capture 087 20092020 103725“Non ho mai venduto la mia funzione, né a Lotti, né a Centofanti, né a nessuno” giura Luca Palamara facendo un’accorata autodifesa di fronte all’assemblea dell’Associazione nazionale magistrati. Che dovrà esprimersi sul suo ricorso contro l’espulsione. E che, alla fine, forse anche per evitare uno scontro frontale che non farebbe bene a nessuno, cede alla sua richiesta di illustrare personalmente le ragioni del suo ricorso contro l’espulsione decisa dal Comitato Direttivo Centrale il 20 giugno scorso.

“I fatti disvelati dall’indagine di Perugia, l’emergere, pochi mesi fa, di altri gravi episodi hanno provocato  conseguenze  drammatiche per il sistema, ed innescato una crisi profonda, i cui effetti non sono del tutto prevedibili, oltre alla già percepibile, gravissima perdita di credibilità del nostro ruolo, con ciò che esso significa nel rapporto tra giustizia e cittadini“, aveva ammesso poco prima il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Poniz, in uno dei passaggi della sua relazione all’assemblea generale. Una crisi, aveva cercato di distribuire le colpe Poniz, che “non  riguarda solo il nostro assetto, il nostro ordinamento. È anche una crisi di funzionamento. E  la fiducia che i cittadini nutrono nei nostri confronti è drammaticamente precipitata. La fiducia è un elemento essenziale di legittimazione della funzione giurisdizionale”.

 

“Non mi sono mai sottratto ai processi né in tutte le situazioni in cui sarò chiamato. Sono qui per metterci la faccia, ma chiedo di essere giudicato serenamente“, rivendica Palamara certo di convincere i colleghi dell’Anm a non metterlo alla porta del potente sindacato delle toghe.

Sarebbe l’ultimo umiliante ceffone al magistrato passato in un attimo dalle stelle alle stalle. E che ha messo a nudo il vergognoso andazzo di una casta che fatica a mettersi davvero in discussione rispetto alle nefandezze emerse in questi anni.

La vicenda Palamara non è che l’ultimo delle centinaia di casi devastanti di toghe che, con il loro comportamento ben oltre i confini del penale – ma anche con certe inchieste spudoratamente ideologiche e ad personam – hanno infangato le Istituzioni e fatto perdere credibilità alla magistratura nel suo insieme.

“Ho avuto rapporti con la politica”, ammette l’ex-segretario dell’Anm affrettandosi, tuttavia, a ricordare ai suoi colleghi che “la frequentazione con la politica, il confronto sulle nomine è sempre esistito”.

Come dire: anche voi lo sapete bene come funziona…

E non c’e dubbio alcuno che buona parte dei sindacalisti dell’Anm – che rispondono a logiche correntizie e di appartenenza politica – non vengano da Marte. Come diceva un tempo la magistratura “non potevano non sapere…”

“Gli incontri non erano clandestini”, assicura Palamara ironizzando sul fatto che “l’hotel Champagne” di Roma dove avvenne l’incontro galeotto tra lui, 5 ex-togati del Csm, e i politici renziani Luca Lotti e Cosimo Ferri per mettere a posto le caselle delle nomine in una specie di Risiko imbarazzante per le Istituzioni “non è un posto per nascondersi”. .

Sono stato travolto dalla fiumana e mi sono perso – ammette l’ex-potente pm romano folgorato sulla via di Perugia dove la locale Procura lo sta facendo a fette e si prepara a processarlo per competenza territoriale. – Ma non sento di essere stato moralmente indegno”, si autoassolve Palamara.

Sempre che dire, come ha fatto lui ad un collega, “c’è anche quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto” conferisca al magistrato romano una patente di dignità di fronte agli italiani e allo stesso Salvini.

“Fino al 2008 ho fatto lo scribacchino di atti, prima a Reggio Calabria poi a Roma – dice Palamara, ricostruendo, così, la sua folgorante carriera che, ad un certo punto, lo ha portato ai massimi vertici delle toghe per poi precipitarlo nel fango. – Poi la mia posizione nella vita politico-associativa mi ha dato un altro ruolo”.

E probabilmente così dicendo, Palamara non si rende davvero conto che ci sono alcune migliaia di suoi colleghi onesti, perbene, integri e appassionati del proprio lavoro oltreché consapevoli del proprio ruolo e del valore che conferiscono alla propria toga, che per tutta la carriera hanno fatto gli scribacchini – come li chiama lui con malcelato disprezzo – con onesta dedizione senza pensare di scalare i vertici dell’Anm e del potere giudiziario, magari sfruttando le relazioni con la politica.

Ho vissuto un’altra vita, una vita di rappresentanza, se ho fatto bene o male non posso dirlo io”, dice Palamara che identifica l’inizio della fine della sua splendida carriera in un momento preciso della sua ascesa.

“E’ stato un errore tornare alla Procura di Roma dopo il Csm. Un errore fare poi la domanda da aggiunto. Le cariche che ho avuto mi hanno fuorviato. E mi hanno fuorviato le mille richieste che mi arrivavano”, sottolinea Palamara ricordando a chi lo sta ascoltando che di cose ne sa parecchie. E pure parecchio imbarazzanti per la casta in toga.

E riferendosi alle molte conversazioni estratte dalle chat del suo cellulare spiega: ”non ho mai cancellato i messaggi, dalle chat sono scaturiti 3 procedimenti penali e 6 disciplinari”.

“La frequentazione con Lotti? Col senno di poi dico che non dovevo farlo”, ha concluso Palamara.

“Lo ringrazio per il suo intervento – replica Poniz quando oramai Palamara se ne è andato – Ma poi la sua fuga, seguito dalle telecamere, ci ha impedito di rivolgergli domande. Io gli avrei chiesto che intendeva dire quando diceva che voleva mettere paura ai colleghi che si opponevano alla sua domanda oppure che l’Anm non conta un c… Se intendeva dire che ora l’Anm ha un altro ruolo sono contento, è un primo buon risultato”.

Alla fine Poniz cerca di metterci una pezza a colori: “l‘Anm di Luca Palamara non esiste più – prova a sostenere il presidente del sindacato dei magistrati – perché oggi non pensa all’autocollocazione e alla carriera ma alla tutela dei colleghi”. Poi via libera all’espulsione del reprobo.

di Paolo Lami per www.secoloditalia.it