capture 069 31012021 191614«Abbiamo chiesto che siano accantonati alcuni temi divisivi, penso alla questione del Mes». Queste le parole di Vito Crimi al termine dell’incontro della delegazione del M5s con il presidente della Camera Roberto Fico. Ebbene, appena qualche ora dopo nella stessa Sala della Regina, a Montecitorio, si presenta il leader di Italia viva Matteo Renzi e i temi divisivi, a partire dal Mes, sul tavolo li mette tutti. Non solo, l’ex premier si spinge oltre, puntando i riflettori su un altro «totem» dell’universo pentastellato: il reddito di cittadinanza.

Basterebbe questo piccolo scambio di vedute per comprendere quanto sia in salita la strada di un nuovo «patto di legislatura» tra le forze che componevano la maggioranza del Conte bis. Per non parlare di quella che, probabilmente, è la madre di tutte le questioni: la poltrona di Palazzo Chigi. Con i grillini che continuano a blindare il premier dimissionario e Renzi che si rifiuta di fare nomi «perché prima vengono i contenuti e poi le persone».

Il leader di Italia viva, a dispetto dei toni necessariamente istituzionali e concilianti dell’occasione, si è presentato da Fico con il chiaro intento di sfruttare tutto il vantaggio competitivo accumulato nel primo tempo della crisi. E così, al cospetto del presidente della Camera, ha elencato certosinamente i temi che, a suo vedere, dovrebbero rappresentare il faro del nuovo governo. Ha citato, come detto, il Mes («perché la sanità ha bisogno di un enorme investimento»), ha accennato alla «struttura commissariale» (e a Domenico Arcuri saranno fischiate le orecchie), ha parlato di sblocco degli investimenti, ha attaccato il cashback di Conte e, ciliegina sulla torta, ha messo nel mirino il reddito di cittadinanza. Il sussidio caro ai grillini per Renzi va eliminato o quantomeno rivisto nel profondo. Perché non è accettabile che si sia trasformato in una mera elargizione di denaro pubblico senza che la parte dedicata alle politiche attive abbia mai visto la luce. Perché è intollerabile aver arruolato tremila navigator senza poi definirne il ruolo. Perché i «lavori sociali» che i benefattori avrebbero dovuto prestare non sono mai partiti. Perché mancano ancora svariati decreti attuativi per implementare la riforma, tra cui anche quello che dovrebbe definire il concetto di «offerta congrua» di lavoro. Al punto che oggi chi dice no a un’assunzione non corre alcun rischio di perdere il sussidio.

 

A fronte di questo elenco di criticità, Renzi non ha apparentemente messo veti: «Se siamo disponibili a rivedere le posizioni sul Mes, ci aspettiamo che anche altri lo siano su altri punti» ha detto sibillino dopo il colloquio con Fico. Come a significare: se noi cediamo sul fondo Salva stati, i Cinquestelle dovranno cedere su Reddito, infrastrutture (tutti i cantieri che attendono il via libera), Ilva (addio ai progetti di riconversione «verde») e tanto altro. Più avanti, chiaramente, lo stesso schema sarà applicato ai nomi. E anche su Conte premier, lascia intendere, si dovrà valutare.

A tal proposito, non va sottovalutato un altro passaggio centrale del discorso di Renzi. Quello in cui ha immediatamente sposato la proposta di Crimi di un «documento scritto in cui si stabilisca il cronoprogramma di cosa si fa e a chi spetterà farlo». Un chiaro richiamo al contratto di governo dell’era gialloverde. Nei progetti di Renzi, sostanzialmente, se Conte vuole restare presidente del Consiglio dovrà riabituarsi a recitare il ruolo di semplice passacarte dei partiti che lo sostengono.

E se non lo accettasse? Semplice. Per il «rottamatore» a Palazzo Chigi potrà accomodarsi qualcun altro. Un politico, meglio. Magari giocando di sponda con l’ala grillina meno contiana, a cui non dispiacerebbe liberarsi del premier per salvare i punti principali del programma 5 Stelle. Oppure, se la trattativa saltasse del tutto, andrebbe bene anche una «riserva della Repubblica» per un governo istituzionale. In fondo, incassata l’indisponibilità di pressoché tutti i partiti ad andare a elezioni anticipate, per Renzi si tratterebbe comunque di una vittoria. Le carte migliori ce le ha ancora lui. Per ora.

di Alberto Di Majo e Carlantonio Solimene per www.iltempo.it