capture 056 14102020 110810Trump non ama le guerre, in fondo perchè non portano soldi. Già all’inizio del suo mandato ha dettato  la linea: meno interventi all’estero e chi vuole la difesa militare USA deve pagarla. La discontinuità con Obama – ed anche con Bush – sta nell’approccio, innovativo. Il risultato in parte è stato il rafforzamento del trend esistente, ossia il riarmo EU e la sfida aperta della Cina vs. USA.

Il problema della Cina tutti lo conoscono, che poi è anche un problema EU: entrambi vogliono sfilarsi dal dominio americano, sia economico, che egemonico, che militare. Dimenticando che solo grazie alla Pax Americana c’è stata una politica estera EU finalizzata non al conflitto, infatti  per 2000 anni le politiche economiche in EUropa sono coincise con guerre ad oltranza. In Asia l’apertura dei commerci c’è stata solo con gli USA al comando: grazie a Washington si è potuta tenere sotto scacco sia la politica coloniale inglese che le sfide ripetute tra giapponesi, cinesi ed in parte indiani e pakistani (retaggio coloniale britannico quest’ultimo), dando sfogo al mercantilismo più spinto.

Come al solito gli USA fanno del pragmatismo la loro migliore arma: oggi il loro problema non è tanto militare, infatti manterranno ancora per un decennio un vantaggio incolmabile con le grandi potenze in termini bellici, ma economico. Infatti la principale fonte di ricchezza USA sta nel poter scambiare carta verdastra con preziose merci fisiche. Il problema è che questo giochetto va avanti da troppo tempo, avendo per altro dato spazio ad ambizioni di potere basate sulla possibilità di esportare merci in USA grazie al “giochetto suddetto della carta verde” ma spiazzando così  troppe imprese americane , che via via hanno chiuso. Anche questa è guerra, o meglio, nel momento in cui Washington ha deciso di non accettare più la propria deindustrializzazione Cina ed EU franco-tedesca hanno deciso di passare al confronto aperto. Come? Evitando la svalutazione del dollaro, che avrebbe corretto i differenziali.

 

Il problema della Cina tutti lo conoscono, che poi è anche un problema EU: entrambi vogliono sfilarsi dal dominio americano, sia economico, che egemonico, che militare. Dimenticando che solo grazie alla Pax Americana c’è stata una politica estera EU finalizzata non al conflitto, infatti  per 2000 anni le politiche economiche in EUropa sono coincise con guerre ad oltranza. In Asia l’apertura dei commerci c’è stata solo con gli USA al comando: grazie a Washington si è potuta tenere sotto scacco sia la politica coloniale inglese che le sfide ripetute tra giapponesi, cinesi ed in parte indiani e pakistani (retaggio coloniale britannico quest’ultimo), dando sfogo al mercantilismo più spinto.

Come al solito gli USA fanno del pragmatismo la loro migliore arma: oggi il loro problema non è tanto militare, infatti manterranno ancora per un decennio un vantaggio incolmabile con le grandi potenze in termini bellici, ma economico. Infatti la principale fonte di ricchezza USA sta nel poter scambiare carta verdastra con preziose merci fisiche. Il problema è che questo giochetto va avanti da troppo tempo, avendo per altro dato spazio ad ambizioni di potere basate sulla possibilità di esportare merci in USA grazie al “giochetto suddetto della carta verde” ma spiazzando così  troppe imprese americane , che via via hanno chiuso. Anche questa è guerra, o meglio, nel momento in cui Washington ha deciso di non accettare più la propria deindustrializzazione Cina ed EU franco-tedesca hanno deciso di passare al confronto aperto. Come? Evitando la svalutazione del dollaro, che avrebbe corretto i differenziali.

Il problema è che sia il blocco EU che quello cinesi stanno utilizzando trucchetti non consoni alle loro ambizioni di potere. I fatti sono semplici: se il mondo anglosassone smetterà di consumare beni esteri ci saranno più o meno 650 mld di dollari all’anno di beni asiatici e EU che dovranno trovare un compratore che non esiste.

Agree to coordinated intervention in foreign exchange markets to deal with the US trade deficit. They agree to sell U.S. dollars (increase supply) and lower its value. The dollar had strengthened from 1980 to G7 felt a weak dollar was needed to offset U.S. trade deficit. Dollar weakens in response to central bank intervention. Longer term it continues to weaken in response to a worsening U.S. trade deficit. The dollar embarks on about a 10 year period of weakness.

Oggi nessun grande attore globalista vuole più accettarfe un nuovo “Plaza Accord”

La debolezza cinese sta nell’inflazione, da sempre il trigger per l’esplosione di conflitti interni, Tienammen docet. L’EU invece è più strutturata in quanto gioca nel mondo globale della finanza come coalizione di stati deboli e forti, in realtà però facendo l’interesse solo di Germania e Francia. Da qui la considerazione che per combattere le ambizioni cinesi l’inflazione è il tallone d’Achille, mentre per disinnescare la minaccia EU gli USA devono semplicemente smontare l’euro.

Da quanto sopra emerge chiaramente che Trump non vuole scontri militari, se non sono risolutivi e strettamente necessari. Preferisce  l’approccio diciamo business, “tu mi dai, io ti do”. Alla fine i dazi sono precisamente la risposta USA al fatto che la Cina non permetta al dollaro di svalutarsi, ricordando che le valute veramente forti sono quelle che riescono ad essere svalutate alla bisogna.

Ora, mentre la Cina è una battaglia tra Washington e Pechino, con il supporto logistico britannico agli USA soprattutto ad Hong Kong e nei paesi del Commonwealth, l’EU è una partita con più attori. Da novembre, con la Brexit, il primo mattone dal muro EUropeo verrà tolto, rendendo la muraglia dell’euro più fragile: se Londra dovesse avere successo nella suo politica emancipata dall’EU significherà che ci hanno racconato un sacco di bugie (infatti, così scopriremo essere).

Ma per abbattere la  moneta unica, ovvero togliendo vigore alla BCE nella sua opera di manipolazione dei mercati per tenere il dollaro alto, l’unica strada è fare in modo che un membro della moneta unica esca dalla compagine. L’idea USA era che sarebbe stata l’Italia a farlo, solo per trovarsi alla fine fregata tre volte dalla Lega, che doveva essere pro-ITALEXIT ed invece si è tirata indietro, doveva restare nell’alveo atlantico a livello di commercio ed invece ha firmato con la Cina la via della seta, doveva preservare l’interesse di intelligence USA ed invece accoglie Huawei a Milano (il suo feudo leghista), doveva rifiutare l’esercito EU ed invece i passi di avvicinamento all’armata EUropea sembrano sempre più consistenti, a partire dal supporto alla TAV che nasconde nella sua genesi un importante laboratorio EUropeo sotto il Frejus , il cui uso ad oggi non è noto (ma , essendo un progetto di espansione del sito di Modane, si ritiene sia di carattere militare, ndr).

Il problema secondo alcuni romani è che gli USA, dal piano Marshall in avanti hanno sempre inondato l’Italia di dollari; ma da alcuni anni si rifiutano di mandare cassa a Roma. Dunque la politica romana, che si nutre personalmente di cassa/tiene famiglia, probabilmente ha preso un’altra strada, quella EU-francese e cinese, che ultimamente pagano molto. Se infatti voi pensate che la Roma politica faccia l’interesse degli italiani vi sbagliate di grosso: da 75 anni gli affari più loschi partono proprio da Roma e sono contigui alla politica. La vera rivoluzione trumpiana è stata forse proprio quella di smettere di sovvenzionare gli alleati politici coi dollari, sulla base della semplice considerazione – fattuale – che detti alleati hanno bisogno degli USA, soprattutto oggi, il caso dell’Italia sarebbe da manuale.

Peccato che i metri di misura USA – sempre finalizzati sempre ad un equilibrio tra interesse del Paese e interesse dei politici coinvolti, che infatti possono oltreoceano utilizzare le informazioni riservate in loro possesso per fare trading personale, … – siano totalmente diversi da quelli italici, dove dell’interesse del Paese interessa pochissimo, visto che tutti i politici e qeullo che gira loro intorno “tengono famiglia”. Alla fine questo è stato un errore di Trump, non capirlo. E forse questa è stata la ragione della cornificazione USA firmando l’accordo della Via della Seta.

Ne parlavo rfecentemente con un amico USA, giungendo alle stesse condizioni. Parimenti, entrambi abbiamo concluso che è solo questione di tempo prima che tale anomalia vada corretta lato USA: infatti gli USA sono stati disposti ad accettare intemperanze politiche soprattutto italiane tutto sommato di relativo pericolo per 75 anni; oggi però esiste una sfida vera e reale con la CIna, che di fatto è supportata negli intenti dall’EU, con cui Pechino è in asse. Dunque anche i metodi oggi cambieranno, inevitabile. E, soprattutto,oggi gli USA non hanno più un interlocutore affidabile in Italia (Roma è stata la darling di Washington per oltre mezzo secolo, oggi non lo è più).

In tale contesto, ben difficilmente le intemperanze italiche verranno trattate come in passato. D’ogni modo il passaggio chiave sarà la Brexit, dopo di cui il comando delle operazioni italiche verrà passato in toto al fido Boris Johnson, che rappresenta l’entità che da oltre 150 anni ha in gestione l’affaire Italia, una loro creatura (che ha fatto perdere ben due guerre mondiali ai tedeschi, un successone, ndr).

Certo, fossi local non mi farei molte illusioni su un trattamento di favore: quando si è in guerra vale tutto. Ed oggi il mondo anglosassone è in guerra con cinesi e francotedeschi (uniti in alleanza con gli iraniani) per la propria sopravvivenza in veste di primario attore. Ah, dimenticavo, Israele sta con gli USA, mai dimenticarlo

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