capture 006 02122020 105847Il New York Times ha definito “lodevole” l’iniziativa di Trump di ritirare le truppe dall’Afghanistan. L’incredibile lode del media più avverso al presidente ha un suo peso, anche perché l’articolo è firmato dalla “Redazione”, da cui un tono di ufficialità.

L’iniziativa di Trump sembra così avere una prospettiva reale, al contrario di altre che verranno cancellate nel caso di un cambio di guardia alla Casa Bianca.

Il Nyt elogia il ritiro dall’Afghanistan

Detto questo, il Nyt fa un distinguo. Le truppe devono sì tornare a casa, ma con una ritirata “responsabile”, dal momento che se gli americani abbandonano subito il campo, il Paese ripiomberebbe nel caos. Tesi che può essere contestata da quanti ritengono, come tanti afghani, che tale caos è arrivato al parossismo dopo l’intervento Usa.

Ma al di là del particolare, vanno registrate con interesse due annotazioni del giornale della Grande Mela. La prima è che il ritiro può dar modo agli Stati Uniti di avviare un dialogo sulla stabilizzazione del Paese con le nazioni confinanti.

Tra queste, anche Cina, Iran e Russia, interessate come e più degli Stati Uniti a riportare la pace nel Paese. Una convergenza che, pur al netto di vane illusioni, potrebbe essere foriera di possibilità anche per altre criticità che oppongono tali Paesi agli Stati Uniti.

Non solo, nel riferire la “lodevole” iniziativa trumpiana, il Nyt ricorda come Joe Biden fosse contrario all’incremento massivo della presenza americana in Afghanistan avvenuto durante il mandato di Obama, il tragico surge consigliato dal generale David Petreaus, che avrebbe dovuto uccidere tutti i leader del Terrore (non solo non è riuscito allo scopo, ma,  per una bizzarra eterogenesi dei fini, quando Petreaus fu travolto da uno scandalo sessuale, si scoprì che usava il loro stesso metodo per inviare messaggi alla sua amante…).

Il senso di Biden per l’Afghanistan sarebbe parte di una prospettiva più ampia, secondo il Nyt, che ricorda come egli, in un articolo pubblicato la scorsa primavera su Foreign Policy, abbia scritto: “È ora di porre fine alle guerre infinite”.

 

Il conflitto afghano e le guerre infinite

Quanto scrive il Nyt riecheggia un articolo del National Interest di alcuni giorni fa, dal titolo: “Il ritiro dall’Afghanistan è il regalo di Trump a Joe Biden”, nel quale si annota la contrarietà di Biden alla guerra afghana, che ebbe a manifestare durante una visita alle truppe inviate nel tormentato Paese asiatico.

Il ritiro ordinato da Trump, per il NI, sarebbe quindi un regalo d’addio del presidente uscente al suo (eventuale) successore.

Un regalo ben accetto, dato che, nonostante sia stato criticato da media, esponenti della Sicurezza e del partito democratico, ha invece trovato il plauso del democratico Adam Smith, presidente della Commissione per i servizi segreti militari della Camera, che ha parlato di una “decisione politica giusta”.

Tale plauso, annota il NI, è arrivato dopo un colloquio tra lo stesso Smith e il nuovo Capo del Pentagono, che di concerto con Trump ha preso la decisione. Ma anche perché Smith ha interpretato correttamente “i segnali provenienti dal Delaware, dove si trovava il team del presidente eletto, che è rimasto in silenzio sull’iniziativa riguardante l’Afghanistan. Per una buona ragione: per Biden, la decisione di Trump avrebbe dovuto esser presa più di dieci anni fa”.

Come per il Nyt, anche per il NI il ritiro dall’Afghanistan è un passo necessario per porre fine alle guerre infinite, come evidenzia il sottotitolo della nota: “Il “cubo di Rubik dei conflitti sta finalmente finendo?”.

Rompicapo complesso quello delle guerre senza fine, che a quanto pare vede una convergenza segreta tra Biden e Trump nonostante l’accesa conflittualità, che vede quest’ultimo battagliare per far valere le proprie ragioni nei tribunali, con scarsi risultati.

Trump: dead or alive? 

La battaglia di Trump ha due scopi: se anche non riuscisse a ribaltare l’esito delle elezioni, può però garantirgli una sopravvivenza politica, dato che gli consegna visibilità e tiene viva la presa sul suo elettorato.

Un’ipotesi che circola sui media Usa è che egli si appresti a creare un network politico-mediatico che gli consenta di continuare a fare politica. In tal modo riuscirebbe a tenere le fila di parte del partito repubblicano – esclusi gli avversi neocon – che ha bisogno del “suo” elettorato.

Tale network continuerebbe la battaglia per chiudere le guerre infinite, tema che resterà al centro della politica americana.

Se davvero, come ha scritto, Biden vuol chiudere tale stagione infernale, si troverà contro i liberal del suo partito e i neocon repubblicani, oltre che parte importante della Sicurezza. Una resistenza fortissima, che la sponda esterna di Trump potrebbe aiutare a superare. Ma perché ciò accada, Trump deve sopravvivere.

C’è dibattito sul tema: se cioè l’attuale presidente, una volta uscito dalla Casa Bianca, debba essere ucciso politicamente o meno. Forti sono le spinte perché la nuova (eventuale) amministrazione lo distrugga.

A maggio Biden ha detto che non avrebbe mai perdonato Trump, ma serviva a prendere voti. Ora è diverso e anzi si detto disposto a incontrarlo. Peraltro, Trump potrebbe dimettersi e farsi perdonare dal suo vice Mike Pence, togliendogli le castagne dal fuoco.

Al di là di tali ipotetici scenari, se Biden vuol chiudere le guerre infinite ha bisogno che Trump sopravviva.

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