Un’estate complicata quella di Matteo Salvini. La sua Lega non solo non vola più nei sondaggi, ma deve guardarsi pure dalla concorrenza di Fratelli d’Italia, che l’ha superato in più d’una rilevazione. Il rimedio da lui escogitato per conservare il primato – la federazione con Forza Italia – rischia di produrre più scontento che entusiasmo in entrambi i partiti. Poi c’è l’opposizione gommosa di Giorgetti, spalleggiato dai «territori» del Nord (leggi Zaia e Fedriga) e, infine, lo scalpo di Durigon offerto in sacrificio sull’altare dell’unità nazionale. Oscillazioni, tentennamenti e ripensamenti figli della strategia che vuole la Lega “di lotta e di governo“. Si può fare per poco, non per sempre. Questa condizione (parecchio scomoda, in verità) è riecheggiata anche nel corso dell’intervista rilasciata in quel di Pinzolo a Mario Giordano.
Salvini intervistato da Mario Giordano
Il primo annuncio, in realtà un mea culpa, Salvini lo lancia sul reddito di cittadinanza. Per abolirlo. «Presenteremo l’emendamento a mia prima firma», assicura. La misura-bandiera dei 5Stelle è anche nel mirino dell’altro Matteo, Renzi. «Sta disincentivando il sacrificio, sta provocando lavoro nero – incalza il leghista -. Pensavamo che andasse in maniera diversa, a volte si sbaglia». Tutt’altra musica, invece, sull’altra legge-simbolo del Conte-1: quota 100. Salvini la difende a spada tratta. Non solo la norma, ma anche chi l’ha concepita e cioè proprio Durigon. All’ex-sottosegretario va l’onore delle armi: «Per me è stato attaccato, primo, perché è della Lega, secondo perché è il papà di quota 100».
«Con Berlusconi Italia rispettata all’estero»
Il capitolo sull’Afghanistan e sulla politica estera è un peana a Berlusconi. «Penso che con lui l’Italia contasse molto di più rispetto a adesso e che Berlusconi avrebbe da insegnare alla metà dei ministri che ci sono adesso, e in primo luogo a quello che stava in spiaggia mentre cadeva Kabul». Sistemato Di Maio, Salvini si dedica ad Enrico Letta. «Ha avuto pessimo gusto – rimarca – quando ha detto: “Draghi dovrebbe andare avanti a fare il presidente del Consiglio fino al 2023″. Mia traduzione, il Pd ha 35 aspiranti presidenti della Repubblica, e quindi vuole togliersi di mezzo un concorrente». A suo avviso, invece, «può essere solo Draghi a decidere». In ogni caso, ha fatto sapere parlando a nome dell’intero centrodestra, «noi lavoriamo perché il prossimo presidente della Repubblica sia in rappresentanza di tutti». L’ultima bordata la dedica a Monica Cirinnà: «Si dovrebbe dimettere perché ha offeso le lavandaie, le cuoche e le ortolane».
di Michele Pezza per www.secoloditalia.it