggiungere pure le compensazioni. Che federalismo è quello che mette la cassa dei ricchi prima di ogni cosa e che ignora la perequazione perfino in tempi di Pandemia?
Governano i governatori. Sua Maestà, Stefano Bonaccini, parla e si muove come uno specialissimo Presidente del Senato delle Regioni di impronta monarchica. Nessuno gli ha dato questo mandato, ma lui lo esercita e lo fa a modo suo. Prima i ricchi, poi i poveri. Volessimo affrontare per una volta un tema serio: come mai gli investimenti in sanità sono pari a 85 euro pro capite per ogni cittadino emiliano-romagnolo e a 16 euro pro capite per ogni cittadino calabrese? Buon ultimi a certificare questi numeri-verità sono arrivati i ricercatori del Crea di Tor Vergata che si sono addirittura spinti a dire che sull’efficienza delle singole regioni pesa per il 40% la quantità di finanziamenti ricevuti. Chissà che cosa si inventeranno i professorini in servizio permanente effettivo della squadra della diseguaglianza per negare questa elementare evidenza! Sono arrivati al punto di mettere in discussione la statistica nazionale pur di proteggere l’indifendibile. Francamente impressiona.
Drammatica impennata dei nuovi contagi Covid, che superano la soglia dei 10mila in un solo giorno. Nelle ultime 24 ore, infatti, si sono registrati 10.010 nuovi casi. Ieri erano stati 8.804. Con una aggravante: i tamponi effettuati sono stati 12mila in meno di ieri, 150.377. Il rapporto tra tamponi fatti e tamponi positivi sale così al 6,6%.
I morti sono 55 in 24 ore
Gli attualmente positivi, si legge nel bollettino del ministero della Salute, sono 107.312, mentre dall’inizio dell’emergenza il totale dei contagiati è stato di 391.611. Rispetto a ieri, però, per lo meno, si contano meno morti: 55 contro 83. Il totale dei decessi dall’inizio della crisi arriva così a 36.427. Sale invece di 382 unità il numero dei ricoverati con sintomi, che arrivano così al numero di 6.178 ricoverati. Sono 638, poi, le persone in terapia intensiva, vale a dire 52 più di ieri. Infine, si trovano in isolamento domiciliare 100.496 pazienti. I guariti sono 1.908, che portano a 247.872 le persone che da inizio epidemia sono riuscite a sconfiggere la malattia.
“Ora sarà ufficiale: il Pd ha una banca, un’altra”. Il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, commenta così la nomina di Pier Carlo Padoan nel Cda di Unicredit. Una notizia, spiega l’esponente di FdI, che “desta davvero sorpresa” e che impone una seria riflessione sulla “commistione tra istituzioni, politica e finanza”.
La nomina del deputato Padoan all’Unicredit
“Desta davvero sorpresa – sottolinea Rampelli – la notizia relativa alla nomina del deputato in carica del Pd, Pier Carlo Padoan nel cda dell’Unicredit al fine di designarlo presidente. L’ex ministro dell’Economia e delle Finanze dei governi Letta e Renzi, eletto nel collegio uninominale di Siena, territorio di quel miracolato Monte Paschi Siena cui l’ex ministro consegnò 4 miliardi di euro per il suo salvataggio”.
Quelle relazioni pericolose tra Pd e banche
“La commistione tra istituzioni, politica e finanza è un nodo da sciogliere per non compromettere il mandato popolare e la trasparenza del rapporto tra eletto ed elettore. Le cosiddette ‘porte girevoli’ – avverte Rampelli – dovrebbero valere in entrata, ma anche in uscita e soprattutto essere vietate mentre si hanno incarichi parlamentari“.
L'operato del governo non piace neppure a Paolo Mieli. "La pandemia produce diseguaglianze, può dar luogo a rivolte e depressione", esordisce a Tagadà su La7. L'ex direttore del Corsera spiega che il vero problema è l'emergenza economica: "Le aziende si essiccano in maniera non uguale, alcune diventano sempre più povere e altre sempre più ricche". Morale della favola l'esecutivo di Giuseppe Conte deve tirare fuori il coraggio: "Basta sussidi a pioggia, monopattini e banchi a rotelle. Bisogna fare degli interventi che riportino i lavoratori sui posto di lavoro e poi aumentando lo stipendio per il rischio che corrono". In sostanza secondo Mieli "buttare soldi in stupidaggini come il bonus vacanza non serve a niente". E pare non essere l'unico a pensarla così.