capture 033 01102021 103731In quest’epoca gender fluid, sta ormai venendo meno ogni distinzione: territoriale, etnica, culturale, sessuale e, adesso, anche linguistica. È diverso tempo, infatti, che le lobby Lgbt e i collettivi femministi stanno spingendo per rendere più «inclusivo» il linguaggio. In Italia è stata in particolare Michela Murgia a farsi alfiere e madrina di questa tendenza, ammorbandoci con l’utilizzo del cosiddetto «schwa». La famigerata «e rovesciata» (ə) – ci assicurano i cantori fucsia – sarebbe perfetta per non far uso di una lingua «sessista» ed «eteronormata» (qualunque cosa ciò voglia dire). È per questo motivo che ha destato molto scalpore un intervento della Crusca che ha completamento demolito questa grottesca moda di far ricorso allo schwa.

La Crusca boccia lo schwa

Sul blog dei cruscanti, infatti, il linguista Paolo D’Achille è stato perentorio: «In alternativa all’asterisco, specie con riferimento alle persone non binarie, è stato recentemente proposto di adottare lo schwa (o scevà). Questa proposta, che sarebbe da preferire all’asterisco perché offrirebbe anche una soluzione sul piano della lingua parlata, ha già trovato vari sostenitori (sembra che l’abbiano adottata, almeno in parte, una casa editrice e un comune dell’Emilia-Romagna). A nostro parere, invece, si tratta di una proposta ancora meno praticabile rispetto all’asterisco».

 

Infatti, secondo il linguista della Crusca, «non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo». Del resto, «l’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale».

Linguisti contro la Murgia

Dello stesso avviso è anche Roberta D’Alessandro, docente di Sintassi e variazione linguistica presso l’Università di Utrecht, che in merito allo schwa conferma: «D’Achille, che ha scritto per la Crusca, sa quello che dice». Per la D’Alessandro, intervistata dall’Huffington Post, «il cambiamento linguistico non accade mai come risultato di un ragionamento a tavolino», come invece pretenderebbe la Murgia.

«È sbagliato pensare che si tratti di un cambiamento in atto. Si tratta di educazione linguistica, esattamente come quella che ci indica di segnare l’accento sulla è. L’accento sulla è, così come lo schwa, non sono parte della lingua: sono convenzioni ortografiche», ha aggiunto la linguista. Che poi spiega: «La lingua è parlata e decisa dall’uso dei parlanti, non può mai essere imposta, e soprattutto deve essere acquisibile dai bambini che imparano. Una regola come quella dello schwa, nel sistema italiano che marca il genere binario e ha il maschile di default (cioè lo usa nei verbi impersonali o in quelli meteorologici) non è acquisibile».

di Elena Sempione per www.ilprimatonazionale.it