capture 149 12022021 104919La Consulta si esprime su un caso presentanto dal tribunale di Bolzano: il sistema del cognome paterno "non è più compatibile con il principio costituzionale della parità tra uomo e donna"

Dare ai figli il cognome paterno è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia? A quanto pare ne è convinta la Corte costituzionale, che arriva senza mezzi termini a definire tale sistema, utilizzato sino ad ora, come "una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna". Affermazioni pesanti, che non mancheranno di suscitare discussioni.

Ancora una volta si torna a parlare di famiglia e parità, così come era avvenuto in merito alla questione genitore 1 e 2, tema ancora oggi oggetto di accesi dibattiti. Ma andiamo con ordine. Secondo quanto riferito dall'agenzia Agi, il problema sarebbe stato sollevato nel 2019 dal tribunale di Bolzano, il quale aveva deciso di presentare un'istanza in cui veniva chiesto un chiarimento in merito alla costituzionalità della norma del Codice civile che stabilisce, in caso di mancato accordo fra genitori, di dare ai figli il cognome del padre (articolo 262). In caso di accordo, è possibile dare al figlio il cognome della madre, invece di quello del padre? Quando suddetto accordo non è presente, invece, prevale ancora la trasmissione del cognome paterno?

 

La risposta della Consulta potrebbe incidere sulle future famiglie. Nelle motivazioni dell'ordinanza n.18 depositata in data odierna, i giudici parlano di un sistema "retaggio di una concezione patriarcale della famiglia". La norma, dunque, non rispetterebbe la parità e l'uguaglianza fra i genitori. Non solo. La Corte sottolinea anche il fatto che "la prevalenza attribuita al ramo paterno nella trasmissione del cognome non può ritenersi giustificata dall’esigenza di salvaguardia dell’unità familiare, poiché 'è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo', in quanto l’unità 'si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governatidalla solidarietà e dalla parità'" (sentenza n. 133 del 1970). La Corte spiega inoltre che"qualora venisse accolta la prospettazione del Tribunale di Bolzano, in tutti i casi in cui manchi l’accordo dovrebbe essere ribadita la regola che impone l’acquisizione del solo cognome paterno". Si verrebbe così a riconfermare "la prevalenza del cognome paterno, la cui incompatibilità con il valore fondamentale dell’uguaglianza è stata da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 286 del 2016 e n. 61 del 2006)". Inoltre "in questo quadro, neppure il consenso, su cui fa leva la limitata possibilità di deroga alla generale disciplina del patronimico, potrebbe ritenersi espressione di un’effettiva parità tra le parti, posto che una di esse non ha bisogno dell’accordo per far prevalere il proprio cognome".

Nell'ordinanza la Consulta aggiunge che "pur essendo stata riaffermata la necessità di ristabilire il principio della parità deigenitori – si è preso atto che, in via temporanea, 'in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità',“sopravvive” la generale previsione dell’attribuzione del cognome paterno, destinata a operare in mancanza di accordo espresso dei genitori". Dunque si attende un intervento da parte del Parlamento italiano. Anche se, fino ad oggi, "gli inviti ad una sollecita rimodulazione della disciplina – ingrado di coniugare il trattamento paritario delle posizioni soggettive dei genitori con il diritto all’identità personale del figlio – sinora non hanno avuto séguito". La Corte ha quindi deciso di valutare se la norma che "in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’automatica acquisizione del cognome paterno" sia concorde con gli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione.

Festeggia Valeria Valente senatrice del Pd e presidente della Commissione Femminicidio. "La sentenza con cui la Consulta ha definito l'attribuzione del cognome paterno ai figli 'retaggio di una società patriarcale' e di una 'tramontata potestà maritale' è storica", dichiara la parlamentare, come riportato da AdnKronos"Viene riconosciuto pieno valore al principio costituzionale di uguaglianza tra uomo e donna. Ora starà al legislatore garantire il diritto delle donne a trasmettere il proprio cognome alle figlie e ai figli e a disciplinare come questo potrà avvenire. Di certo, non potrà più essere dato per scontato che il cognome della figlia o del figlio sia in automatico quello del padre".

di    per www.ilgiornale.it