Angela Merkel lapresseIl caso Fca è solo l'ultimo esempio di ingerenza. Nel 2013 Berlusconi disse: ci considerano una loro colonia.  Ingerenze, entrate a gamba tesa, diktat. C'è sempre un giudice a Berlino che decide sull'Italia. L'affondo sul caso Fca in materia di emissioni è solo l'ultima certificazione di una costante intromissione tedesca negli affari interni dell'Italia. Si chiami Angela Merkel, Wolfang Schäuble o Jens Weidmann poco importa, la toga è comunque teutonica ed emette sentenze sulla politica nostrana.  «Sembra che veniamo considerati una loro colonia». La frase che pronunciò Silvio Berlusconi nel febbraio 2013 è emblematica e non è stata mai smentita dalla storia. Non per nulla era una risposta al ministro delle Finanze tedesco che consigliava agli italiani «di non ripetere l'errore già fatto e di non continuare a votare il Cavaliere».

Dopo il golpe del 2011 che portò all'estromissione del leader di Forza Italia dalla presidenza del Consiglio, la «colonizzazione» tedesca ha continuato a palesarsi puntualmente. Non c'è stata un'elezione politica italiana che non abbia visto l'invasione tedesca.

Nel dicembre 2012, la Cancelliera, in piena campagna elettorale, scese in campo per Mario Monti dichiarando candidamente: «Il cammino intrapreso dal governo Monti è giusto e gli elettori sceglieranno in modo tale da garantire che l'Italia resti sul cammino giusto». Pensiero ribadito un mese dopo: «Non è un segreto che Monti si batta con durezza per gli interessi italiani».

Quando poi il 30 aprile 2013 il premier Letta si recò a Berlino, la Merkel gli diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla condita da un ordine programmatico: «Non c'è contrapposizione tra rigore e crescita. Ma lo sviluppo si ottiene con le riforme strutturali e la competitività, non con le risorse pubbliche».

Nel giugno 2013 la Cancelliera rivendicò l'egemonia nell'Ue avvisando tutti i partner, tra cui il nostro paese, che «chi ha bisogno di aiuti deve ridurre la montagna di debiti e aumentare la propria competitività». Insomma, era il periodo in cui la maestrina Berlino ordinava agli Stati-alunni di fare i compiti a casa.

Qualche mese dopo, a settembre, la stessa Merkel telefonò al presidente del Consiglio per ribadirgli «l'auspicio di stabilità politica dell'Italia per la prosecuzione dell'azione di riforme del governo». Rigore e stabilità all'epoca erano i diktat ricorrenti per far sì che la Germania rimanesse leader incontrastata dell'Europa, non solo politicamente ma anche economicamente.

Quando fu la volta di Renzi al governo il rapporto non cambiò. Complimenti e appoggi di facciata da un lato e imposizioni dall'altro. Un esempio su tutti? Il 17 marzo 2014 il premier presentò il famigerato Jobs Act prima alla Merkel che al Parlamento italiano per riceverne il permesso. Alla faccia della sovranità nazionale. Salvo poi nel dicembre dello stesso anno ricevere una mazzata: «Quanto è stato fatto in relazione alle riforme non è sufficiente. L'Italia promuova ulteriori riforme». La lista è lunga.

Se torniamo ai giorni nostri, non si possono non ricordare gli affondi del presidente della Bundesbank Weidmann, che nel settembre 2016 strigliò il nostro paese sui conti pubblici affermando che «l'Italia ha già abusato della flessibilità e non ha tagliato il debito».

Per non parlare poi della questione dei migranti. Sul tema, l'accogliente Merkel ha più volte detto la sua intimando al nostro esecutivo di «creare subito gli hotspot» perché altrimenti «non sarà possibile una distribuzione equa dei migranti». Una sorta di ricatto velato a cui fece eco nell'aprile del 2016 la dichiarazione del ministro dell'Interno tedesco Thomas de Maizière secondo il quale «l'Italia non è sopraffatta dal flusso e con 60 milioni di abitanti potrebbe calcolare che il momento di chiedere aiuto potrebbe essere a 350mila. Ma siamo ben lontani da ciò».

Infine venne il momento del referendum costituzionale. In quell'occasione la Merkel fece sapere che appoggiava Renzi nelle «sue diverse attività di politica interna» e «le riforme che il premier ha avviato, ad esempio nel mercato del lavoro». E c'è da scommettere che le invasioni non si fermeranno qui.

 di    per ilgiornale.it 

 

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