C' è nei film di Matteo Garrone, quasi da subito, dai primi film, uno sguardo ibrido, fisico e mentale, fatto di umiltà e acume, curiosità e impassibilità: dalle prostitute nigeriane di Terra di mezzo ai giovani apprendisti killer di Gomorra, sembra un cinema che non si sorprende di nulla e che non guarda nulla dall'alto in basso. Il mondo ordinario, quello borghese, di chi ha una casa, un impiego, una famiglia e guarda i tg o le partite, è sempre altrove. I suoi film mappano con scrupolo e disciplina piccoli regni di sottosviluppo, isolamento irreale e degrado, vitalità ed emarginazione dove dimora un popolo sconosciuto e randagio, una periferia dell'anima prima che della società.

 

 Dogman filmDi questi mondi, Dogman – ambientato presso il litorale domizio di Castel Volturno, dove il regista aveva già girato L'imbalsamatore e in parte Gomorra - mette in scena un esempio di cupo splendore. Tutto si svolge in un'arena occupata da un parco di cemento screpolato, giochi per bambini divelti, acquitrini metallici, portici pallidi e semibui, casermoni da graphic novel espressionista. È l'avamposto di una frontiera (lo stesso Garrone ha parlato di western metropolitano), un enclave che è innanzitutto una discarica surreale per accostamenti illogici: una bisca, un "compro oro", un campo di calcetto, una spiaggia livida – e un negozio di toeletta per cani, Dogman.

È anche il ring dove Marcello (Marcello Fonte), il proprietario di Dogman, e Simone (Edoardo Pesce), indossano le maschere di un'ambigua amicizia: il primo vive per i propri cani e per l'amore di una figlioletta che vive con la mamma e che condivide con lui l'amore per la pesca subacquea, il secondo per i furti, le rapine, il gioco d' azzardo e la cocaina che Marcello spaccia sotto banco.

Simone è violento, brutale, animalesco e in quello scorcio di mondo non c' è nessuno che non abbia avuto un labbro spaccato o una pezza micidiale per la sua rabbia e prepotenza, Marcello è infantile e servizievole, debole e giocoso. La preda ideale per Simone che lo costringe a fare il palo, a cedergli tutta la coca e a chiederne per lui, fin quando uno spacciatore gli pianta un proiettile nel torace. Ed è Marcello che se lo carica fino a casa della mamma e persino lo opera cavandogli il proiettile – proprio come nei western. Quando è costretto in prigione per un furto di Simone, non lo denuncia. Quando esce e prova a chiedere la sua parte è malmenato come una bestia. Da quel momento qualcosa si muove finalmente in lui. Ora Marcello ha un piano.

Ispirato ad un celebre caso di cronaca degli anni '80, più brutale e sadico di ciò che il film mette in scena come ineluttabile vendetta, Dogman non è un film sul male e sulla innocenza, sul degrado o sulla violenza: è un film sull'esasperazione.

La scena più impressionante è quella in cui Simone, rovesciato e sanguinante su un divano, tiene immobilizzata l'anziana madre, mentre costringe Marcello a raccogliere la cocaina che la donna ha rovesciato per terra, esasperata dalla vita e dei guai che il figlio le procura. Esasperato è Marcello che per colpa di Simone non solo ha una faccia piena di croste di sangue, non solo finisce in gattabuia per un anno, ma tutto il quartiere lo disprezza perché pensa si sia messo in combutta con l'animale cocainomane che percorre la piazza avanti e indietro con il rombo del suo motore. Esasperante, più di tutto, è l'abbaiare dei cani, inquieti o impauriti, il cui sguardo è spettatore unico del finale martirio di Simone.

Da questo punto di vista, pure appartenendo ad un mondo che ha un grado di realtà più vicino all'antropologia immaginaria di Ferreri che alle cronache del tg, Dogman, che ha due attori superbi (Pesce ha la sinistra potenza e la rabbia cieca di De Niro in Toro Scatenato, Fonte tratteggia una creatura dolce e limitata, un paperino sghembo, letale e chioccio che sembra a suo agio solo con i barboncini), è un film che parla proprio di noi, di quelli che vivono in quartieri borghesi, che hanno ancora un lavoro e non dipendono dalla cocaina. Nonostante tutto, siamo esasperati anche noi, quando vediamo linciare qualcuno on line, quando pensiamo al futuro dei nostri figli, quando ascoltiamo a bocca aperta una classe dirigente che non ha alcuna chance - questo film di concentrazione e intensità quieti e allarmanti, dalla luce cianotica e la composizione geometrica, ce lo ricorda, con stile e fermezza, senza pietà.

 

Articolo di Mario Sesti per   huffingtonpost.it 

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