ItalicumTra modelli francesi, spagnoli e tedeschi l’unica certezza è che tanti hanno cambiato idea. Per carità, come è noto «solo gli stupidi non cambiano idea», ma ascoltando il dibattito sulla legge elettorale sembra più appropriato il pirandelliano «Così è, se vi pare». Da qualche settimana è ripartita la discussione, molti chiedono a Matteo Renzi di rimettere mano alla normativa votata appena un anno fa e ancora mai utilizzata, e tra modelli francesi, spagnoli, tedeschi e Italicum l’unica certezza è che tanti hanno cambiato idea, anche più volte. 

 

Il primo è lo stesso Renzi, che per mesi è andato dicendo: «L’Italicum ce lo copierà mezza Europa». Da qualche settimana, pressato da mezzo Pd ma anche da alleati di governo e opposizioni, il premier usa toni almeno apparentemente diversi: «Ci hanno detto che il problema del referendum era la legge elettorale: abbiamo detto che siamo pronti a discuterne. C’è bisogno però che gli altri facciano proposte ». Un’apertura solo tattica, secondo la minoranza Pd. Ma, almeno nei toni, il cambio di passo è evidente.

Ma l’archivio della agenzie di stampa, dove restano tutte le solenni dichiarazioni fatte ogni giorno, regala molte soddisfazioni: «Siamo pronti a ragionare su soluzioni di compromesso, ma non a rinunciare a due principi: i cittadini la sera delle elezioni devono sapere chi governa». Chiunque, oggi, non avrebbe dubbi: questa frase è di Renzi. Invece no, a pronunciare queste parole è stato Pier Luigi Bersani, nel 2012, quando si discuteva di cambiare il famigerato “Porcellum”. «Chiediamo un credibile premio di governabilità a chi arriva primo», precisava l’allora leader Pd e candidato premier. Oggi le cose sono diverse, il premier è Renzi, Bersani è minoranza nel partito e ha cambiato idea sulla sera delle elezioni: «Ci sono modi per sapere il vincitore anche la sera prima…», alludendo con sarcasmo a regimi non proprio democratici. 

Ancora più eclatante la posizione di Fi. Che in Senato ha sostenuto col proprio sì, decisivo, quella riforma che poi ha bocciato alla Camera. Nel gennaio 2015, addirittura, il capogruppo in Senato di Fi Paolo Romani si vantava: «Senza di noi Renzi non ha la maggioranza». Tre mesi dopo quel sì, rivendicato, Renato Brunetta alla Camera argomentava il no di Fi, sulla stessa legge, paventando il «fascismo renziano», e ora Romani dice che il sì al Senato «ci fu imposto».

C’è poi M5s che, in tre anni, ha sostenuto praticamente tutti sistemi elettorali possibili. Nel programma per le elezioni 2013 non si parlava di legge elettorale. A maggio 2013 i pentastellati hanno votato alla Camera una mozione che chiedeva pro-Mattarellum, un sistema maggioritario. Il Pd, con Enrico Letta premier, bocciò quella mozione. A novembre 2013, in commissione al Senato, hanno detto no al Pd che nel frattempo, con Renzi segretario, aveva proposto il sistema maggioritario francese (un po’ diverso dal Mattarellum, ma sempre maggioritario). Dal gennaio 2015 M5s è schierato per il proporzionale puro e contesta l’Italicum, pur avendo ottenuto che il premio fosse assegnato alla lista e non alla coalizione, come chiesto nel faccia a faccia con Renzi del giugno 2014. 

Ovviamente, ognuno motiva il suo cambio di idee: per Bersani il punto è il «combinato disposto» con la riforma della Costituzione (alla quale però ha detto sì in Parlamento), Fi sostiene l’elezione non concordata di Sergio Mattarella al Quirinale ha rotto il patto del Nazareno, M5s spiega che il proporzionale lo ha voluto «la rete». E all’elettore non resta che rileggere Pirandello.

di Alessandro di Matteo per lastampa.it 

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