capture 010 02082021 112019Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, la prefazione di Emanuele Ricucci al libro di Andrea Rognoni “Il pensiero leghista. Storia e prospettive delle idee della Lega, dalle origini a oggi” (Italia storica, 2021, 282p, 18€)

Se mi avvicino alla Lega cosa accade? Morde? La posso accarezzare? Verrò risucchiato come Euridice nella voragine infernale? L’encomiabile lavoro di Rognoni, che si propone di giustificare la maturità e il senso di un’appartenenza, riuscendoci, è necessario nella sua bontà per imparare a cogliere l’opportunità di generare conoscenza attorno a un partito che, a detta dei sondaggi, è pronto a governare l’Italia: la Lega di Matteo Salvini. Dopo tanta sciatteria e deficienza politica, un miracolo per miracolati, apparso con la “rivoluzione peggiorativa” del Movimento Cinque Stelle, leggendo Rognoni si ha la possibilità, tra tante produzioni sul tema, troppo spesso utili all’ingrasso dell’Ego di chi le scrive, di concepire che la Lega non è, e non fu, un grumo incontrollato di istinti primitivi e antidemocratici – salvando il residuo dibattito dalle bocche bavose delle bestie della generalizzazione, dell’ideologizzazione di qualsiasi cosa si muova non nella loro direzione -, il movimento degli intellettuali italiani, né la resurrezione della destra nazionale; al contempo, leggendo le pagine di Il pensiero leghista, si può cominciare ad avere la percezione di cosa la Lega sia, di come si sia plasmata, di quali siano i patres patriae del Carroccio, del perché dal secessionismo si sia passati al sovranismo, piccole identità, grandi identità, di cosa abbia spinto uno dei più longevi movimenti italiani – la Lega nasce nel 1990 e perdura, seppur mutante –, a transitare dal bossismo al salvinismo, di quale influenza abbiano avuto Miglio, Oneto o Borghezio, se la Lega sia più riconducibile, nell’interezza della sua storia, alla destra, alla sinistra o a entrambe, quali siano le sue radici eticopolitiche, le risposte e le proposte della filosofia leghista su temi di ordine sociale, storicoculturale e metapolitico. Insomma, la Lega nuda, le ossa mischiate, il corpo ricomposto, la profonda mente, l’originaria e contemporanea ispirazione. Una proposta densa e intelligente questa, che appare nell’epoca dei libri intervista ai leader, santificazione della vanità, o delle invettive acchiappa consenso che, però, compiono un percorso: provocazione senza traduzione nella direzione della demolizione. Tutti sono nessuno e nessuno riesce a capire.

Dunque a Rognoni, ancor prima di leggere le fitte pagine che si annodano, senza mai avvitarsi su se stesse, dedicate alle radici culturali della Lega, va un ringraziamento, poiché capace, dopo tanto abbaiare mediatico e politico, di riempire un contenitore, dare un’applicazione a una forma, proporre una coltivazione di se stessi agli uomini folla, involuzione degli uomini massa, che possa riattivare un ragionamento sopra le cose, una conoscenza, e non la percezione di essa che genera il nozionismo, quel vizio misero del cittadino globale di cucinare una minestra di emozioni, suggestioni, sensazioni che nasce da un perverso e frettoloso accoppiamento col reale, dall’acquisizione quotidiana, ovvero, e nella fretta impastate, di informazioni spezzettate, prese un po’ dai talk show, un po’ dalla parola santa del leader di turno, un po’ dai social, un altro po’ dai quotidiani online, che non riesce né a digerire, né ad approfondire, ma su cui esso fonderà le sue opinioni, totalmente avulse dal filtro di un pensiero critico.

Ben fatto Rognoni! Chiunque sia capace di questo, come un amanuense, riuscirà a imbrigliare il caos, allontanare il caso, compiere un atto di responsabilità verso la storia presente e, magari, a portare a termine la propria missione.

Intelligo ergo sum, comprendo quindi esisto, oggi, se non si vuole finire replicanti sterilizzati, impossibilitati a reagire, numero e produzione, ologramma di un uomo (integro), cittadino de iure, suddito de facto, arrotolato in un rapporto surreale con il reale, ogni giorno offerto dalle contraddizioni della politica, dalle perversioni e dalle follie del progressismo più spinto con le sue pretese “ideologiche” e dalla fantasia dei media. Comprendo quindi esisto, non sono un ritardo, un imprevisto, un errore di progettazione, né la fantasia di un mondo incivile e impolverato da estinguere, poiché alternativo all’imposto, non sono un errore di produzione, non sono l’esperienza residua, non sono un aborto.

Sperando di essere in qualche maniera utile al lettore, e proprio per il rispetto dovuto al lavoro di Rognoni, mi permetto di condire il gustoso pasto che questa riflessione offre, indicando un ultimo, piccolo, ma essenziale, scenario su cui leggere il futuro: quello antropologico, se così possiamo definirlo. Starà al lettore, ben sospinto dall’autore, attivare il proprio pensiero critico e ragionare sopra le cose della Lega, collocandola, comprendendone il percorso e le radici, valutandola o rivalutandola. Ma sarà la Lega che dovrà rispondere a qualche quesito, alla luce della propria figura di protagonista politico e di rappresen­tante, forse massimo, di quello che definiamo sovranismo: riuscirà la carne e la mente della Lega a evolversi rispetto a un mero stato febbricitante, a un populismo effimero, maturando in un movimento culturale, ora che abbiamo constatato l’esistenza, tra le pagine che fra poco leggerete, di una spina dorsale ideale, composita e complessa? Riuscirà la Lega, e quindi il sovranismo di cui si fa portabandiera, a ergersi rispetto a una mera reazione antiallergica alle follie del progressismo, del globalismo? Solo così troverà salvezza e rappresentazione nel mondo reale, e non solo in quello ideale, solo così potrà contaminare il tempo e non solo garantire la gratificazione istantanea di chi la segue. E, soprattutto, showdown: giù le carte. La Lega, e per esteso il movimento sovranista che anch’essa incarna, ed ecco la vena antropologica essenziale, che uomo vuole? Anzitutto, che rapporto vuole avere il sovranismo col proprio uomo? Mi sarà concesso un breve, ma necessario, approfondimento in merito.

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Sveliamo le carte. Non potrà andar lontano se l’agglomerato movimentistico sovranista attuale avrà interesse nel continuare ad avere in seno un elettore, un cittadino, un uomo perfettamente conforme al vivere odierno. Un uomo-folla che si nutre di emozione – la quale viene eletta a metro esclusivo di giudizio del reale –, il conformista perfetto, l’elettore traditore che si venderebbe anche la madre pur di sostenere chiunque riesca a garantirgli le proprie necessità di sopravvivenza, che passerebbe sopra a qualsiasi contraddizione e tradimento – la recente, psicotica ed infantile parabola del Movimento Cinque Stelle lo denota con gusto – , pur di proseguire la propria gratificazione istantanea, che vive condannato alla dittatura dell’immagine e della percezione. Certamente, è la modalità, la forma dell’uomo dell’oggi che garantisce il consenso. A me, però, piace intendere il sovranismo, e conseguentemente gli atti dei movimenti capaci di rappresentarne “l’essenza” come una restaurazione umana, atto di recupero del controllo, della sovranità umana innanzi all’attacco del pensiero globalista alla più profonda identità umana che garantisce una determinata integrità – sessuale, spirituale, social, et cetera -, e non solo come un voto da esprimere per liberarsi, forse e momentaneamente, da ciò che opprime. E dunque, a partire da questo, in un lento processo, il gotha sovranista, i leader, le strutture, le meccaniche sovraniste, in primis quelle della Lega, o disintossicheranno lentamente i propri uomini, abituandoli a una nuova forma di coltivazione, o saranno esattamente, conformisticamente, parte del tempo. E quindi fuori dalla partita, tagliati fuori dal tempo, se non dal consenso istantaneo, per sua natura fugace, dai professionisti del conformismo belante.

E a questo punto perché e come il sovranismo dovrebbe fare la differenza, essendo esattamente uguale al resto del mondo, se non per meri scopi di speculazione politica, esattamente come tutto il resto dell’arco costituzionale contingente?

Un qualcosa che, orteghianamente, sia come tutto il mondo e sia felice di esserlo, sviluppando medietà.

Il sovranismo non può essere la forma di governo della mediocrità, promettendo liberazione. Non può alimentare mediocrazia. L’uomo sovranista, o l’uomo sovrano di se stesso, deve distinguersi, deve essere parte consapevole, vivo, acceso, lucido dell’emancipazione dal conformismo. Ma questo sogno di zucchero si scioglie presto se non si realizza una volontà formativa, o se la volontà formativa si subordina a quella speculativa, specie nell’epoca dell’estremo culto del capo, della personalizzazione e della leaderizzazione, appunto, di quel movimento/esercito personale che, come bande mercenarie rinascimentali, galoppa dal nord al sud alla ricerca di consegne.

Seguaci, non segugi.

E allora, occorre compiere uno sforzo, a cui anche la Lega non può sottrarsi. Lo sforzo, anzitutto, di “rieducare” il proprio elettorato alla militanza e alla cultura (politica), e non solo a ritwittare il capo; un percorso di depurazione, che non è perdita di contatto col leader, ma un modo rinnovato di interpretare l’appartenenza, di essere partecipante appartenenza – combattendo col coltello fra i denti quell’illusione di partecipazione globale che è propria del mondo odierno –, ad esempio, e non un segnale di gradimento virtuale, likes da sommare, prevedibile compitino che alimenta la sondaggiocrazia. Va ripreso urgentemente il territorio. E il territorio lo fanno gli uomini che traducono in una sintesi i grandi sistemi di pensiero applicati alle necessità quotidiane. Un percorso di rappresentanza “fisica” che si palesa ancor più quando il sommo leader fugge tra le piazze a fare campagna elettorale, continua, esasperante, imperterrita campagna elettorale.

Il sovranismo dovrà curare il rapporto col proprio uomo, ora, che è “quotato”, ora che è ancora magma ribollente, più di sempre.

Dovrà curarlo a partire dall’intelligenza, nella sua radice più salda; non dovrà fornirgli solo le risposte o un vespasiano, ma un metodo di comprensione e lettura del mondo e del presente, se vorrà assurgere a movimento culturale.

Dare una dimensione di coltivazione all’uomo sovranista, utilizzando quegli strumenti che già sono parte fondante della forma dell’uomo-folla, ma in senso positivo e costruttivo, approfittare della vigente emozione pubblica per tornare a generare militanza, partecipazione fisica e culturale, non solo emotiva, riempiendo un contenitore effimero e istintivo come la delega all’emotività per vivere il mondo, per lanciare incipit di coltivazione che non sia solo il parere su una determinata questione postata da commentare, il tweet del denigratore del capo da commentare in difesa del regno e poi da condividere o, peggio ancora, una piattaforma virtuale con cui portare un dj a fare il Ministro.

Un popolo unito su chiamata e dalla rabbia: per questo l’educazione selfistica a cui ci ha abituati Matteo Salvini, ad esempio, va fortemente riformata, ma non eliminata. Non bisogna essere fuori dal tempo, ma occorre rivedere il modo di starci dentro. Il sovranismo deve poter permettere il controllo della rabbia sociale che esplode, non solo fornendo promesse di rivalsa – “se mi voterai, italiano, tornerai ad essere priorità” –, deve compiere lo sforzo di formare uomini, non replicanti acefali o ciechi della volontà del capo; soldati culturali, presidi territoriali di pensiero e di ragionamento sopra le cose, indirizzare. Se il gran capo richiamasse, per dire, alla frequentazione della nutrita editoria che anima il mondo “sovranista”, senza distinzioni ma puntando ai contenuti, o comunque che condivide con esso visioni simili al suo agire politico, “ideale”, sulla Nazione, sull’identità e sulla storia nazionale, da proseguire e tutelare, sul presente di reazione al globalismo, al migrantismo come perfetta dinamica dell’uomo odierno sempre in movimento poiché capace di essersi tagliato le radici con la lametta, et similia, il più minuto uomo-folla che ancora popola il populismo da rissa in discoteca, avrebbe un incipit “nuovo”, rispetto al piatto di maccheroni postato del capo, su cui coltivarsi.

Se il capo lo vuole, la pancia risponde.

Non un residuo dei partiti di massa, non un ritorno all’antico, ma un concepimento degli strumenti adatti alla necessità di ripensare l’etica e l’estetica dell’azione sovranista.

Dunque la Lega che uomo vuole per contaminare e funzionare nel tempo? Nella coltivazione di se stesso, come raccolto di esperienze, studi, visioni, ragionamenti, dubbi e certezze, letture, constatazioni, intuizioni, che generano un pensiero critico, lucidità, capacità di ragionare sopra le cose e non essere passivi di fronte ai ritmi della politica e alla lingua dei media, (soprattutto) oggi, sta il militante. Chiusa la sezione e aperta la piazza virtuale, constatata la complessità e la velocità dello svolgimento dei processi di governo comune, condannati a morte i programmi politici, è impossibile pensare il militante di oggi come quello di ieri. Il militante dell’oggi è parte di una palestra di vita, dovrà essere un presidio “culturale” individuale, semovente; egli porterà con sé la convinzione nella propria visione del mondo, esistendo oltre la delega politica, combattendo la corruzione che questo mondo vuole imporgli, contrastando la rete di ricatti, di facilitazioni ad uso personale, di difficoltà e miseria, di incoerenze che il sistema, come bassofondo londinese ottocentesco, pone a ogni angolo; assumendosi responsabilità, combattendo l’insistente canto delle sirene che lo chiamano a depotenziare se stesso in nome di un paradiso terreno con sette vergini disponibili e fiumi di latte e miele – un tempo sarebbe bastato chiamarlo posto fisso… Il militante di oggi cerca una nuova modalità di aggregazione che dai luoghi passa al pensiero, divenendo egli stesso il luogo. L’integrità è il luogo del militante: nella propria integrità egli si rinnova e prosegue. Non è più, o raramente, il luogo fisico, infatti, a essere coesione, ma è solo lo stesso sentire ideale che avvicina militanti costretti a muoversi nei nonluoghi del neoreale, schivando fake news, combattendo la disinformazione, coltivando se stesso alla lettura, al rapporto col tempo per studiare e sentire le pulsazioni aritmiche dell’esistenza, nella ricerca di una reazione, nella fermezza della presa di posizione, nella capacità di sviluppare un proprio pensiero critico.

Un percorso di militanza contribuisce a una coltivazione complessiva della coscienza critica dell’uomo, eleva il cittadino, rende consapevole l’elettore, e conduce a frenare il nozionismo, l’aggregazione frettolosa e onanistica dei frammenti del presente rubacchiato qua e là tra un talk show, una mezza verità, il post del Capo e un articolo di un giornale online, che non permette, come abbiamo visto, la composizione di una sufficiente immagine culturale. Per questo per ogni uomo ci vuole un militante, perché sarà lui a costruire il voto. Egli incarnerà l’estrema provincia dell’impero, l’ultimo bastione, l’ultimo presidio che, certamente, dovrà attivarsi al richiamo di un leader, dopo averne attentamente verificato la compatibilità, ma che non deve vivere completamente in standby, pendendo dalle sue labbra. Mitocondri formati che devono costruire sulla base di una visione culturale d’Italia e dell’uomo stesso. I militanti odierni non possono accendersi e spegnersi al segnale del capo. Coltiveranno una visione del mondo utile a contrastare il tentativo di estinzione degli uomini e delle società degli uomini, in favore dell’epoca dei replicanti, identificando una sintesi nel sogno di un movimento unitario che sappia coltivarsi o, al momento, nella parte politica di sovranismo che maggiormente si avvicina a ciò che rappresenta quella loro coltivata speranza, affinché si possa imporre con le armi della politica. Costui dovrà essere prima di tutto la prossimità, il territorio, dovrà ricostruire, sui propri dettami, il tessuto umano, ancor prima di andare a brancolare nei massimi sistemi.

Non è più tempo di bluff e conformismo, prossimi all’estinzione di una determinata visione del mondo che a destra ha sempre prosperato.

Sulla base di tutto questo, la Lega non dovrà commettere sciocchezze già viste e ingoiate a forza dal centrodestra. Dovrà superare i suoi antichi vizi, i nepotismi e le guerre interne, i favoritismi e il feudalesimo eterno, dei piccoli signorotti locali che costituiscono insulse bande e che frammentano consensi e intelligenze, esponendo tutti al rischio. Dovrà imparare ad occupare spazi, dal più minuto paesello, sino ai luoghi del potere giudiziario e culturale. Dovrà imparare a tradurre e non solo a mostrarsi, engagez-vous, non solo generare apostoli del martirio.

Corrente ascensionale, luccichio. Una prova di maturità, scritta e orale. Guardiamo e speriamo.

Ma ora, back to basics. Buon Rognoni a tutti.

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