capture 376 18112020 173035Ormai non devi più dire cose estreme, provocatorie, controcorrente per essere giudicato un fascista. No, basta pronunciare cose ovvie, abbastanza risapute, frasi di buon senso. È così che funziona la Dittatura del Pensiero Unico: nega la veridicità di fatti conosciuti e modifica il passato in nome del politicamente corretto. Ne sa qualcosa, suo malgrado, Bruno Vespa, ieri ospite della trasmissione Agorà su RaiTre, dove ha presentato il suo ultimo libro, Perché l'Italia amò Mussolini (Mondadori). In un passaggio del programma il celebre giornalista ha osato dire: «Nel libro racconto gli anni del consenso: Mussolini ha avuto un consenso enorme, all'estero e anche in Italia, per le sue opere sociali. Ha creato i contratti nazionali, l'Inps, la settimana di 40 ore». Apriti cielo! Per queste affermazioni gli sono piovuti addosso sui social insulti e accuse di revisionismo e collaborazionismo tipo: «Vespa sta provando a riabilitare la figura di Mussolini», «Vespa è uno dei responsabili della grande opera di rimozione dei crimini fascisti», «È un nostalgico che fa apologia del fascismo». Naturalmente non è stato bersagliato solo lui, ma anche Agorà e la sua conduttrice, Luisella Costamagna, "rea" di non aver contestato l'affermazione di Vespa e di aver consentito che venisse rilanciata sui social; e più in generale tutta la Rai, "colpevole" di aver permesso questa "marchetta" al libro "fascistissimo".

Tutti questi odiatori meriterebbero di essere snobbati o di ricevere una pernacchia. Ma noi ci sforzeremo di replicare nel merito. Costoro mettono in discussione il fatto che Mussolini godesse di un consenso enorme, all'estero e in Italia. Spiace deluderli, ma era proprio così. E a dirlo è un certo Renzo De Felice, che tutto era fuorché uno storico fascista: i dementi del web si leggano Mussolini il Duce: gli anni del consenso (1929-1936), sempre che siano in grado di farlo, per comprendere come il regime riuscì a costruire il consenso interno anche attraverso azioni di politica economico-sociale. E, se proprio non gli basta, si guardino il recente M - Biografia non autorizzata di Benito Mussolini (Uno Editori) di Marco Pizzuti per ricordare come, prima della guerra di Etiopia del 1935-36, Mussolini godesse di una grande stima negli Usa, in Gran Bretagna e Francia, al punto che la stampa estera si sbilanciava definendo l'Italia fascista un paese modello. Vespa dice anche che Mussolini creò i contratti nazionali, l'Inps e la settimana di 40 ore. Le iene del web e i siti smaschera-bufale obiettano che non furono conquiste del regime fascista.

 

Spiace deluderli anche stavolta: è vero, già nel 1898 fu istituita una Cassa di previdenza che copriva però solo alcune categorie di lavoratori; ed è vero che questo sistema venne esteso a tutti i lavoratori già nel 1919, con un decreto del governo liberale di Orlando; ma ci si dimentica che questo decreto fu convertito in legge solo nel 1923, quando al potere c'era il fascismo (e che anche il nome INPS deriva dall'INFPS nato nel 1933). Per la settimana lavorativa di 40 ore i male informati si guardino il Regio Decreto 1768 del 1937, dedicato proprio alla faccenda. Quanto al contratto, fa fede la Carta del Lavoro del 1927, straordinaria conquista dal punto di vista dei diritti dei lavoratori che assicurò, tra le altre cose, l'indennità di licenziamento, le ferie pagate, la conservazione del posto in caso di malattia e varie forme di assicurazioni sociali poi travasate nell'Italia repubblicana, come ben ricorda ora il libro Civiltà del lavoro edito da Altaforte. Non stiamo qui a ricordare le altre conquiste sociali del regime. Queste cose sono fatti. Così come lo sono tutti gli orrori del fascismo, a partire dal primo: la privazione della libertà personale, la pretesa che l'individuo si adeguasse alle volontà dello Stato e alle prepotenze del governo. Anche in questo caso stiamo ribadendo l'ovvio. Ma ci tocca farlo perché in Italia non abbiamo ancora maturato nei confronti del fascismo la serenità di considerarlo un periodo da studiare e archiviare, consegnandolo alla storia. Da noi c'è ancora chi parla di incombente minaccia nera...

di Gianluca Veneziani per  www.liberoquotidiano.it