capture 012 23112021 090849Ormai non è più tabù: il governo Draghi sta discutendo dell’opportunità di varare un «super green pass», ovverosia un giro di vite a danno dei non vaccinati, che rischiano di finire confinati anche se sani e negativi. Su questa eventualità si è detto molto perplesso Cesare Mirabelli, magistrato ed ex presidente della Corte costituzionale (dal 23 febbraio al 21 novembre 2000). «Un lockdown solo per i non vaccinati risulterebbe una misura discriminatoria. Tenere chi non si vaccina fuori dalla vita sociale e lavorativa non sarebbe una soluzione accettabile», ha dichiarato in un’intervista alla Verità.

È praticabile un lockdown per non vaccinati?

Per Mirabelli, in assenza di obbligo vaccinale, l’ipotesi di un lockdown per soli non vaccinati solleva diversi problemi, di natura anche costituzionale: «Diverso è il discorso se parliamo di singole misure isolate», spiega, «per evitare eccessivo affollamento di persone: ma sarebbe comunque una scelta di difficile applicazione. E in ogni caso ogni provvedimento deve essere temporaneo e proporzionato rispetto al fine che vuole raggiungere». In effetti, prosegue l’ex presidente della Corte costituzionale, «i governi utilizzano diversi strumenti per fronteggiate un’emergenza sanitaria di dimensioni mai viste. Ma se la soluzione è il lockdown selettivo, a questo punto mi chiedo se non sia preferibile introdurre un vero obbligo vaccinale». Anche qui, però, a una condizione: «Dovrebbero essere previsti indennizzi in caso di danni da vaccino. E questo principio in realtà non dovrebbe valere solo in caso di obbligatorietà vaccinale, ma anche laddove la scelta sia “indotta”, come avviene nella situazione attuale».

 

Uno stato di emergenza infinito

Al di là del lockdown limitato ai non vaccinati, Mirabelli solleva molti dubbi anche sul prolungamento dello stato di emergenza. Secondo il magistrato, infatti, «occorre ricondurre all’uso di strumenti ordinari il modo di fronteggiare il problema. Prolungare indefinitamente una situazione eccezionale rischia di presentare elementi di criticità». Quali? «Il rischio è che si instauri una consuetudine di strumenti eccezionali e di limitazioni profonde alle libertà della persona. Limitazioni alle relazioni, alla partecipazione, alla comunicazione e al movimento». Nel peggiore dei casi, precisa l’ex presidente della Corte costituzionale, «questa abitudine a sopportare limitazioni alla libertà potrebbe costituire un rischio utilizzabile in quella prospettiva. Il rischio di trovarsi di fronte a uno stato di “polizia sanitaria”».

di Elena Sempione per www.ilprimatonazionale.it