capture 024 01072020 124234Premessa: Fausto Bertinotti è un fico. Due volte fico. Primo, perché in tempi di turbo-iconoclastia lui se la siede in foto, tutto tronfio, sotto le sue stampe di Mao Zedong, dittatore cinese che, di morti, in effetti ne ha fatti pochini: 46 milioni, dicono i "revisionisti". Tutto qui. Secondo: perché mentre i suoi colleghi ex parlamentari fanno la figura dei "pezzealculo", litigando per quattro spicci di vitalizio, il Subcomandante dimostra, con la sua collezione personale di Andy Warhol, di aver saputo investire bene i soldi della pensione parlamentare. Stile, sobria riccanza, superiorità culturale. Qui va aggiornato l'apologo: dai "comunisti col Rolex" ai "comunisti con la Pop Art". L'opera che espone Bertinotti in salotto è una edizione di Andy Wharol che appartiene a un portfolio risalente al 1972 pubblicato da Leo Castelli, che è uno dei più grandi galleristi del Novecento. È quello di Keith Haring, di Basquiat, di Wharol, appunto. È una edizione di 250 copie dello stesso portfolio di dieci poster che riproducono la figura di Mao Zedong in vari colori. Nella foto della maison Bertinotti se ne vedono tre. Le altre ce le avrà sparpagliate per casa. Forse una pure al cesso. A queste 250 si aggiungono 50 prove d'artista e quattro prove stampatore, lo Styra Studio di New York. Il record d'asta appartiene all'edizione uno di cinquanta (dei pezzi della prova d'artista) e ha battuto due milioni e mezzo di dollari nel 2012. Il 22 maggio, per la precisione, da Sotheby' s, Londra. E apparteneva alla collezione privata di Gunter Sachs, marito di Brigitte Bardot per tre anni, dal 1966 al 1969, fotografo, astrologo, morto suicida.

 

Sotheby' s gli dedica tutta una sessione d'asta in cui questo portfolio di dieci poster di Mao viene venduto al prezzo esorbitante di 2,5 milioni di dollari. I pezzi sono tutti firmati da Andy Warhol, come si vede anche dalla foto dello studio di Bertinotti e come spiega la didascalia del Corriere che, pubblicando l'immagine, ci ha tenuto a precisare si tratti di "pezzi originali". Ci sono diversi passaggi in asta dello stesso portfolio, verificabili su Artnet, sito che sul web tiene memoria storica di tutte le vendite di opere d'arte. L'edizione 120/250 è stata aggiudicata a un milione e duecento mila dollari. L'edizione 211/250 è stata venduta a 1,4 milioni di dollari. E poi ci sono tante altre vendite che, nell'ultima decade, oscillano tra il milione e il milione e seicento mila dollari. L'opera è pubblicata anche sul catalogo ragionato delle stampe di multipli di Warhol, che risale al 2003. Ma che roba è, si potrebbe chiedere un idrocefalo di destra? Il poster si basa su una tela di Mao, fatta da Andy Warhol, che riprende il ritratto ufficiale del Grande Condottiero, aggiornato ogni anno dall'autore ed esposto in piazza Tienamen a Pechino. Cioè, più che aggiornato doveva essere la copia fedele di se stesso. Wang Guodong per tutta la vita non ha potuto dipingere nient' altro, solo Mao. Ed era un lavoro tutt' altro che sereno, perché se sbagliava una riga, il dittatore gli avrebbe fatto tagliare la gola. Warhol riprende questo ritratto e lo fa diventare un'icona pop, come Marylin, come Kennedy, come la zuppa Campbell. Una tela di Mao tra gli anni Sessanta e Settanta, come pezzo unico è stato battuto per 32 milioni di dollari. Il valore di una tela di Mao "reverse" degli anni Ottanta, invece, si aggira intorno ai due milioni. Quanto vale l'opera di Bertinotti? Interpellando un mercante d'arte, la risposta è: tra il milione e il milione e mezzo di dollari. Ovviamente ci sono una serie di variabili: lo stato di conservazione, anzitutto. Se i poster sono intonsi e non hanno tagli, bruciature, segni, etc. allora hanno un valore. In caso di danneggiamenti o segni del tempo, ne hanno un altro. Un dato interessante è la provenienza dell'opera. Se Bertinotti le ha comprate da una collezione importante, hanno ancora più valore. Bisogna vedere che numero di edizione è, se è una prova d'artista, se addirittura è una delle quattro prove dello stampatore. Ma anche se fosse un'edizione qualsiasi, a dare maggiore valore a quel portfolio sarebbe il fatto di essere di proprietà dell'ultimo segretario (importante) dei comunisti italiani. Una icona pop. Pure lui.

di Salvatore Dama per www.liberoquotidiano.it