capture 044 04102022 120441L’ex calciatore Romario de Souza Farias, cannoniere e miglior giocatore della Coppa del Mondo del 1994 negli Usa con la nazionale brasiliana, è stato rieletto senatore con il Partito Liberale (Pl) del presidente uscente, Jair Bolsonaro. Romario ha ottenuto più di 2,3 milioni di voti (circa il 29%) e rappresenterà lo stato di Rio de Janeiro nella Camera alta per i prossimi otto anni.

L’ex attaccante del Barcelona e del Valencia, campione del Mondo nel 1994 con la Seleção, aveva dichiarato in un’intervista a “Veja”, magazine brasiliano, le ragioni della sua militanza a destra: “Difende la famiglia e questo è molto importante per me. È contrario all’aborto e alla legalizzazione delle droghe. È spontaneo, vuole che il Brasile vada avanti”. Aveva però sottolineato che il suo sostegno non fosse senza condizioni: “Difendo Bolsonaro però non sono un Bolsominion”, aveva specificato. Romario è dal 2021 vicepresidente del Senato brasiliano.

capture 028 12092021 102042Nella patria delle follie politicamente corrette o della grande ipocrisia. Negli Usa, California, accade che essere inclusivi – come ordina il mainstream corrente- sia un optional quanfo il razzismo va nella direzione “giusta”: verso la destra repubblicana. Dobbiamo essere grati al Il Foglio che in prima pagina racconta l’episodio occorso a Larry Elder, il principale avversario del governatore californiano Gavin Newsom,  nel voto di recall di martedì 14. Larry Elder è un candidato di destra ed è stato o vittima di un attacco a sfondo razziale. E’ afroamericano e, “nel pool dei candidati, forse quello più a destra di tutti: contrario all’obbligo di vaccino e di mascherina e assolutamente antiabortista”. Accade che durante una manifestazione a Los Angeles, Elder è stato apostrofato da una donna bianca con una maschera da gorilla. La stessa gli   ha poi lanciato un uovo in testa.

capture 019 19082021 100842Arriverà un’ondata migratoria. A “In Onda” si discute sulla tragica situazione in corso a Kabul, in Afghanistan, nella puntata di mercoledì 18 agosto. Il talk show di La 7, sotto la conduzione di David Parenzo e Concita De Gregorio ospita la senatrice di Fratelli d’Italia, Daniela Santanchè.

Dopo la conquista della città da parte del gruppo islamico radicale dei talebani, nei giorni scorsi, migliaia di persone hanno invaso l'aeroporto nel tentativo disperato di fuggire dal Paese. La posizione del presidente del consiglio Mario Draghi è chiara: “Sicurezza e accoglienza”. Differente quella del leader della Lega, Matteo Salvini che mette in guardia dal pericolo del terrorismo. Sulla stessa scia è quella di Fdl: “Noi siamo chiari e trasparenti – esordisce la Santanchè - e pensiamo che quello che sui flussi migratori nella nostra nazione non siano stati fatti i controlli necessari. Peraltro, i confini dell’Italia sono i confini dell’Europa, noi diciamo che ci vuole il blocco navale, e lo diciamo da molto tempo. È evidente che quello che succederà, lo sappiamo, sarà una catastrofe e molti dovranno scappare perché quelli sono dei tagliagole, dei talebani. Io mi sono stupita che molti titoli di giornale credano ai talebani”.

capture 018 19082021 100632«Trenta milioni di afgani sono finiti sotto il controllo degli integralisti islamici e far credere loro che la soluzione sia portarli tutti in Occidente è una cinica presa in giro». Lo scrive Giorgia Meloni in un post sui Social relativamente alla crisi afgana.

«Serve serietà – prosegue la leader di Fratelli d’Italia – perché è già stata fatta troppa demagogia e propaganda sulla pelle degli afgani. Come ha già sostenuto anche il cancelliere tedesco Merkel, noi crediamo che la prima cosa da fare sia sostenere gli Stati confinanti con l’Afghanistan per aiutarli ad accogliere i profughi. Per questo la Ue e l’Occidente stanzino subito un importante piano di aiuti. Poi certo, in casi particolari servono anche ponti aerei in favore di coloro che ci hanno aiutato in questi anni, come gli interpreti, chi ha collaborato con la nostra missione e le donne e i bambini in pericolo di vita».

capture 017 25072021 114045Viktor Orban si sottrae al ricatto Ue sul tema dei diritti e decreta, con una decisione pubblicata sulla gazzetta ufficiale, che l’Ungheria non accetterà i soldi del Recovery Fund se saranno subordinati all’abolizione della legge che vieta la propaganda gender nelle scuole e limita la diffusione di informazioni su tematiche Lgbt ai minori. Nei giorni scorsi Orban aveva annunciato un referendum popolare sulla legge, finita nel mirino delle istituzioni Ue in quanto tacciata di essere «omofoba».

Lo scontro tra Orban e Ue sulla legge contro il gender a scuola

Dopo settimane di pressing, nei giorni scorsi la Commissione europea ha avviato un’azione legale contro Budapest, accusando il governo ungherese di violare i diritti delle persone Lgbt. Allo stesso tempo, la Commissione sta procedendo all’approvazione dei piani di ripresa dalla pandemia presentati dai vari Stati membri, tardando sul via libera a quello ungherese. La connessione tra l’abolizione della legge e l’erogazione dei fondi del Recovery, che per l’Ungheria ammontano a 7,2 miliardi di euro, è stata più volte adombrata dalle istituzioni Ue.

Freedom Day cropMentre il governo italiano, che si definisce democratico, si appresta a restringere le libertà personali dei suoi concittadini e di quanti entreranno nel nostro Paese imponendo l’utilizzo del Green pass in vari luoghi e occasioni e, di fatto, costringendo le persone a vaccinarsi per non vivere una vita di rinunce e di discriminazioni, la Gran Bretagna , nel nome del Freedom Day, va in controtendenza. E revoca quasi tutte le restrizioni imposte in precedenza per contenere la diffusione del Coronavirus, tra cui il rispetto del distanziamento sociale e l’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi chiusi. L’occasione è il Freedom day, il giorno della libertà che, da oggi, è scattato in tutta la Gran Bretagna, fra le proteste dei cosiddetti esperti – ognuno ha i suoi Burioni – i quali invitano a indossare comunque la mascherina agitando il presunto rischio che si possano registrate fino a 200mila casi al giorno.

capture 060 09072021 105950La Cina alla conquista dello spazio: un’ambizione che si sostanzia con l’evento simbolico di qualche giorno fa, quando  due astronauti  – Liu Boming e Tang Hongbo – hanno fatto la prima passeggiata spaziale fuori dalla nuova stazione orbitale cinese per installare telecamere e altre apparecchiature con un braccio robotico lungo 15 metri.

La passeggiata spaziale della Cina rovinata dalla brutta notizia

La tv di Stato ha mostrato i due uscire dalla stazione, mentre il terzo membro dell’equipaggio, il comandante Nie Haisheng, è rimasto all’interno. Si tratta della seconda passeggiata spaziale della Cina dopo quella di 20 minuti di un astronauta cinese che era uscito dalla navetta spaziale Shenzhou 7 nel 2008. Incursioni fondamentali che la Cina intende usare come fonte di legittimazione internazionale. 

capture 033 29062021 104602Xavier Bertrand, che si autodefinisce “il gollista sociale”, è il vincitore delle regionali in Francia e già pensa all’Eliseo. In generale, dal voto francese emerge il successo del centro-destra guidato dai neo gollisti, tengono i socialisti alleati dei verdi. Rieletti tutti gli uscenti. Il voto ha avuto un astensionismo record di circa il 65%. Marine Le Pen non conquista, come prevedevano i sondaggi, la regione Provenza-Alpi- Costa Azzurra. 

Il gollista Bertrand pensa all’Eliseo

E ora il gollista Xavier Bertrand (nella foto insieme con la moglie) annuncia la volontà di essere “il terzo uomo” alle prossime presidenziali. E lancia un messaggio agli altri vincitori di questa tornata elettorale, segnata da un astensionismo alle stelle e dai risultati negativi sia per Emmanuel Macron che per Marine Le Pen, a formare “una squadra, che penso potrà fare delle cose buone per la Francia”. Bertrand, ex ministro del presidente Nicolas Sarkozy, è stato rieletto in Hauts-de-France con il 52.8%.

capture 019 28062021 100110Dopo anni di staticità, grazie al recente cambio nell’amministrazione statunitense e ad un’Europa ora disposta ad ascoltare, può finalmente prendere forma l’idea del Giappone di una strategia di investimento in infrastrutture per rispondere a quella elaborata dalla Cina. Tuttavia c’è ancora molto lavoro da fare, e vari Paesi asiatici rimangono scettici all’idea di schierarsi dal lato opposto a quello cinese.

Durante la visita di questo giugno in Europa da parte del presidente degli Stati Uniti Joe Biden — dal G7, alla Nato, all’Unione europea — in mezzo al turbinio di dichiarazioni per cui la Cina sarebbe un avversario di cui preoccuparsi, una di queste frasi di Stati Uniti ed Europa ha catturato l’attenzione di una Cina in ascolto.

“Vogliamo lavorare insieme ai nostri partner per un Indo-Pacifico libero ed aperto”. Così recita la dichiarazione, e non è un caso che abbia menzionato proprio il nome della strategia sviluppata dal Giappone e dagli Stati Uniti come risposta occidentale alla Belt and Road Initiative cinese. Che i leader europei abbiano scelto di utilizzare tali parole è di estrema importanza, poiché l’Europa si era rivelata finora scettica di fronte al piano di Tokyo. Può essere che il presidente Joe Biden sia riuscito a mettere d’accordo l’Occidente sul Free and Open Indo-Pacific come risposta alla Bri?

capture 027 17062021 091038Mentre al G7 in Cornovaglia si chiedeva una nuova indagine dell’Oms sull’origine di Sars-CoV-2, già da qualche giorno stava circolando la notizia che proprio l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha richiesto di effettuare una seconda serie di test sui campioni di uno studio che suggeriva che la malattia circolasse al di fuori della Cina già a ottobre del 2019.

C’è infatti una crescente pressione internazionale per saperne di più sulle origini della pandemia che ha ucciso più di 3 milioni di persone in tutto il mondo ed il ritorno in auge della teoria sulla possibile fuga da un laboratorio cinese, che sta ribaltando totalmente la narrazione ufficiale degli scorsi mesi, sta mettendo alle corde l’organismo delle Nazioni Unite retto da Tedros Adhanom Ghebreyesus, che lo scorso 22 gennaio ebbe a dire, subito dopo la sua visita in Cina, che apprezzava “l’impegno dei massimi dirigenti e la trasparenza che hanno dimostrato” qualche giorno dopo che proprio l’Oms dichiarava, in un tweet, che basandosi sui dati raccolti dalle autorità cinesi non si riscontrava “nessuna evidenza di trasmissione tra uomo e uomo”. A marzo ci ricordiamo tutti come andò a finire.

capture 021 16062021 151156Gli incontri a Ginevra sembrano sempre essere forieri di svolte epocali, tanto da tenere il mondo con il fiato sospeso: dallo storico vertice del 1955 tra i Big Four all’odierno meeting tra Joe Biden e Vladimir Putin. L’atmosfera è di quelle al fulmicotone, tra i due che, negli scorsi mesi, si sono interfacciati a suon di “macho da Hollywood” e “killer”. Troppe le reminiscenze, infinite le similitudini che ci portano, oggi, a parlare di una nuova Guerra Fredda tra Russia e Stati Uniti, concetto galvanizzato dal fatto che i due leader abbiano reciprocamente ammesso che, sulla carta, i rapporti non sono mai stati così bassi dal freddo cinquantennio.

No, non è la Guerra Fredda

Una narrazione alla quale ci siamo abituati ma che fa perdere il senso di quello che davvero sta accadendo. Innanzitutto, non siamo nel bel mezzo di uno scontro tra Est e Ovest, o tra liberismo e comunismo; secondo, non veniamo da un conflitto devastante ma siamo nel bel mezzo di una pandemia che ha ribaltato la geopolitica intera; terzo, in ballo non c’è l’Europa, ma decine di sfide e una gragnola di attori che non sono esclusivamente a Mosca o a Washington. Al netto del vaso di Pandora costituito dai diritti umani, che restano l’ultimo residuo bellico dello scontro ideologico tra due mondi opposti, in questa nuova cold war di ideologico c’è poco. C’è invece un nucleo fortemente pragmatico fatto di zone d’influenza, di risorse energetiche, Nato e controllo delle armi. Quello che di certo sappiamo è che, al termine del vertice, non ci sarà nessuna conferenza stampa congiunta ma dichiarazioni separate ai giornalisti. E stando al Cremlino, la scelta viene dagli americani.

capture 002 14062021 101104Il G7 si conclude con un comunicato finale in cui sembrano chiari gli obiettivi, molto meno gli strumenti con cui essi devono essere raggiunti. È tipico della maggior parte dei documenti che concludono summit internazionali di questa portata: difficilmente un incontro internazionale con leader di diverse vedute e con paesi così differenti tra loro può terminare con un’agenda precisa e dettagliata. Mancano tempistiche certe, mancano linee sul raggiungimento di alcuni obiettivi di politica internazionale e per la risoluzione delle crisi. E anche sulle questioni più “globali”, come il cambiamento climatico e la transizione ecologica, non appare esserci una presa di posizione netta su cosa debba essere messo in atto e in quanto tempo.

Tuttavia, quello che si evince da questo summit è che l’idea di Joe Biden di mettere mano ai dossier internazionali blindando l’Occidente dalle sirene orientali sembra avere avuto un seguito. Quantomeno nei principi. E soprattutto rinnegando Donald Trump. Il documento, infatti, è costruito sull’idea che i democratici americani hanno del mondo. E al netto delle divergenze sulle azioni concrete da mettere in campo per compiere quanto proposto nel consesso, è chiaro che rispetto agli incontri dell’era Trump sia cambiato qualcosa. Quel senso di destino manifesto tipico della strategia Usa a guida dem è piombato di nuovo come un macigno sulla politica internazionale. Ed è la stessa logica evidenziata da Biden nel suo editoriale sul Washington Post prima del tour europeo, in cui non ha nascosto il desiderio che si tornasse a guardare all’America non solo come alleata, ma anche come potenza leader dell’Occidente. Un blocco composto dalle “democrazie”, questo il concetto espresso in modo più deciso da Biden, contro le potenze autocratiche e i regimi di tutto il mondo.

capture 027 11052021 101031A meno di un anno dalle prossime presidenziali nel Paese, cresce il numero dei francesi che non vede nel Rassemblement National “un pericolo per la democrazia”, anche se solo un terzo del campione interpellato ritiene il partito capace di governare e un quarto crede che Marine Le Pen “sarebbe un buon presidente della Repubblica”. Il 42% dei francesi interpellati per un’inchiesta Kantar Public per FranceInfo e Le Monde ritiene che Rn non rappresenti “un pericolo per la democrazia” (un punto percentuale in più rispetto al 2020 e 6 punti percentuali in più rispetto al 2017) mentre ritiene il contrario il 49%.

Marine Le Pen e la scoperta di  nuovi elettori

Cresce l’adesione alle idee del Rn, con il 29% d’accordo con le tesi del partito (+3 punti percentuali in un anno) mentre una chiara maggioranza (62%) non è d’accordo con le idee del movimento. Cresce anche il numero di quanti non hanno mai votato per il Rn ma che considera la possibilità di farlo (12%, + 4 punti).

Il 55% ritiene il partito di Marine Le Pen capace “di accedere al potere” ma solo il 33% la considera capace di “partecipare ad un governo”, con il 56% che si dice convinto che il movimento ha come vocazione quella di riunire i voti dell’opposizione”. Marine Le Pen è vista dal 67% delle persone come “persona di volontà” e “capace di prendere decisioni” (53%) ma solo il 24% crede che sarebbe un buon presidente.

capture 008 10052021 103315The most dangerous place on Earth“. Per l’Economist il luogo più pericoloso sulla faccia della terra è situato in Asia e si chiama Taiwan. Il noto settimanale ha dedicato una copertina alla “provincia ribelle” rivendicata dalla Cina e protetta dagli Stati Uniti. Nella ricostruzione grafica l’isola è al centro di un radar, esattamente a metà strada tra due flotte navali, quelle cinesi a ovest e quelle americane a est. Chiaro il messaggio: la resa dei conti per il futuro di Taiwan non può più essere rimandata. Anzi: è sempre più vicina. E, a seconda di come sarà gestita la vicenda, non è da escludere l’ombra di una guerra tra Washington e Pechino.

Una guerra che potrebbe pure estendersi su larga scala e coinvolgere altri attori globali, in un pericoloso risiko a decretare l’antipasto di una specie di terza guerra mondiale. Per capire i nodi del presente bisogna fare un breve tuffo nella storia. Quando nel 1949 Mao Zedong fondò la “nuova Cina”, la Repubblica Popolare Cinese, i nazionalisti del Kuomintang, guidati dal generale Chiang Kai-shek, fuggirono a Taiwan. Da quel momento in poi nacque la Repubblica di Cina, uno Stato che si è subito proclamato indipendente ma che, fin dall’inizio, è stato considerato dall'”altra Cina” parte integrante del proprio territorio. La disputa non è ancora stata risolta.

capture 031 25042021 093441«Negare il genocidio armeno è come negare la Shoah» e Joe Biden, che invece oggi ne ha ufficializzato il riconoscimento da parte degli Stati Uniti, ha sganciato «una bomba». A dirlo è stata la scrittrice e saggista di origine armena Antonia Arslan, autrice tra l’altro del bestseller La masseria delle allodole. «Sarebbe bello – ha aggiunto – se anche Draghi facesse lo stesso».

L’appello a Draghi: «Sarebbe bello facesse come Biden»

Arslan ha ricordato che «il Parlamento italiano ha per due volte riconosciuto il genocidio armeno» con l’approvazione della mozione bipartisan alla Camera nell’aprile del 2019 dopo una risoluzione del 2000. D’altro canto, ha proseguito parlando con l’Adnkronos«Draghi ha già dato del “dittatore” a Erdogan» e con i «dittatori bisogna anche fare il muso duro ogni tanto».

capture 271 03042021 095139Mentre prosegue il braccio di ferro tra Stati Uniti e Iran su chi debba fare il primo passo per un ritorno ai negoziati, l’accordo sul nucleare iraniano sembra incontrare nuove ragioni per veder prolungata l’impasse attuale.

Il ruolo del Congresso americano

Si tratta di una delle clausole che istituisce il cosiddetto “transition day“, fissato per il 18 ottobre 2023 (punto 19, lettera D dell’Annex V del JCPOA): per quella data l’AIEA dovrebbe pubblicare un report che accerti la finalità esclusivamente pacifica del programma nucleare iraniano; in corrispondenza di tale verifica, la comunità internazionale eliminerà definitivamente le sanzioni verso l’Iran relative alle attività di proliferazione nucleare. In quella stessa data il parlamento iraniano dovrebbe ratificare un protocollo aggiuntivo per consentire un’ispezione più rigorosa dei suoi impianti nucleari, l’Unione Europea revocare tutte le sanzioni rimanenti, e il Congresso degli Stati Uniti fare lo stesso con un’azione legislativa (piuttosto che sospenderle tramite un ordine esecutivo).

Se l’amministrazione Biden decidesse di riportare gli Stati Uniti all’accordo in quell’anno, dovrebbe chiedere l’approvazione del Congresso per la revoca o la modifica di tutte le sanzioni statunitensi (per la sola questione nucleare) contro l’Iran. Una mission quasi impossible vista “l’animosità e il sospetto bipartisan degli Stati Uniti verso la Repubblica islamica”, come sostiene James M. Dorsey del Begin-Sadat Center for Strategic Studies in un suo report recente.

capture 255 02042021 105226Chi ha fatto uscire la notizia sull’arresto di Walter Biot e perché. Deve essere questa la domanda che bisogna porsi dopo che lo scandalo ha superato il recinto di via XX Settembre diventando di dominio pubblico. Perché se è vero che l’informazione è importante, e se è fondamentale per un Paese democratico che tutto sia fatto in modo trasparente e alla luce del Sole, è altrettanto evidente che un affaire di spionaggio non rientra tra le categorie fisiologicamente “trasparenti” di uno Stato. Le operazioni di intelligence esistono da quando probabilmente esiste una qualsiasi forma di potere. E l’Italia, territorio di caccia per le grandi potenze, non è mai stata estranea a questo genere di operazioni. Né può dirsi semplicemente vittima di questo gioco, avendo anche noi servizi segreti di livello assoluto.

Perché tanto clamore?

Sgombrato il campo dalla sorpresa con cui molti sembrano aver scoperto che in Italia esistono le spie, il problema adesso è capire perché questo livello di segretezza che da sempre contraddistingue le operazioni di intelligence sia stato completamente infranto nel caso Biot. Cosa è scattato per rendere questo affaire di spie un affare di Stato? Chi ha dato il via a un’operazione mediatica senza precedenti sul fronte del controspionaggio? Le risposte probabilmente non arriveranno mai in via definitiva. Ma come in ogni analisi, bisogna partire dal “cui prodest”. Chi aveva interesse all’esplosione della bolla evitando che l’arresto e l’espulsione rimanessero un “gioco di spie” rinchiuso nei fascicoli delle procure e delle agenzie di sicurezza.

capture 175 25032021 145429Spunta un opuscolo di 14 anni fa. Le previsioni sui virus e la crisi economica. Perché allora ci ha travolto?

Sapevamo tutto, o quasi. Eravamo consapevoli che l’onda pandemica sarebbe arrivata, forse non esattamente quando. Ma lo sapevamo. Da tre lustri viviamo con la certezza che il virus ci avrebbe colpito, avrebbe ucciso, avrebbe affossato le economie locali e mondiali, eppure non ci siamo preparati a dovere.

“Fondamentale risulta la cosiddetta ‘preparedness’, ovvero la capacità di reazione e gestione degli effetti di un evento pandemico”, si leggeva in un corposo opuscolo pubblicato da fior fior di esperti qualche anno fa. Era il 2007.

Il dossier spunta da una vecchia cantina ed è l'emblema di come il mondo non abbia ancora imparato a trarre lezioni dal passato. Corsi e ricorsi storici, diceva Gian Battista Vico. Anche per le pandemie funziona un po’ così. Era l'11 ottobre di 14 anni fa a Milano, Centro Congressi Fondazione Cariplo, quando venne organizzato un convegno talmente attuale da far paura. Titolo: “Pandemia influenzale, Salute, Economia, Sicurezza”. Tra i relatori svettavano alcuni degli autori dell'inserto (“Pandemia: dall’influenza epidemica all’influenza pandemica”) pubblicato in quello stesso periodo dal Sole24Ore sul ruolo, i rischi e le responsabilità delle imprese in caso di una “probabilità concreta, anche se non desiderabile” che il mondo venisse investito da una pandemia. Ad ispirare quella ricerca erano state le notizie circolate un anno e mezzo prima, quando sui media non si parlava d'altro che del virus H5N1, più comunemente noto come “influenza aviaria”, un agente patogeno con un “tasso di mortalità superiore al 60% nei contagiati” (dunque molto più dell’attuale Sars-CoV-2) e senza “che sia possibile produrre un vaccino”. Le aziende erano così preoccupate dagli “oscuri presagi” provocati da quello spauracchio, poi “caduto nell’oblio”, da iniziare a pensare che forse il mondo avrebbe dovuto prepararsi al peggio.

capture 160 24032021 152304La temperatura in Ucraina orientale e Mar Nero sta aumentando sensibilmente e non si tratta di un riferimento al meteo, quanto all’ammassamento di truppe e mezzi militari da ambo i lati e all’incremento delle violazioni del cessate il fuoco lungo i punti di contatto del Donbass. Una situazione simile sta attraversando il Mar Nero, dove si registrano esercitazioni militari e movimenti di flotte. La domanda sorge spontaneamente: cosa sta accadendo nella periferia orientale del Vecchio Continente?

Il Donbass si scalda

È dallo scorso novembre che lungo i punti di contatto del Donbass viene osservato un incremento costante delle violazioni del cessate il fuoco; 54 sarebbero state commesse dalle truppe ucraine soltanto nel periodo compreso fra il 2 e il 16 marzo. Le parti, cioè separatisti e governativi, si accusano reciprocamente dell’aumento di incidenti, morti e feriti, e agitano lo spettro di una presunta escalation ordita dall’altro allo scopo di far precipitare la situazione.

capture 124 22032021 113725Professor Arduino Paniccia, lei è il presidente della Scuola di guerra economica e competizione internazionale e si occupa di strategia da nni. In che ottica vanno lette le parole di Joe Biden contro Vladimir Putin?. Secondo lei la domanda era concordata oppure è stata una “fantasia” del giornalista?

Dobbiamo pensare attraverso ragionamenti strategici perché, come sempre, noi non possiamo che analizzare le tendenze. Il vero problema di cui si sta occupando Biden è la Russia: non c’è dubbio. Non sono d’accordo con quelle interpretazioni secondo le quali il presidente avrebbe voluto mandare messaggi all’Europa, che non è nei suoi pensieri in questo momento. La frase può essere stata concordata con il giornalista. Ma darei altrettante chance al fatto che il giornalista abbia tentato di far uscire allo scoperto Biden. Non negherei completamente un’altra ipotesi, ossia: pur avendo concordato l’intervista come di solito fanno i presidenti Usa, e avendo capito che il vero problema di Biden è la Federazione russa, il giornalista potrebbe aver scelto di “spingere” per ottenere una risposta secca.

Per Trump però il problema principale era la Cina. Perché questo cambio passo con Biden?

Biden ha scelto di nuovo il Medio Oriente. In quest’area colloca i seguenti temi: l’Iran, l’estensione della Libia intesa come Mediterraneo allargato, il rapporto con la Turchia e le vicende della guerra a bassa intensità. Nei primi cento giorni, lo Stato Maggiore ha evidentemente fatto capire che il vero fronte di un possibile scontro riguardante i trattati, il ritiro delicatissimo dall’Afghanistan e il nucleare, è quello russo. La guerra economica con la Cina è passata in secondo piano. È evidente, e probabilmente è emerso dalle riunioni con i militari con i quali Biden ha ormai un approccio quotidiano sul coronavirus, sui vaccini e sul conflitto.