Percorrendo la Salaria con destinazione Amatrice, i segni del terremoto si vedono già una trentina di chilometri prima: resti di edifici crollati, altri lesionati e tenuti insieme con putrelle d’acciaio o puntellati con pali di legno. Se non si è mai stati nella cittadina simbolo del sisma di due anni fa, ci si figura che lo scenario a cui si sta andando incontro sia una versione più concentrata di ciò a cui l’occhio si sta abituando. Non è così. La cosiddetta zona rossa, cioè quel che fu il paese di Amatrice, è un paesaggio di macerie. Un deserto. A testimoniare che li c’era un centro abitato sono rimasti forse una decina di monumenti e porzioni di edifici, tra cui la Torre civica del ‘200 fasciata in una gabbia d’acciaio e le quattro chiese più importanti, che il ministero dei Beni culturali cerca di recuperare.

“Se vado in paese non riesco più a capire dove stava la mia casa” dice un’anziana signora che ora vive in una delle circa 500 Sae, soluzioni abitative d’emergenza, distribuite in 44 aree tra le 69 frazioni del Comune. Non è l’effetto diretto del terremoto, è il lavoro di demolizione. Il sisma, oltre i 299 morti, ha lasciato tra Amatrice e Accumoli il 95% di edifici non agibili.

Il primo lavoro intrapreso dai 3 commissari governativi che si sono finora alternati è stato la demolizione. Quello delle macerie al momento è il grande tema. Due i lotti appaltati, uno per le macerie generiche, l’altro per gli edifici storici, vigilato dai beni culturali: si cerca di salvare ogni pietra utile. “Quando invece si demolisce un’abitazione civile”, spiega il capocantiere di una delle ditte al lavoro, “vengono avvistati i proprietari, che cercano di recuperare qualcosa”.

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dall'articolo di   per ilfattoquotidiano.it 

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