Il brevetto di Amazon sul braccialetto che guida la mano dei magazzinieri ha suscitato tempeste d’indignazione. Molto meno quello (reso noto negli stessi giorni) di Facebook che ha costruito un algoritmo per dedurre dall’enorme mole di dati dei quali dispone il livello sociale ed economico dei suoi due miliardi di utenti.

Un sistema che consente di suddividere tutti noi tra ricchi, poveri e ceto medio senza disporre direttamente di informazioni su stipendi percepiti o patrimonio posseduto. Per arrivarci con un accettabile grado di approssimazione Facebook mette insieme altri parametri: il tuo livello d’istruzione, che viaggi fai, dove vai in vacanza, quanti e quali apparecchi elettronici usi, con quanta intensità, dove abiti, se sei proprietario del tuo alloggio e altro ancora. Profili che, rivenduti a imprese, serviranno a indirizzare i messaggi pubblicitari: se sei catalogato come ricco ti proporranno viaggi in Polinesia, altrimenti proposte low cost. Solite questioni. Invasione della privacy, dati con un valore economico prelevati gratis da una società che continuiamo a chiamare rete sociale ma, in realtà, è ormai una enorme macchina di accumulazione, elaborazione e rivendita di dati. E c’è molto di più dell’uso (spregiudicato ma lecito) di informazioni personali a fini commerciali: intanto questi profili sono approssimativi. Chi li compra si accontenta di identificazioni magari precise al 90%.

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dall'articolo di Massimo Gaggi  per corriere.it

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