capture 012 17052021 104157Mentre era ancora in vita, Augusto fu venerato in tutto l’impero. Alla sua morte fu divinizzato, inaugurando una consuetudine che proseguì coi suoi successori

Quando il primo imperatore romano morì aveva quasi 77 anni e per circa mezzo secolo aveva regnato indiscusso. Il 19 agosto del 14 d.C. da Nola, vicino Napoli, il suo corpo fu portato a Roma a spalle dai notabili delle città situate lungo il cammino. Il viaggio si fece di notte per evitare che il corpo si decomponesse troppo rapidamente a causa dell’intenso calore estivo. Furono i cavalieri romani a incaricarsi di introdurre le spoglie dell’imperatore nella capitale. Tiberio, figlio adottivo e successore designato, pronunciò l’elogio funebre durante una sessione del senato.

Apoteosi di Antonino Pio e della moglie Faustina, che ascendono al cielo sorretti da un genio alato. Ai loro piedi ci sono la dea Roma e la personificazione del Campo Marzio che sostiene l’obelisco di Augusto

Foto: Scala, Firenze

Quindi la salma fu trasferita al Campo Marzio, dove Augusto si era costruito il suo mausoleo. La pira funeraria fu accesa da alcuni centurioni su ordine del senato. Mentre il rogo ardeva, un’aquila si alzò in volo dalle fiamme per trasportare in cielo l’anima del defunto imperatore. L’ex pretore Numerio Attico giurò davanti al senato di aver assistito all’evento miracoloso, facilitando in questo modo l’apoteosi di Augusto, che fu decretata il 17 settembre. A Roma era nato un nuovo dio.

Iniziò così una consuetudine che sarebbe proseguita per almeno due secoli: il senato divinizzava gli imperatori se ne giudicava positivamente l’operato. Era un’usanza nuova, che rompeva con le antiche tradizioni politiche e religiose dell’Urbe. La repubblica romana si era sempre definita una “città”, una comunità di persone che condividevano la cittadinanza e veneravano gli dei locali, in particolare Giove Capitolino, divinità suprema connessa alla fondazione dello stato.

 

La divinizzazione di Cesare

Fin dalla nascita della repubblica, nel 509 a.C., i romani avevano rifiutato l’ordine monarchico e il concetto di origine divina della regalità, a differenza di quanto avveniva nell’Egitto dei faraoni o nelle monarchie ellenistiche eredi di Alessandro Magno. Di fronte alla grandezza delle sue stesse imprese, il conquistatore macedone non aveva resistito alla tentazione di farsi divinizzare in vita, e coloro che gli erano succeduti nei vari territori del suo impero avevano provato a imitarlo, con esiti diversi.

Il senato iniziò a divinizzare gli imperatori se il loro operato veniva giudicato positivamente

La situazione a Roma cambiò nel I secolo a.C., un periodo caratterizzato dal susseguirsi di guerre civili. I generali dell’esercito accumularono nelle loro mani un potere sempre più grande, che metteva a repentaglio la sopravvivenza politica dello stato romano. I soldati venivano obbligati a pronunciare un giuramento di lealtà personale al loro capo, che li vincolava all’obbedienza anche in caso di ordini in contrasto con la fedeltà dovuta alla repubblica. Si sviluppò la tendenza a ritenere che il potere dei generali avesse un fondamento religioso, tendenza che fu alimentata dall’influenza delle monarchie ellenistiche e, in particolare, dal ricordo di Alessandro Magno.

Augusto fece costruire a Roma un suo proprio foro, in cui spiccava un grande tempio dedicato a Marte Vendicatore

Foto: Jon Ingall / Alamy / Aci

   Augusto fece costruire a Roma un suo proprio foro, in cui spiccava un grande tempio dedicato a Marte Vendicatore

Nemmeno Giulio Cesare sfuggì alla tentazione di ritenersi in qualche modo un prescelto dagli dei. Nella sua aspirazione a dominare il mondo si convinse che il suo potere aveva origini divine, e riuscì a fare accettare questa visione al popolo romano. Alla sua morte un prodigio facilitò la divinizzazione dell’imperatore da parte del senato: per sette giorni brillò nei cieli di Roma una cometa, il sidus Iulium. Quell’evento astronomico fu interpretato come il segno che l’anima del dittatore era stata accolta tra gli dei.

Amati dagli dei

Dopo la morte di Cesare, chiunque aspirasse al potere iniziò a presentarsi come un eletto divino. Marco Antonio si lasciò affascinare dalla credenza ellenistica nella divinità dei re in seguito alla sua appassionata relazione con la regina egizia Cleopatra VII. L’ex triumviro iniziò a considerarsi un discendente di Ercole, che aveva un figlio di nome Anteone. Proclamò anche di essere l’incarnazione di Dioniso, il dio del vino – una passione che Marco Antonio coltivava con un certo trasporto –, e il conquistatore dell’Oriente. Dal canto suo, il suo avversario Ottaviano si faceva chiamare «figlio del Divo» (Giulio), rivendicando in questo modo le sue origini divine.

La lotta tra i due rivali si risolse nella battaglia navale di Azio, nel 31 a.C. Prima dello scontro entrambi si fecero giurare fedeltà dalle province sotto il rispettivo dominio – Ottaviano da quelle occidentali, Antonio da quelle orientali. Azio diventò una specie di guerra sacra, che vedeva schierati da un lato il figlio del Divo con l’appoggio di Giove Capitolino, Marte Vendicatore e Apollo; dall’altro Marco Antonio, discendente di Ercole, nuovo Dioniso e sposo di Cleopatra, a sua volta identificata con la dea egizia Iside. Insomma, sui ponti delle navi non era in corso solo uno scontro tra gli uomini, ma anche una battaglia tra gli dei.

In questo cammeo di onice Augusto viene incoronato da una divinità, mentre l’aquila di Giove si posa sotto il suo trono

Foto: Erich Lessing / Album
In questo cammeo di onice Augusto viene incoronato da una divinità, mentre l’aquila di Giove si posa sotto il suo trono

Se fosse riuscito a imporsi, Marco Antonio avrebbe trasformato Roma in una monarchia di stampo orientale, governando come un sovrano di origine divina. Ottaviano invece aveva promesso che la sua vittoria avrebbe significato la restaurazione della repubblica e del potere senatoriale, e impedito la conversione dei domini dell’Urbe in un regno teocratico. Il successore di Cesare fu di parola e in una sessione del senato, tenutasi nel gennaio del 27 a.C., proclamò che il suo ruolo sarebbe stato quello di senatore, anche se primo fra tutti. Ciononostante, Ottaviano non rinunciò ad attribuirsi una posizione privilegiata nell’universo religioso romano. Quello stesso anno avrebbe voluto diventare pontefice massimo, la più importante dignità sacerdotale della città.

Ma quella carica vitalizia era nelle mani di Lepido, che con Antonio e lo stesso Ottaviano aveva composto il triumvirato succeduto a Cesare nel governo di Roma. Il figlio del Divo dovette quindi attendere la morte di Lepido, avvenuta nel 12 a.C., per assumere la guida della religione romana. Nel frattempo occupò la presidenza degli altri collegi sacerdotali, svolgendo un ruolo di interlocutore tra il popolo romano e l’universo divino. Ma questo rapporto preferenziale con gli dei non gli bastava.

Augusto e quasi dio

Ufficialmente Ottaviano era figlio del Divo Giulio, e la sua opera di restaurazione politica e sociale era considerata un riflesso diretto dalla volontà divina. Non poteva però essere divinizzato in vita, perché ciò avrebbe significato l’instaurazione di una teocrazia. Alcuni proposero allora di assegnargli il nome di Romolo, re fondatore di Roma, per riconoscergli un carattere sacro, ma l’ostilità popolare nei confronti della monarchia scoraggiò questa eventualità.

La soluzione ideale venne da Lucio Munazio Planco, un sostenitore di Marco Antonio che aveva disertato alla vigilia della battaglia di Azio per passare tra le file di Ottaviano. Nel 27 a.C. Planco suggerì che si concedesse al successore di Cesare il nome di Augusto, un termine etimologicamente affine alla parola “auge” e che era normalmente utilizzato per riferirsi agli dei e alle loro prerogative.

In questo cammeo Augusto indossa una corona di alloro e regge in mano uno scettro con l’aquila di Giove.

Foto: Prisma / Album
In questo cammeo Augusto indossa una corona di alloro e regge in mano uno scettro con l’aquila di Giove.

E così Ottaviano divenne Augusto, non solamente per i suoi benefici effetti sulla rinascita di Roma, ma anche perché gli vennero attribuite alcune qualità divine, senza che però fosse considerato propriamente un dio in vita. Quest’ambiguità caratterizzò tutto il seguito del suo regno. L’idea di una natura divina si impose definitivamente solo alla sua morte. Durante i magnifici funerali svoltisi in suo onore, Augusto salì al cielo per unirsi agli dei e diventare uno dei numi protettori dell’impero romano.

Se a Roma la divinizzazione di Augusto avvenne solo alla morte del Divo, nelle province dell’impero il processo era iniziato prima. Molti abitanti delle regioni orientali avevano familiarità con l’idea di un dio-re, e Ottaviano decise di approfittare di quella circostanza per conquistarsi le loro simpatie. Fu nella provincia d’Asia, nell’attuale Turchia, che collaudò il modello del culto imperiale, prima ancora di potersi fregiare di qualche titolo. Innanzitutto ordinò di erigere nella capitale Efeso un tempio dedicato al Divo Giulio, dove i cittadini romani avrebbero dovuto svolgere le loro funzioni religiose. Quindi fece costruire un secondo tempio a Pergamo, dedicato a Roma e alla propria persona, in cui poteva assistere ai riti chi non godeva della cittadinanza romana.

Un dio nella vita e nella morte

Augusto stabilì dunque uno schema per la venerazione dell’imperatore: questi era un dio vivente per gli abitanti delle province, ma i romani potevano adorarlo solo dopo la morte, nel caso in cui il senato ne avesse decretato l’apoteosi. Così riassumeva la situazione Cassio Dione: «A quegli stranieri che chiamava greci, concesse di erigere dei templi a lui stesso consacrati, agli abitanti d’Asia a Pergamo, e ai bitini a Nicomedia. E questo costume, che ebbe qui il suo inizio, si mantenne in seguito per onorare anche gli altri imperatori, non solo nelle province greche, ma anche presso tutti gli altri popoli sudditi dei romani. E certo né a Roma, né in Italia, mai nessun uomo, per quanto degno d’onori, aveva osato tanto».

Ricostruzione del tempio di Augusto nel foro imperiale di Tarragona

Ricostruzione in 3D realizzata da Javier Torres e Angel Veloso (Digivisión)
Ricostruzione del tempio di Augusto nel foro imperiale di Tarragona

Come lascia intravedere questo passo, a Roma la divinizzazione degli imperatori fu accolta con certa istintiva ostilità, a differenza di quanto avveniva nel resto dell’impero. Di fatto, alcuni sovrani si mostrarono riluttanti a essere divinizzati. È il caso del successore di Ottaviano, Tiberio. A soli otto giorni dalla morte di Augusto una delegazione di ispanici si recò a Roma per chiedere al nuovo imperatore e a sua madre il permesso di erigere un tempio in loro onore, come avevano fatto gli abitanti della provincia d’Asia. Ma in un discorso di fronte al senato Tiberio replicò che aveva accettato la proposta delle città asiatiche solo per seguire l’esempio di Augusto, e non voleva che quell’esempio si estendesse a tutto l’impero. «Che in tutte le province mi si consacrino delle immagini come se fossi un dio – dichiarò – implicherebbe un’attitudine vanagloriosa e superba […] Io, senatori, voglio essere mortale, ricoprire cariche proprie degli uomini e accontentarmi di essere il primo tra loro […] I miei templi sono quelli che avete edificato nei vostri cuori; sono quelle le mie statue più belle e durature».

La statua di Augusto con gli attributi di Giove è stata scoperta nell’Augusteum di Ercolano, forse la sede del collegio degli augustales, i sacerdoti addetti al culto imperiale

Foto: Prisma / Album
La statua di Augusto con gli attributi di Giove è stata scoperta nell’Augusteum di Ercolano, forse la sede del collegio degli augustales, i sacerdoti addetti al culto imperiale
di Juan Manuel Cortés Copete per www.storicang.it