Amy WinehouseNon sono mai stata una grande fan di Amy Winehouse, pur riconoscendone l’immenso talento artistico. Non sapevo molto sul suo conto: 5 Grammy-Award, un’estensione vocale immensa( circa 3 ottave), un matrimonio fallito e i soliti problemi di alcool, droga con contorno di disturbi alimentari che, più o meno, risucchiano in una spirale distruttiva tutti i cantanti maledetti della nostra epoca. Ma mi ero sempre interrogata sul perché, a distanza di 5 anni dalla sua morte, avvenuta il 23 Luglio 2011, tante giovanissime continuassero a ispirarsi a lei (sappiamo quanto potere abbiano gli adolescenti): capelli cotonati, look anni 70, una lunga scia nera sull’occhio, come a voler coprire tutto ciò che non va.

 

Così, una sera per caso, ho visto  un documentario, candidato agli Oscar per il 2016: “Amy- The girl behind the name” e, finalmente, ho capito. Ho capito cosa rende la talentuosa londinese icona destinata all’immortalità.

Diretto da Asif Kapadia, senza orpelli inutili, il documentario è una raccolta di  foto e video amatoriali, che raccontano la storia della cantante, con i commenti di chi la conosceva bene. In sottofondo, le sue canzoni.

Amy era un’ Artista, nata per rendere il mondo un posto più bello,lasciando su di esso tracce immortali di se’.

La sua esistenza era legata alla musica: non quella dei conservatori , delle lezioni accademiche, ma quella pura, che dà senso alla vita; quella forte, elitaria,musica jazz, che la crebbe come una madre e le offrì protezione contro  l’abbandono del padre e i problemi di depressione, che la affliggevano  da quando aveva 13 anni.  Scrivere musica le veniva naturale, com’è per noi respirare. Mark Ronson disse che Amy scrisse ‘tutti i testi e le melodie di “Back to black” in due o tre ore’. Era ispirata, non doveva cercare gli accordi o  le frasi ad effetto.Era tutto dentro di lei, in paziente attesa di essere stilato, nero su bianco su fogli indelebili. Un successo inarrestabile, insomma, che però non le fece mai montare la testa.  Più di una volta,nel documentario, si menziona l’umiltà dell’artista e traspare la paura della fama, l’incapacità di gestirla. Disse: “Se solo avessi pensato di diventare famosa, mi sarei ammazzata”. E infatti: tanto più grande e popolare  diventava per il mondo, tanto più si rimpiccioliva la sua anima fragile, pronta a spezzarsi in mille pezzi. Come tutte le cose di valore … Ed è ciò che avvenne.

Amy aveva ricevuto dalla vita un altro dono: era capace di amare. Completamente e follemente. Adorava il padre, Mitch Winehouse. ‘Baciava la terra sulla quale  camminava’ quell’ opportunista velleitario, che non aveva esitato a tornare nella vita della cantante per recitare il ruolo del padre amorevole,  in cambio di soldi e attenzione mediatica, tanto da girare un film sulla sua vita mentre la figlia tentava di disintossicarsi sull’isola caraibica di Santa Lucia,  per nulla interessato a risolvere definitivamente la devastazione interiore di Amy.  E, come scordare la folle passione che la travolse,quella  per il cattivo ragazzo Blake Fielder,che la trascinò in una parabola discendente verso le droghe pesanti( crack ed eroina)  e l’autolesionismo? A lui,il nome di Amy sarà perennemente associato, proprio come il nome di Giulietta sarà per sempre legato a quello di Romeo: amanti sfortunati, vittime privilegiate di un amore assoluto, tossico, malato , che dilania il cuore ma senza il quale non si può vivere. (È di pubblico dominio la notizia che Blake abbia intenzionalmente tentato il suicidio nel giorno del primo anniversario della morte della moglie. )  Una volta, parlando di lui, Amy aveva detto:” Mi sono innamorata di una persona per cui sarei morta”. Ed è ciò che accaduto! In un giorno di Luglio, a soli 27 anni, come altri celebri artisti, la vita di quella giovane talentuosa era cessata. Travolta dal successo, dai suoi eccessi, incapace di darsi un freno: nel cibo, nell’alcool, nella vita, nell’amore. Ma, in fondo, eccolo qui il segreto della sua immortalità: darsi totalmente, senza risparmiarsi mai, credere nei propri sogni e lottare per renderli reali, a dispetto delle proprie fragilità.  Ecco cosa piace di Amy, perché, in fondo, in ogni donna c’è un’indomita sognatrice!

articolo di Creta Ornis per journalism.sicily.it

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