capture 060 06082020 102657Manlio Di Stefano è sottosegretario agli Affari Esteri da ben due governi, e sul suo profilo Twitter elenca scrupolosamente le sue deleghe: Asia, Onu, Imprese e Spazio, precisando di essere anche “responsabile Rousseau Lex Parlamento”, incarico quest’ultimo pomposamente vago. Ebbene, alla luce della sua posizione di primo piano alla Farnesina, Di Stefano non poteva certo esimersi dall’esprimere dolore e vicinanza al popolo libanese dopo la terribile esplosione che martedì ha sconvolto Beirut. Per questo la sera stessa, d’impulso, ha twittato urbi et orbi il suo doveroso comunicato di solidarietà. Già, ma a chi? Purtroppo ha sbagliato indirizzo: “Con tutto il cuore - ha scritto commosso - mando un abbraccio ai nostri amici libici”.

Ora, è vero che anche la Libia non è messa propriamente bene, devastata da una lunga guerra civile e finita in mano a Erdogan, ma - avrebbe detto Di Pietro - che c’azzecca con la strage di Beirut? Perché, se di Tripoli ce ne sono effettivamente due, una in Libia e l’altra in Libano, è fuori discussione che di Beirut ce n’è una sola. E allora? Possibile che un sottosegretario agli Esteri non conosca la differenza che passa tra un libanese e un libico? Certamente no, sarebbe un’ipotesi dell’irrealtà in qualsiasi parte del mondo, meno che nell’Italia del fantastico mondo grillino, dove l'incompetenza al potere è diventata una virtù, anche se l'idea che la politica migliore la possano fare i cittadini, gli inesperti, e i nemici del congiuntivo ha già prodotto disastri senza precedenti, complici ovviamente i troppi italiani che ci hanno creduto.

Di fronte a una tragedia di proporzioni epocali come quella di martedì, piombata in un Paese già vicino al default, è difficile anche fare ironia sulla crassa incompetenza della classe dirigente che Grillo ha catapultato dal nulla al governo con una rivoluzione sgangherata e stracciona che ha elevato l’ignoranza a sistema. Ma i social si sono ugualmente scatenati di fronte a uno sfondone che non poteva passare sotto silenzio, anche perché i Cinque Stelle, quando si tratta di storia, geografia (Beirut in Libia, Matera in Puglia) o anche di grammatica, non colpiscono mai da soli, come i leggendari fratelli De Rege. E infatti nella notte, dopo il disastroso errore - inutilmente cancellato e corretto – del sottosegretario, l’ineffabile senatrice Elisa Pirro ha pensato bene di dar manforte al più illustre collega mettendo così a segno su Twitter una memorabile doppietta: “Le immagini dell'esplosione avvenuta a Beirut sono sconvolgenti. Esprimo la mia vicinanza al popolo libico”. Quando si dice copiare dal compagno sbagliato.

 

Finito nel tritacarne dei social- ah la nemesi! - e sulle pagine online di tutti i giornali, Di Stefano prima l’ha buttata filosoficamente sul sarcastico (“Wow, pare che oggi io sia popolare!”), ma poi è salito in cattedra per spiegare che una distrazione per stanchezza non può cancellare i suoi strabilianti successi come uomo di governo e “ingegnere di formazione”. E qui abbiamo scoperto che grazie all’infaticabile opera del sottosegretario Di Stefano - uno che “si occupa da anni di Libano” (o di Libia?) “anche dal punto di vista “sia politico che commerciale” - in tutti i Paesi target della sua azione “l’export italiano è cresciuto mediamente del 15%”. Altro che gaffista, qui siamo di fronte a un autentico fenomeno della diplomazia.

Peccato, anche per statisti come lui, che il diavolo si nasconda sempre nei dettagli. E la geografia, come la storia, sono dettagli decisamente ostici per i grillini. Non è stato forse l’attuale titolare della Farnesina, Di Maio, a parlare di Pinochet come dittatore del Venezuela, o a chiamare due volte "Ping" il presidente cinese Xi, il leader  più potente del mondo? O, ancora, a definire in un messaggio quella francese come una " democrazia millenaria"?

Per cui Di Stefano ha ancora molta strada da fare per ambire alle vette raggiunte dal suo ministro. Ma il mondo è pieno di insidie, ed avrà sicuramente modo di rifarsi. Non ci sono infatti solo libanesi e libici, ma anche lettoni e lituani, indiani e indonesiani, irlandesi e islandesi. Di Corea ce ne sono due. Di Guinea addirittura tre. E poi: Austria e Australia possono diventare un autentico rompicapo, per non parlare di Niger e Nigeria , di Slovenia e Slovacchia, oppure di Mali, Malesia e Malawi.

Ma c’è poco da scherzare: i tanti, troppi Di Stefano che albergano tra governo e Parlamento non vengono mai sfiorati dal dubbio del cattivo esempio che danno con la loro resistibile ascesa al potere, dell’umiliazione che infliggono a un Paese che avrebbe bisogno di ben altra classe dirigente, e alle eccellenze che non trovano spazio perché il merito è stato abolito dall’uno-vale-uno. Il taglio dei parlamentari servirà almeno a ridurre il numero di questi Carneade della politica che, arrivati fortunosamente al potere, pretendono anche il diritto di distrarsi senza pagare pegno.

di Riccardo Mazzoni per www.iltempo.it