capture 118 10022021 103959Una proposta: dedichiamo un pezzettino di Bergamo al ricordo di queste povere vittime.

Siccome, in questi giorni, sono più affaccendato del Figaro rossiniano, per la nostra rubrichetta vorrei sottoporre ai miei tre lettori una riflessione che mi deriva proprio da questa frenetica attività.

Dovete sapere che, per uno storico, sia pure modesto come il sottoscritto, i giorni a cavallo tra il 27 gennaio e il 10 febbraio sono giorni, professionalmente parlando, alquanto impegnativi: tantissime pubbliche amministrazioni, associazioni, istituzioni, organizzano convegni, celebrazioni, incontri, sul doloroso tema degli olocausti, dato che, in quelle due date, cadono il giorno della memoria, che ricorda la Shoah, e quello del ricordo, dedicato all’esodo degli italiani di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia e al dramma delle foibe.

Siccome gli storici, sulla piazza, non è che siano tantissimi, ci si deve accontentare di quel che passa il convento: dunque, io sono di corvée, per un mesetto buono. La cosa, mi ha messo una certa curiosità, circa la memoria odonomastica di quelle due ricorrenze e sono andato a spulciare lo stradario cittadino, per vedere se ve ne comparisse traccia: chessò, una via “Vittime dell’Olocausto”, un piazzetta “Martiri delle foibe” o qualcosa del genere.

Però, non ho trovato proprio nulla: c’è via Martiri di Cefalonia, che, concettualmente, si può associare al contesto in cui maturò anche la tragedia istriano-dalmata del 1943, ma nulla di più.

Così, stavolta, anziché indicarvi qualche strada dal nome bizzarro o svelarvi qualche curiosità storica, legata a questa o quella intitolazione, vi parlerò di due strade che non esistono e che, forse, dovrebbero esistere, dati i tempi in cui viviamo. La storia insegna, la storia si ripete.

 

Gli strumenti per trasmettere la storia e cercare di evitare che si ripeta sono molteplici: tra questi ci può anche essere l’odonomastica. Può non sembrare possibile, eppure i nomi delle strade suscitano curiosità, pongono, talvolta, domande: entrano nella mente della gente e, un millimetro alla volta, costruiscono una memoria collettiva, una memoria civile. Non tutti sanno cosa sia la Shoah: non dico che tanti non ne conoscano le dinamiche, i meccanismi, i calamitosi effetti, ma proprio che molta gente non sa neppure cosa sia l’Olocausto del popolo ebraico.

Lo stesso, su scala ancora maggiore, si può dire per i massacri che colpirono i nostri connazionali del litorale adriatico nel 1943 e nel 1945: se sulla Shoah molto si è detto e scritto, in certi contesti, parlare di foibe viene ancora considerato un atto eversivo o, peggio, un’operazione parafascista.

Dedicare una stradina, una piazzetta, un piccolo giardino della nostra città alle vittime sventurate di queste due tragedie mi sembrerebbe un atto di umanità e, al tempo stesso, di civiltà: tra tante intitolazioni un po’ così, da via uccellanda a via del sole, da piazzale della scienza a via degli ortolani, una vietta, una piccola piazza dedicata a loro mi pare che non farebbe gran danno.

E, così, io lo propongo a voi e a coloro che, oggi e domani, faranno parte della commissione che stabilisce l’intitolazione delle vie orobiche: dedichiamo un pezzettino di Bergamo al ricordo di queste povere vittime. So bene che è poca cosa, che ci sono cose più concrete con cui si può plasmare la memoria civile di un popolo: ma cominciamo da questo. Anziché trasformare tutto in una rissa, in una specie di jungla, facciamo un gesto che non offende nessuno e che, in qualche modo, restituisce dignità e ricordo a persone che hanno perso tutto, per colpa di tragedie più grandi di loro.

Immagino già qualche reazione indignata: si tratta di cose che non possono essere accomunate! È verissimo e, infatti, io non le accomuno: non propongo che si intitoli una strada alle vittime di tutti gli olocausti. La Shoah è una sorta di luttuosa festa nazionale del popolo ebraico, e tale deve rimanere, a mio parere. Allo stesso modo, le foibe sono una tragedia che ha colpito gli Italiani d’Istria, di Dalmazia e della Venezia Giulia ed è per ricordare il loro sacrificio che faccio questa proposta.

Sono due storie diversissime e terribilmente simili: io propongo di ricordarle, tangibilmente nei nomi delle nostre strade. Non solo uno giorno all’anno, con due convegni, qualche discorso e uno squillo di tromba, ma con un gesto che duri nel tempo. Per quanto poco duri il tempo degli uomini.

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