Un volume invita a rivedere il capolavoro di Antonioni. Un film che ancora oggi ha qualcosa da insegnare, perché apre gli occhi sull’idolatria dei dettagli che ricaviamo da immagini che montiamo arbitrariamente. SE AMATE la fotografia, la grande letteratura o il grande cinema, o tutte queste cose assieme, non potete perdervi Io sono il fotografo, un gioiellino pubblicato da Contrasto, ottimamente curato da Alessandra Mauro.

Il volume mette assieme il racconto Le bave del diavolo dell’argentino Julio Cortázar, la sceneggiatura che ne trasse Michelangelo Antonioni per realizzare Blow-Up (1966), il film – fu un successo di pubblico e critica, possono anche andare assieme – in cui il cinema moderno si spoglia di fronte al potere ambiguo della fotografia, di cui si riconosce figlio irrequieto. 
Fotografia che era al centro del testo cortazariano, ambientato in una Parigi attraversata da torbide attrazioni ai giardini pubblici e nuvole inquiete, che coprono e scoprono il sole sull’erba, come un obiettivo che varia tempi di esposizione e apertura dell’otturatore (Cortázar era appassionato di fotografia, oltre che di jazz, e con il suo testo mostra come funzioni la fotografia in quanto “scrittura di luce”). 
A testimonianza di questo processo creativo di contaminazione, ci sono foto iconiche del film – come lo shooting della modella Verushka, che interpreta se stessa, forse perché la bellezza assoluta è l’unica cosa vera in sé–, foto di scena e persino gli scatti preziosi di Don McCullin, fotoreporter di guerra, che collaborò al film; preziose sono anche le riproduzioni delle pagine della sceneggiatura, con le correzioni del regista, e i saggi di Goffredo Fofi e di Ernesto Franco, grande studioso di Cortázar; infine l’intervista di Alberto Moravia ad Antonioni e il test che il regista distribuì tra i fotografi dell’epoca per raccogliere informazioni utili alla costruzione del protagonista, Thomas (David Hemmings), il fotografo di moda che impazza nella swinging London, dove Antonioni ambienta la storia che in Cortázar era parigina.

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dall'articolo di Luca Mastrantonio  per corriere.it/sette 

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