Il governo ha reso obbligatorie e a pagamento le buste dopo aver cominciato a incentivare gli impianti per la produzione di biogas e biometano dai rifiuti organici, dove però i sacchettini creano più di un problema e spesso vengono eliminati in ingresso. Due strade sempre più divergenti: da una parte cresceranno rapidamente questi impianti, dall'altra ci saranno 25mila tonnellate di buste da smaltire (con i costi che ricadranno nelle tasche degli italiani). I nuovi sacchettini per l’ortofrutta sono biodegradabili, compostabili e quasi ovunque si possono usare per la raccolta dell’organico, ma nella realtà prenderanno sempre più spesso la via della discarica. Possibile? Sì, perché il governo ha reso obbligatorie e a pagamento queste bustine per gli alimenti sfusi nei supermercati dopo aver cominciato a incentivare (in accordo con le politiche energetiche dell’Ue) gli impianti per la produzione di biogas e biometano dai rifiuti organici, dove però i sacchettini creano più di un problema e vengono quindi eliminati in ingresso.

Così, ci troveremo di fronte a due strade sempre più divergenti: da una parte cresceranno rapidamente questi impianti, dall’altra avremo 25mila tonnellate di sacchettini da gestire in qualche modo. Aspetti non valutati dal ministero dell’Ambiente prima di infilare questa estate l’emendamento balneare della legge di conversione del decreto Mezzogiorno. Il testo, infatti, è stato scritto senza chiedere un parere di merito al braccio scientifico del dicastero, l’Ispra: il ministro ripete che la misura “fa bene all’ambiente”, ma una valutazione tecnica avrebbe potuto far emergere, oltre ai pro, anche i contro della scelta. A partire proprio dalle criticità per gli impianti e i tempi lunghi di biodegradabilità nel mare, fino all’esortazione dell’Onu ad abbandonare l’usa e getta piuttosto che promuovere le bioplastiche.

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