capture 136 11022021 103757Nascere sul mare e, dovunque andrai, porterai sempre con te un impercettibile grumo di sale sulla punta delle labbra. Il 5 giugno 1946 Otello Sandrelli ruota con foga i numeri del telefono fisso. Sta trasalendo per l’eccitazione. Chiama parenti, amici, conoscenti. Chiama praticamente tutti, dall’ospedale, ripetendo la solita strofa: “Sì, è appena nata! L’abbiamo chiamata Stefania! Che domande, certo che siamo felici!”. Percorrendo quel lungo corridoio di un bianco granulare dribblando medici, infermiere e lettighe, girando a sinistra proprio in fondo, si arriva alla stanza dove si riposa, esausta, mamma Florida. Otello torna in camera sudato, lo sguardo trasecolato. “Sì, stai tranquilla – rassicura la moglie – ho avvertito tutti”. Non è la prima volta – sette anni prima il palcoscenico se l’era preso il fratello Sergio – ma l’emozione è già un diretto che fa spallucce di fronte alle fermate apposte invano dal raziocinio, spettinando i pensieri. La coppia di genitori fissa la piccola con una gioia che circonda il cuore. Otello ancora non lo sa, ma potrà godersela soltanto per otto velocissimi anni: perito agrario e padre amorevole, morirà prematuramente nel 1954.

La vita sa essere un posto polveroso quando appartieni al ceto medio viareggino, tuo padre se n’è andato troppo presto e mamma deve trovare il modo di comprimere il dolore inumidendo ogni giorno il fazzoletto, che c’è pur sempre un lavoro da fare per tirare avanti. Lo sciabordio delle onde che si infrangono sui patini accompagna le tue estati. La sabbia si infila sotto pelle e sfila tra le dita, mentre te ne stai per giornate intere a contemplare l’orizzonte che sfuma in dissolvenza. Malgrado tutto, ami la tua città. Però ti senti come sobbollire. C’è qualcosa che preme da dentro e promette di uscire senza chiedere il permesso. C’è che sei destinata a diventare Stefania Sandrelli, una delle più grandi attrici italiane di ogni epoca. A quindici anni possiedi già due armi invidiabili: una bellezza letale e quel modo di fare ingenuo che contribuisce ad amplificare il tuo fascino. Di lì a poco partecipi ad una sfilata: è il momento che decide una vita. Quante altre persone possono dire di essere entrate dalle grandi porte scorrevoli del Cinema italiano a quell’età? Quante sono riuscite a rimanere aggrappate in scia a quel bolide che fabbrica sogni, ma non si cura di tritare esistenze usandole e accartocciandole lungo la via? “Gioventù di notte”, di Mario Sequi, è il primo gradino di una scalinata luminosa che, adesso, ti porta a salutare Viareggio per coltivare i tuoi sogni.

 

Il percorso sarà inarrestabile. Il 1961 è un anno benedetto: reciti accanto a Ugo Tognazzi nel film “Il Federale”, ma conquisti un grammo di paradiso grazie a Pietro Germi, che ti lancia in due capolavori eterni, “Divorzio all’italiana” (con Marcello Mastroianni) e “Sedotta e abbandonata”. Non hai neanche vent’anni e già la gente ti ferma per strada. Come dici? Hai già toccato l’apice? Ehi, scherzi, giusto? La tua consacrazione se ne sta lì seduta dentro al nuovo decennio, smaniosa di abbracciarti. D’un tratto sono gli anni Settanta e ti sorprendi una diva del Cinema internazionale. Lavori per Bernardo Bertolucci e Ettore Scola. Reciti al fianco di attori del calibro di Dustin HoffmanRobert De Niro e Gerard Depardieu. Niente male per una nata nella provincia toscana e costretta a cavarsela da sola praticamente fin da subito. Certe persone però ci nascono, con un ciclone che le rimescola dentro. Piccolo stacco in avanti. Ad un certo punto sei una fascinosa e affermata attrice di 37 anni. Non ci sarebbe motivo per fare qualcosa di diverso, ma tu te la ridi. Non è che cambi genere: mandi proprio a catafascio gli schemi. Spezzi il fiato ai dogmi che si addensano nella testa della gente. “Pronto? Sì, lo so che non te lo aspettavi, ma sono Tinto Brass. Vuoi recitare per me?”. Cosa penseranno gli amici viareggini? Che idea si faranno i parenti? Decidi di berti le critiche stiracchiando un sorriso e alzi la mano: “Ok, ci sto”. Girerai “La chiave” e sarà un successo. Ora ti conoscono sotto una luce nuova. Quell’erotismo che era rimasto sempre presente, ma inespresso, diventa esplicito. Poteva costarti caro, invece, touchè.

A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta continueranno a moltiplicarsi le offerte di lavoro: l’irriverente commedia italiana, il teatro e poi anche la tv. Sempre con quell’aria scanzonata, collocata esattamente sul bordo tra la sicurezza che indossi quando reciti ed il tuo essere vulnerabile. La storia con Gino Paoli sarà precoce, lunga, totalizzante. Alla fine gli sfascerai casa. Lascerà solchi profondi nell’anima.

Una vita piena, da interpretare sempre con vibrazioni positive, ché ci pensa già il fato ad infliggere momenti disdicevoli. Esplorare le sfumature del mondo, senza smarrire le origini. Anche se il lavoro me ne tiene lontana – hai scritto alla tua città in occasione del settantesimo compleanno – non dimentico mai neppure per un giorno la mia Viareggio. È una città che amerò sempre perché è lì che sono cresciuta, è lì che ci sono le mie radici. E le radici non si dimenticano specialmente se sono in un luogo che ovunque è ammirato e amato. Sono viareggina e lo rivendico. Amo Viareggio, ne ho costante nostalgia – del suo mare, delle sue spiagge, delle sue pinete, della sua passeggiata, del Carnevale, del mercato dove sono nata e della Darsena dove ho corso in bicicletta e giocato bambina.

Una dichiarazione d’amore eterno. Il mare dentro. Gli occhi che si perdono di nuovo lungo la linea dell’orizzonte, come quando c’era ancora tutto da fare. Bagni le labbra con la lingua. Ora sorridi forte. Quel grumo di sale non se ne andrà mai.

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di Paolo Lazzari per https_larno.ilgiornale.it