capture 095 20092021 102544La Forza della Ragione è la via maestra sulla quale l'Occidente poteva (e potrà) ritrovare sé stesso. Dagli ultimi epocali scritti di Oriana Fallaci alle parole più complesse e meno capite di Benedetto XVI, quelle pronunciate all'università di Regesburg nel settembre di quindici anni fa, il passo è davvero breve. Il susseguirsi, in questi giorni, di anniversari e conseguenti riletture di fatti, figure e pensieri di inizio millennio, costringe quasi naturalmente a tornare anche a riscoprire le parole che Joseph Ratzinger consegnò al mondo visitando l'ateneo tedesco in cui era stato professore. Il Papa oggi emerito, nella prolusione divenuta tristemente nota solo per la marginale citazione di una frase, letta come anti-islamica, dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo, si era caricato dell'onere di mostrare, in una delle sue formidabili lezioni, la strada per uscire dal buio in cui quegli anni era precipitato (e ancora in realtà vaga) il mondo occidentale. Citava il Vangelo, ovviamente, Benedetto: «In principio era il lògos», viaggiando nel solco tracciato da Giovanni Paolo II, pochi anni prima, nella bellissima enciclica intitolata proprio Fides et ratio del 1998. Di fatto Papa Ratzinger, in quel discorso, si trovò a descrivere «un mondo nuovo», dove fede e ragione coesistono e agiscono l'una al servizio dell'altra. Un percorso addirittura assolutamente incline all'ecumenismo e mirato proprio alla forma più autentica possibile del dialogo tra religioni e culture. Quel dialogo nel quale ci si dice tutto, senza escludere nulla, ovviamente - trattandosi di un Papa - in primis non tagliando fuori, anzi rimettendo al centro la parola di Dio.

 

Si parlò ben presto di atei devoti e di teorie teo-con pronte a contagiare le destre di tutto il mondo. Ed è esattamente così - testimonianza ulteriore l'ultimo viaggio di Papa Francesco in Ungheria da Orban - che il semplicismo mediatico ha portato la massa verso la convinzione che, persino nella Chiesa, possano convivere posizioni contrastanti nelle quali la fede in Dio e l'annuncio del Vangelo di Cristo vengano dopo il riferimento alle correnti progressiste o conservatrici sui temi di rilievo: dalle migrazioni, ai diritti umani e civili. I caratteri e le impostazioni comunicative certamente diverse di Ratzinger e Bergoglio, fanno spesso dimenticare troppo facilmente un dato testimoniato dallo stesso Papa emerito in racconti, interviste e libri: all'inizio del proprio percorso pastorale e poi alla fine del pontificato. Joseph Ratzinger, infatti, è stato un modernizzatore della teologia cristiano-cattolica e un progressista all'interno del dibattito che ha condotto la Chiesa prima al Concilio Vaticano II, poi nel nuovo millennio.

Dimostrazione estrema dello spirito innovatore, forse secondo solo a quello anziano ma potente di Papa Roncalli, sono state proprio le sue dimissioni del febbraio 2013, arrivate come un fulmine su San Pietro a cambiare il presente della Chiesa, rimettendola al centro del mondo come via d'uscita possibile (e per i cattolici imprescindibile) in risposta al predominio del nichilismo. Con «il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione» necessario a entrare «nella disputa del tempo presente». Una missione che la Chiesa, nonostante la maggiore diplomazia di Papa Francesco (o forse proprio a causa di essa, come più di qualcuno pensa) nel distinguere il dibattito civile da quello religioso, fa ancora molta fatica a portare a termine. Lasciandola incompiuta, spesso inascoltata ma forse, ancora di più, semplicemente incompresa. 

di Daniele Priori  per www.liberoquotidiano.it