Bambini da repubblicaVideo intervista a diciassette minori nati qui ma senza cittadinanza. Domanda: "Lo sai che non sei italiano?". Già arruolati i testimonial dello ius soli come legge umanitaria, e chi non la vuole è un razzista senza cuore. Con un video sentimentale, vagamente in stile Veltroni, Repubblica - quotidiano in prima linea per fare passare la cittadinanza facile - mette in campo i bambini, dai sei anni in su ma non troppo, il più grande ne ha dodici. Serve a convincere più facilmente il lettore, facendo leva sull'istinto di protezione verso i piccoli, che «dietro l'idea dello ius soli c'è una ragione umana e fondamentale», come spiega la politologa di sinistra Nadia Urbinati. E di conseguenza in chi si oppone allo ius soli un bel po' di disumanità (la solita destra xenofoba che per giunta concede il voto agli italiani all'estero grazie alla legge «che porta il nome di un ex fascista, Mirko Tremaglia»).

 

L'operazione «ora parlano i bambini» è efficace (anche se copiata da un video virale fatto in Danimarca), ma sempre un po' sospetta, specie se utilizzata per finalità politiche tirando in mezzo i bimbi delle elementari. Come si fa, infatti, a non provare subito simpatia per il seienne Ryan, nato a Milano da genitori marocchini, che tifa Inter, mangia gli spaghetti e da grande vuole fare il poliziotto perché così arresta i cattivi? O per l'undicenne Numayer, papà e mamma del Bangladesh, che vive a Roma ed è indeciso se in futuro diventare un «baskettaro» oppure uno scienziato? O per Ghizlan, otto anni, famiglia dal Marocco, che alla domanda «di che nazionalità sei» risponde «io sono abruzzese». Perché alla fine Repubblica fa la sorpresina, stavolta più in stile «Le Iene», e svela agli ignari minorenni marocchini, egiziani, etiopi, cinesi, che loro no, non hanno ancora la nazionalità italiana (lo diventeranno a 18 anni), anche se non sanno bene cosa voglia dire «nazionalità», e forse neppure gli interessa. Non importa, anzi meglio se ci restano male, così è più evidente quanto sia crudele negargliela.

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dall'articolo di  Paolo Bracalini per ilgiornale.it

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