ezra pound intervista ad alessandro rivali 1Di Ezra Pound, in generale, si sa poco e quel poco che si sa è confuso, mischiato a cenni storici e biografici frammentari, fraintesi, decontestualizzati. Con Ho cercato di scrivere Paradiso, edito da Mondadori, Alessandro Rivali prova a mettere ordine in ciò che si sa, in ciò che si intuisce e si ricorda del poeta e dell’uomo Ezra Pound grazie a un’intensa e intrigante intervista che ha per protagonista la figlia di Pound, Mary de Rachewiltz. Dal botta e risposta tra i due, nasce uno scorrevole cammino a ritroso che svela la grandiosità di un uomo capace di cogliere il talento negli altri, la tormentata ricerca della bellezza del poeta, l’affetto del padre nei confronti della figlia.

Si sbircia dentro, tra le mura alte e ricoperte di libri della stanza in cui Alessandro Rivali viene ospitato durante i molti incontri con Mary. Ci si sente come in visita, in uno spazio intimo e riservato, accolti per capire meglio, per guardare oltre, per cogliere l’essenza. In occasione dell’uscita, Alessandro Rivali ha rivelato qualche interessante retroscena che lo ha portato a redigere il volume.

 

Un volume intenso, che ha richiesto sicuramente molte energie, ma la domanda che vorrei porle è com’è nata l’idea?

L’idea di fondo è stata quella di portare Pound a chi non lo conosce, specie in Italia dove resta perlopiù sconosciuto. Ed è nata nel momento in cui io stesso mi sono affacciato sopra questo immenso oceano. Mi era sembrato strepitoso che in Italia vivesse la figlia di Pound, in questo castello magico, a Brunnenburg, nel Tirolo. Le scrissi e le mandai un mio volume di poesie. Lei mi invitò a trovarla. Presi la macchina e, accompagnato da mille emozioni, andai a conoscere Mary. La biblioteca nella quale mi ricevette custodisce anche quella ereditata dal padre, nascosta dietro le tende, mi portò lì e mi mostrò le annotazioni di Pound ai margini dei libri. Me ne innamorai.

L’intervista andò molto bene e fu pubblicata sul «Corriere» poi però mi sono chiesto perché non provare un percorso più articolato assieme a Mary, in fondo non è solo la figlia di Pound ma anche una testimone del Novecento italiano. Ha tradotto i principali scrittori dell’epoca e alcuni di essi li ha anche conosciuti di persona oppure attraverso il padre, come Hemingway per esempio.

Cosa ne pensava Mary de Rachewiltz del suo progetto?

All’inizio fu reticente. Mi diceva che non voleva mettersi al centro dell’attenzione, che non aveva nulla di interessante da condividere. Io invece ero convinto che di cose interessanti ne avesse moltissime, forse discutibili agli occhi di un critico, ma indubbiamente interessanti. Ci sono voluti nove anni per scrivere il libro. E il percorso è stato come un luna park emotivo, specie perché Mary, sebbene poi se ne sia convinta, a volte non lo era per nulla.

Perché ha scelto Ho cercato di scrivere Paradiso come titolo?

Pound è una montagna difficile da scalare. I Cantos sono una Divina commedia contemporanea che contengono ideogrammi cinesi o citazioni in latino; comprenderli richiede conoscenze sconfinate. Mi è stato più naturale avvicinarmi agli ultimi scritti, di primo acchito, e mi sono imbattuto nei versi Ho cercato di scrivere Paradiso e li ho trovati appropriati per quello che avevo in mente con questo volume. Tra l’altro, questi ultimi versi che Pound scrive sono quelli della malattia, dopo i dieci anni in manicomio. Li redige chiuso nel castello dove cerca di scrivere paradiso mentre l’Italia e il mondo intero gli appaiono caotici rispetto a quello che aveva lasciato lui nel momento della reclusione. È un tempus tacendi questo in cui scrive i frammenti che a me appaiono come se, in una certa misura, condensassero i Cantos. Sempre tra questi frammenti dice anche un’altra cosa essenziale, ovvero quella di aver cercato la bellezza, in fondo ciò a cui tendono tutti i poeti.

Parlava del manicomio, un periodo buio che precede il tempo del silenzio. Può spiegare meglio questo dettaglio biografico?

Dopo un’intervista del ’45, Ezra Pound viene recluso, accusato di tradimento dagli Stati Uniti. Infatti è considerato un pericoloso criminale di guerra e viene consegnato dai partigiani e rinchiuso a Pisa presso il campo per militari americani macchiati di crimini comuni. Lì si stava come si sta ora a Guantanamo. Pound, in queste condizioni, ha un collasso psicofisico, alle luci notturne sempre accese si alterna il caldo soffocante del giorno. Da qui nasce una meraviglia, però, i Canti pisani. Perché Pound vince la tentazione di suicidarsi grazie alla scrittura. E scrive su foglietti, pezzetti di fogli, sulla carta igienica dando vita a un’opera meravigliosa.

Un aneddoto, a proposito di questo periodo tormentato. Quando Pound uscì dal manicomio, fece ritorno a Rapallo e, quando gli chiesero cosa voleva fare ora che era tornato libero, lui disse che voleva dormire, dopo tredici anni di manicomio.

Grazie a Pound abbiamo una delle voci più autorevoli del ‘900 nell’ambito della letteratura, tuttavia in Italia resta marginale sia come poeta sia come mecenate. Perché secondo lei?

Pound ebbe simpatie per Mussolini, per il fascismo, infatti era interessato al socialismo inteso come contrapposizione al capitalismo. Il problema della mancata conoscenza di Pound è che ci si ferma al versante politico e questo accieca quello della poesia. Qualcuno, come Pasolini, ha superato la barriera e ha visto il grande poeta.

Il libroHo provato a scrivere Paradiso vuole dare un ulteriore aiuto nel superamento di questa barriera, invitando a vedere anche il poeta e il cacciatore di talenti. Con Hemingway, Ezra Pound ebbe uno scambio di insegnamenti, il primo insegnò la box al secondo, e questi, in cambio, gli insegnò a scrivere. Lo sostenne anche e, si sa, Hemingway non aveva un carattere facile. Sostenne anche Joyce e lo spinse a pubblicare Ulisse quando nessuno credeva nella sua opera, lo ospitò, pur non navigando in buonissime acque, per consentire a Joyce di rilassare i nervi sul lago di Sirmione.

In Italia ci si è scordati di questo lato di Ezra Pound, sebbene la poesia italiana sempre più intimista e sentimentale potrebbe imparare molto dalla sua opera.

In un altro ordine di idee, il punto è questo, ed è il medesimo che sottolineava Pound: dobbiamo avere il diritto di essere esaminati, analizzati, giudicati, se vogliamo, per le singole opere non per etichette.

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Pound scriveva solo in inglese?

Nei Cantos inserisce passi della legislazione latina che aveva scovato presso le biblioteche dedicate ai testi antichi. È tutto inserito come delle mattonelle che costruiscono un’opera colossale.

Scrive in italiano solo quattro volte e questo è stato un bellissimo regalo di Mary per me, donandomi per il libro alcuni frammenti inediti di Pound – frammenti molto contesi e custoditi a Yale. Sono inediti che Pound scrive alla figlia e li scrive nella lingua di Dante, quella che lui aveva studiato e conosciuto, e mostrano il rapporto che egli aveva con lei. Un rapporto che, secondo me, è stato molto ben reso anche nella copertina di Ho provato a scrivere Paradiso che ritrae Pound appena uscito dal manicomio nell’atto di abbracciare sua figlia che non vede da anni. Lo sguardo paterno che si coglie nei suoi occhi credo sia utile anche per aiutare a rivelare un Pound nuovo, più complesso delle semplici rivendicazioni ideologiche. E questo non significa non ammettere che abbia fatto degli errori, significa semplicemente spogliarlo dalle etichette e guardarlo opera per opera.

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dall'articolo/intervista di Irina Turcanu per SulRomanzo.it 

 

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