capture 013 17052021 105249La Libia e l’Italia: alle origini di un rapporto più che secolare. Una breve storia della politica italiana nella colonia libica (1912-1949).

A seguito dell’invasione italiana della Libia, la firma del trattato di pace di Losanna nel 1912 pose formalmente fine alla guerra italo-turca, ma non concluse affatto le ostilità. La guerra italo-libica proseguì sotto altre forme: non più un conflitto regolare tra due fronti, bensì una guerriglia. Le ambiguità contenute nel testo del trattato di pace, che lasciava all’impero ottomano la sovranità su Tripoli e consentiva all’Italia di fondare le proprie rivendicazioni territoriali sul diritto italiano, produsse l’effetto di consentire alla popolazione libica di considerare il sultano la propria guida spirituale e politica, nonostante l’occupazione italiana. Le resistenze mostrate dai libici, soprattutto in Cirenaica, raccolte attorno all’ordine della Senussia di Sayyid Ahmed ash-Sharif, proseguirono fino allo scoppio della prima guerra mondiale e, in parte, continuarono anche dopo la sua conclusione.

 

ufficiali ottomani

Una guerra mai finita

Dopo aver diviso il territorio in due regioni, Tripolitania e Cirenaica, ciascuna sotto la guida di un governatore alle dipendenze di un ministro delle Colonie, a partire dal 1913 l’Italia cercò di guadagnare l’entroterra libico. La sottomissione militare di quest’area, tuttavia, procedette senza la possibilità di poter contare su un sostegno da parte del governo italiano, che, dopo aver sostenuto elevate spese militari tra il 1911 e il 1913, non si dimostrò disponibile a ulteriori sacrifici economici. Nel 1913 il colonnello Antonio Miani lanciò un’ulteriore campagna di colonizzazione della parte interna del Paese e della regione del Fezzan, ma a causa dello scoppio di una ribellione le posizioni conquistate nell’entroterra furono abbandonate per ripristinare l’ordine nelle aree controllate in precedenza.

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Un’esecuzione delle forze di resistenza libiche eseguita da soldati italiani intorno al 1928. Foto tratta da Wikimedia Commons.

Nel frattempo, nel 1914 l’Europa fu attraversata dallo scoppio della prima guerra mondiale; l’Italia vi partecipò a partire dal maggio 1915, dopo aver stipulato in segreto il patto di Londra con le potenze della Triplice Intesa (Inghilterra, Francia, Russia) e non entrando nel conflitto a fianco delle alleate Germania e Austria-Ungheria, legate a Roma dalla Triplice Alleanza. Il conflitto rese necessario uno spostamento di truppe italiane verso il confine con l’Austria-Ungheria, contribuendo a generare un nuovo fermento politico in Tripolitania e Cirenaica e producendo un terreno fertile per la diffusione dei primi ideali di nazionalismo arabo. Una situazione che l’impero ottomano, antagonista delle forze dell’Intesa e alleato degli imperi centrali, sostenne attraverso una serie di rifornimenti alla Senussia e contribuendo al ritiro delle forze italiane verso la costa. L’attività nazionalistica, araba si concentrò soprattutto in Tripolitania, dove il nazionalista egiziano Abd dar-Rahman Azzam Bey, dopo una serie di tentativi falliti, istituì la Repubblica di Tripolitania insieme a Sulayman al-Baruni, Ahmad al-Murayyid di Tarhuna e abd al-Nabi Bil Khayr; nello stesso periodo, Ahmed ash-Sharif rinunciò alla guida dell’ordine senussita in favore del cugino Sayyid Mohammed Idris Senussi.

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Il Battaglione Alpini «Edolo» in Libia durante la guerra italo-turca, 1912. Foto tratta da Wikimedia Commons.

La «politica degli Statuti»

Pur essendo stata riconosciuta la sovranità italiana sulla Libia attraverso il patto di Londra del 1915, al termine del conflitto l’Italia versava in condizioni economiche, sociali e politiche difficili e non si dimostrò disponibile a proseguire la propria avanzata in Libia: fu l’inizio della «politica degli Statuti» (biennio 1919-1921), caratterizzata da una tendenza verso l’apertura al compromesso con i governi libici. L’Italia si disse favorevole alla concessione di un temporaneo patrocinio britannico della Senussia e all’emanazione di due leggi separate (le «Leggi fondamentali») per la Cirenaica e la Tripolitania, consentendo la costituzione al loro interno di un parlamento e di un consiglio amministrativo. Le concessioni, che comprendevano anche una speciale cittadinanza italo-libica, avevano l’obiettivo di rendere l’occupazione di Roma meno onerosa sul piano economico e politico. Il contenuto di queste norme, tuttavia, non fu mai davvero applicato, mentre tra i vari capi locali e tribali libici si scatenarono faide interne per gli incarichi di governo e per il tentativo di dominio della Repubblica di Tripolitania sul resto del Paese. La conclusione del patto di Regima del 1920, che stabiliva la nomina di Idris Senussi a emiro della Cirenaica con poteri amministrativi nella regione, fu una breve parentesi e non placò i contrasti interni.

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Il Castello rosso di Tripoli in una foto d’epoca. Foto tratta da Wikimedia Commons.

Con la nomina di Giovanni Volpi a governatore, nel 1921, iniziò un processo di riconquista italiana della Libia, con l’introduzione di leggi marziali e l’annullamento del contenuto delle «Leggi fondamentali». L’ascesa del fascismo in Italia comportò infatti il rifiuto totale degli accordi e degli Statuti e l’approdo a una politica più muscolare. La prima fase della riconquista (1921-23) si diresse verso la Tripolitania, consentendo all’Italia di riconquistare Misurata, Zuara, lo sbocco di el-Azizia e il Gebel Nefusa, ovvero la parte più popolosa del Paese.

L’impronta del fascismo

Se la ripresa della Tripolitania poteva aver rappresentato un elemento di continuità tra Italia liberale e fascista, la conquista della Cirenaica fu una pretesa fascista. Tra il 1923 e il 1925 fu raggiunto il controllo totale della Tripolitania, mentre nel biennio 1928-1930 le truppe del generale Graziani arrivarono fino alle porte del Fezzan. Nonostante questi risultati nella campagna militare, l’opposizione libica fu indebolita, ma non cancellata del tutto: si raccolse attorno alle formazioni di mujaheddin di Omar al-Mukhtar, particolarmente attive in Cirenaica. L’occupazione e le campagne militari dirette da Graziani, reduce dalle vittorie in Fezzan, causarono una devastazione enorme nel Paese e il trasferimento forzato di migliaia di persone dalla Cirenaica verso i campi di concentramento italiani, provocando una sottomissione spietata, tale da condurre alla morte tra il 1921 e il 1943 di circa 300.000 libici, come recenti fonti storiografiche hanno rivelato, contribuendo a demolire il mito degli «italiani brava gente».

«La visita degli studenti universitari in Tripolitania. Tra le vestigia della civilta romana in Africa, i goliardi innalzano i canti dell’Italia nuova e inneggiano al Duce». Foto tratta da Wikimedia Commons.

Il mix di azioni politiche e militari di Graziani, nominato vicegovernatore della Libia, considerate un rimedio fondamentale per il controllo della parte orientale del Paese e dell’intera colonia, condussero alla deportazione forzata delle popolazioni nomadi del Gebel e a una delle più violente esperienze di campi di concentramento coloniali nella storia del Mediterraneo. Nei soli anni 1930-1931 in Cirenaica morirono 12.000 persone e nel 1931 lo stesso al-Mukhtar fu catturato e impiccato dalle autorità fasciste. La sua morte coincise con la fine di qualsiasi opposizione organizzata agli obiettivi coloniali italiani. Dopo che Pietro Badoglio dichiarò la soppressione definitiva della resistenza coloniale il 24 gennaio 1932, con il decreto ministeriale del 3 dicembre 1934 venne proclamata l’unione delle province della Tripolitania e della Cirenaica e il maresciallo Italo Balbo assunse la carica di governatore delle due regioni unificate.

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Gran premio di Tripoli del 1937. Foto tratta da Wikimedia Commons.

La Libia, riconquistata così con la forza, sarebbe divenuta sbocco principale degli investimenti italiani nel settore dell’agricoltura: nei progetti di Mussolini, il Paese si sarebbe dovuto trasformare in una colonia d’insediamento a scopo agricolo, realizzando una «colonizzazione demografica». Sotto la direzione di Balbo, la Libia divenne oggetto di una serie di esperimenti d’insediamento su larga scala: nei progetti doveva essere un bacino in grado di raccogliere parte dei numerosi italiani che stavano lasciando il Paese in quegli anni, arginando il fenomeno migratorio verso l’estero. Lo sviluppo economico e infrastrutturale (per esempio la costruzione della Litoranea libica, che collegava la Tunisia all’Egitto, inaugurata da Mussolini nel 1937), tuttavia, non fu condiviso con la popolazione locale, che rimase pressoché estranea sia agli investimenti sia al processo di modernizzazione del proprio Paese.

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Militari britannici allineati sul lungomare di Tripoli dopo la conquista della città. Foto tratta da Wikimedia Commons.

Nel turbine della seconda guerra mondiale

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la Libia e il Nord Africa divennero teatro di grandi operazioni militari. Le campagne belliche condussero al ritiro degli italo-tedeschi dalla regione. Il trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 tolse all’Italia tutti i suoi possedimenti coloniali. Nelle prime fasi dell’antagonismo bipolare della Guerra Fredda, tra il 1946 e il 1947, la Libia divenne oggetto d’interesse degli Stati Uniti in chiave di contenimento antisovietico. Dopo la firma dell’accordo Bevin-Sforza del 1949, che prevedeva la spartizione della Libia tra Inghilterra (che avrebbe ottenuto la tutela della Cirenaica indipendente sotto l’emiro Idris Senussi), Italia (mandato sulla Tripolitania) e Francia (annessione del Fezzan all’Africa Equatoriale Francese), il ruolo degli Stati Uniti si dimostrò fondamentale nella determinazione della nuova forma di Stato che avrebbe dovuto amministrare la Libia, prima all’interno della Commissione d’inchiesta quadripartita, che espresse parere sfavorevole a una Libia indipendente per l’assoluta mancanza di requisiti minimi per l’autogoverno, e poi nel Consiglio Consultivo dell’ONU per la Libia, che approvò invece la forma di governo monarchico sotto la figura di Idris Senussi.

Di Arturo Varvelli. per  www.edizionidelcapricorno.it