capture 074 10072021 102256Nei primi anni Trenta − quelli che Renzo De Felice, il maggiore biografo di Mussolini, definisce “gli anni del consenso” − la legislazione fascista in ambito sociosanitario subisce una forte accelerazione. Fortemente voluta dal duce come strumento di sviluppo economico e culturale in chiave imperialista, si concretizza la bonifica dell’Agro Pontino, innegabile successo del Ventennio, al di là della retorica della propaganda. Terra desolata e focolaio mai sopito di febbri malariche, la pianura che a ridosso della costa si estende a sud di Roma è oggetto di una poderosa riconversione. Duplice è l’obiettivo, sanitario e parimenti teso a favorire processi di migrazione interna, nell’ottica della ruralizzazione, reputata necessaria per formare una nazione solida anche in termini demografici, pronta a ogni evenienza, preferibilmente bellica. Nascono così dal nulla Littoria (l’odierna Latina), Sabaudia, Pontinia e Aprilia, mentre l’Agro Pontino diventa terra promessa di migliaia di contadini provenienti dal Nord, veneti in particolare.

 

Quanto alla tubercolosi, un risultato rilevante è, nel 1927, il varo della legge sull’assicurazione obbligatoria contro la malattia, previo versamento di una quota alla Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (Cnas), cui spetta il compito di sostenere l’assicurato che abbia contratto il morbo. In pochi anni si contano 18 milioni di assicurati, un numero rilevante se si pensa che a metà degli anni Trenta gli italiani sono all’incirca 42 milioni. Di pari passo si afferma all’interno della classe medica l’esigenza di creare quella che oggi chiameremmo una task force antitubercolotica. Si pensa che, a corollario della politica previdenziale, occorra mettere mano a un piano di edilizia ospedaliera che sfoci nella costruzione di moderni sanatori. Protagonista dell’operazione è il tisiologo Eugenio Morelli (1881-1961); valtellinese di origine (l’ospedale di Sondalo è tuttora intitolato a lui), è il segretario del Sindacato nazionale fascista dei medici e viene incaricato di girare per il Paese in cerca di località idonee a ospitare le nuove strutture. Di lì a poco, titolare a Roma della prima cattedra di tisiologia, fonda la scuola di cui faranno parte illustri clinici come Omodei-Zorini, Monaldi, Daddi, Panà, Fegiz. Morelli si era formato a Pavia, patologo medico allievo di Carlo Forlanini, di cui ottimizzerà la tecnica dello pneumotorace artificiale. Nel 1933 la Cnas viene sostituita dall’Istituto nazionale fascista per la previdenza sociale, progenitore dell’attuale Inps. Proliferano sanatori di pianura, di collina e di alta montagna, e la lotta antitubercolare ne trae senza dubbio grande impulso. Ma gli sforzi del regime hanno un vizio d’origine, puntano tutto sulla cura della malattia, attraverso la strategia assistenziale-sanitaria. In altre parole, la Tbc si sarebbe sconfitta da sola se le condizioni igienico-alimentari della popolazione fossero migliorate sensibilmente; la qual cosa avrebbe però richiesto investimenti molto più ingenti rispetto a quelli pur notevoli impiegati nell’edilizia sanitaria. In questo modo, invece, le famiglie abbienti hanno accesso ai sanatori d’alta quota con l’aria buona e tutti i comfort − stile Montagna incantata di Thomas Mann − mentre alle classi popolari non rimane che ricoverarsi in qualche sanatorio di pianura, accontentandosi, per un certo periodo, di alimentarsi adeguatamente e di vivere in ambienti igienicamente salubri.

Un altro caposaldo della legislazione sociale è la creazione, sempre nel 1933, dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). L’impianto corporativo dello Stato fascista − quella “terza via” che vuole distinguersi sia dal capitalismo spinto sia dal socialismo negatore di ogni libertà individuale − si definisce vieppiù con il tentativo (dagli esiti pur sempre parziali) di organizzare in un sistema coerente il frastagliatissimo panorama delle casse mutue, nate spontaneamente per fornire un abbozzo di copertura integrale contro le malattie ai lavoratori. Nel 1934 nasce la Federazione nazionale delle casse mutue per i lavoratori dell’industria; dello stesso anno è il Testo unico delle leggi sanitarie, mentre del 1938 è la legge Petragnani sull’ordinamento dei servizi sanitari.

Gli ospedali nel 1936 sono ben 1474, con 153.577 posti letto, ma la media nazionale di 3,6 posti letto per mille abitanti è assai bassa e nelle Regioni del Sud si riduce ai minimi termini. Cominciano in compenso a diffondersi i reparti solventi, per la clientela benestante. Sono anni cruciali anche per la figura del medico, che ha un ruolo fondamentale tanto nel sistema mutualistico quanto negli ospedali di nuova concezione; ne consegue una nuova veste di professionista della salute vicino al malato sì, ma anche “al soldo”.

Sul versante scientifico il decennio è caratterizzato dall’attività dello svizzero Daniel Bovet (1907-1992), cui si deve la scoperta dei sulfamidici, primi farmaci dotati di azione antibatterica, anteriori agli antibiotici. I suoi studi all’Istituto Pasteur di Parigi hanno davvero portata storica: i germi patogeni responsabili di polmonite, angina, meningoencefalite epidemica e altri morbi potenzialmente letali ora si possono sconfiggere. Fedele compagna e assistente di Bovet, premio Nobel nel 1957, è Filomena Nitti (figlia di Francesco Saverio, uomo politico dell’età liberale), esule in Francia. Tornerà in Italia nel 1947 con il marito, che avvierà un prestigioso laboratorio di ricerca presso l’Istituto superiore di sanità.

Si chiudono malamente le esperienze sanitarie di Corrado Tumiati, medico e psichiatra, scrittore, giornalista e traduttore, a tempo perso anche poeta. Nel 1931 Tumiati vince il Premio Viareggio con I tetti rossi. Ricordi di manicomio. Nello stesso anno dopo aver fondato un patronato per i malati di mente, a causa di divergenze politiche con il prefetto decide di abbandonare la professione e si trasferisce a Firenze, dove si curerà soltanto di prosa e poesia.

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