capture 164 10092020 143911No, che nessuno provi a buttarla sull’impeto visibilmente alterato e poco lucido della donna congolese che ieri ha aggredito Matteo Salvini a Pontassieve, strappandogli il rosario dal collo, la camicia e vomitandogli addosso una maledizione. No. Che la signora fosse o meno presente a se stessa, quanto accaduto è un quadro che come cornice ha il sistematico tamburellare della criminalizzazione, l’implicita chiamata alle armi contro il nemico da abbattere e il male assoluto. Va avanti così da quando Salvini è diventato segretario della Lega. E se vogliamo quanto successo ieri si incardina in una antologia del momento in cui c’è qualcuno che “passa ai fatti”.

Accadde, per fare qualche esempio, a Bologna nel 2014, quando Matteo Salvini, nel tentativo di visitare un campo rom, fu quasi raggiunto da una torma di attivisti dei centri sociali che riuscirono a sfondargli il lunotto dell’automobile. Oppure a Viareggio, 2015, quando il leader della Lega, appena salito sul palco, fu quasi colpito da un sasso scagliato, sempre dai civilissimi antagonisti. Gesti potenzialmente in grado di mandare lui, o chi è fisicamente attorno a lui, al Creatore. Così come allora il clima era quello della definizione del mostro, oggi non è cambiato. Di una virgola. E il fatto di Pontassieve nasce in un contorno ben preciso. A partire dal lungo post di un’associazione locale che definisce Salvini “ospite non gradito” della città, è che poi è stato condiviso dalla Sindaco. Ricordiamo, per gli amanti della democrazia, che l’ “ospite non gradito” è legittimamente impegnato in un tour elettorale a sostegno di Susanna Ceccardi per le elezioni regionali in Toscana. Per non parlare, poi, l’atmosfera di paura creata per “accogliere” il suo arrivo in città. Tanto che un ristorante dove era programmato un appuntamento conviviale con elettori, simpatizzanti e candidati ha revocato la disponibilità ad ospitare l’evento per via di pesantissime minacce di morte ricevute. Quella dei locali che si tirano indietro dall’ospitare appuntamenti elettorali di Salvini è un altro genere molto gettonato.

 

La dinamica è sempre la stessa: arrivano minacce e i gestori preferiscono evitare. Porte chiuse ad esempio da un ristorante a Bagno di Ripoli. A Orbetello una gelateria, con tante scuse, dopo un assenso iniziale ha rinunciato a fornire l’energia elettrica per un comizio. D’altronde, la tortura che si abbatte su quelle aziende che hanno l’ardire di far entrare Salvini l’ha provata un caseificio in provincia di Pisa, su cui è piovuta, oltre alla solita sequela di intimidazioni, anche una campagna social di invito al boicottaggio dei prodotti. In tutto questo, però, c’è una costante. Ossia il cannoneggiamento, perenne e strumentale, di certo generone intellettuale. Rula Jebreal, per fare un esempio, a proposito dell’orribile omicidio di Willy Monteiro a Colleferro ha scritto: “ecco cosa accade quando i leader di destra seminano odio e incitano alla violenza contro gli emigrati”. Ovviamente la chiamata in causa implicita è per Salvini e Meloni. Padre Alex Zanotelli, sempre a proposito dello stesso caso, ha dato la colpa anch’egli alla “predicazione fatta da Salvini e dalla Meloni” e, per non tener fuori nessuno, a “30 anni di televisione berlusconiana”. Poi ci sono sempre i grandi classici. Vauro che disegna un Salvini mentre tiene al guinzaglio una ringhiante Ceccardi (ma in questo caso nessuna tempesta di decibel delle femministe).  O ancora Roberto Saviano. L’antefatto è questo: in un quartiere di Mondragone dove la presenza di immigrati aveva creato alcuni problemi si crea un focolaio di covid, con tensioni nella popolazione. Salvini mette in programma di andare in città. L’autore di Gomorra gli intima di andare a “chiedere scusa”, imputandogli l’insorgere di problemi di ordine pubblico nella convivenza tra italiani e stranieri. Comunque, Salvini va nel comune campano e viene accolto da una minacciosa protesta dei centri sociali che lo costringe a rinunciare all’appuntamento per poi ritornare successivamente, quasi a sorpresa. Da ultimo, c’è la lista delle sedi e dei comitati della Lega vandalizzati, anche nelle ultime settimane. Ecco un breve  e incompleto assaggio: a Bari un folle si introduce nel comitato elettorale di un candidato alle regionali, strappa i manifesti e prende a calci gli arredi. Ad Ascoli Piceno uffici della Lega “marchiati” con una svastica. A Carrara quasi sfondata la porta di ingresso. A testimonianza che la nostra democrazia non sta benissimo, se praticare la propria idea o fare campagna elettorale diventa un rischio. 

di Pietro De Leo per www.iltempo.it