Tra il 1995 e il 2011, da ricerche per Oxfam, risulta che le grandi catene hanno visto salire la loro quota sul prezzo di un prodotto dal 27% a più del 30%, mentre quella spettante agli agricoltori è diminuita. Le conseguenze di questo sistema: una passata si paga più per la bottiglia che per il pomodoro, mentre lo sfruttamento e le violenze si riversano su operai e braccianti. L'Italia deve ancora migliorare la lotta la caporalato e al "lavoro grigio", intanto in Europa è pronta una direttiva contro le pratiche sleali.

Disegnare la filiera agroalimentare in modo che i diritti umani siano tutelati e che il consumatore sappia per cosa paga e chi guadagna dai suoi acquisti. Sembra un obiettivo così lontano in un mondo dove, paradossalmente, chi produce il cibo che arriva sulle nostre tavole, non ne ha per sé. Colpa di un sistema alimentare caratterizzato in alcuni Paesi (come l’Italia) da filiere troppo lunghe e complesse e dalla concentrazione del potere di mercato nelle mani di pochi potenti attori della Grande distribuzione organizzata (Gdo).

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“Per alcuni prodotti come il succo d’arancia brasiliano – racconta Bacciotti – le banane dell’Ecuador, i fagiolini del Kenya, il tè indiano, i gamberetti vietnamiti o il tonno in scatola tailandese la quota spettante a piccoli agricoltori o lavoratori nel 2015 è stata inferiore al 5%”. Con più di 26mila punti vendita, anche in Italia il settore della Gdo è da cinquant’anni un attore chiave dello sviluppo economico e sociale. I supermercati hanno sostituito negozi e botteghe sotto casa e oggi vendono circa il 73,5% di tutto il cibo e le bevande consumate.

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dall'articolo di Luisiana Gaita per ilfattoquotidiano.it

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