Rai

Titoli prestigiosi come "Babel", "A History of Violence" e "Le vite degli altri". Ma anche centinaia di film comprati a peso d'oro e mai mandati in onda. Costosissime licenze per la trasmissione di tv movie con file deteriorati puntualmente rinnovate per anni, nonostante la consapevolezza che fossero inutilizzabili.  Misteriose triangolazioni capaci di far lievitare i prezzi di acquisizione dei diritti allo sfruttamento delle pellicole fino a quattro volte.

Sulle presunte irregolarità legate agli acquisti dei diritti tv da parte della Rai da quasi un anno ha acceso un faro la Procura di Roma. Che, dopo avere acquisito i contratti stipulati dal 2003 a oggi da Rai Cinema, la società creata nel 2000 per razionalizzare gli acquisti di film da parte della tv pubblica, sta tirando in questi giorni le prime conclusioni. Da una recente informativa consegnata dal Nucleo tributario della Guardia di finanza al procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e al pm Barbara Sargenti emerge che nell'arco di nove anni, dal 2003 a oggi, Rai Cinema ha speso circa 1,3 miliardi di euro per acquistare i diritti per film e serie televisive. Gli inquirenti, che al momento procedono contro ignoti per peculato, sospettano che parte di questo fiume di denaro pubblico sia stato utilizzato per comprare pellicole a prezzi gonfiati, mediante l'emissione di false fatturazioni da parte di società di intermediazione.

Il tutto al fine di evadere le tasse, portando le perdite in detrazione, e di garantire cospicue "stecche", sotto forma di consulenze, ai dirigenti coinvolti. Insomma, si tratterebbe di una replica del cosiddetto "metodo Agrama" già emerso dalle indagini su Mediatrade che a Milano ha portato al rinvio a giudizio per frode fiscale di Fedele Confalonieri, Piersilvio Berlusconi e altre nove persone tra cui il produttore statunitense Frank Agrama e il manager del "Biscione" Daniele Lorenzano.

Finora dalle indagini sono emersi solo sprechi e irregolarità in quantità industriale, sotto forma di illeciti tributari finalizzati all'evasione fiscale di cui sarà presto chiamata ad occuparsi l'Agenzia delle entrate, ma nulla di rilevante dal punto di vista penale. Ragione per la quale, nelle prossime settimane, i pm, d'intesa con il procuratore capo Giuseppe Pignatone, investiranno della questione il procuratore della Corte dei conti del Lazio, Angelo Raffaele De Dominicis.

Che già da alcuni mesi ha avviato sugli sprechi in Rai un fascicolo destinato ad arricchirsi adesso di nuovi capitoli. Le indagini dei pm hanno portato ad accertare numerosi casi di film i cui diritti sono stati acquistati, spesso da società off-shore quando non da società fittizie, con ricarichi fino al 100 per cento, centinaia di pellicole "spazzatura" che, seppur pagate profumatamente, giacciono da anni nelle teche di viale Mazzini e copiosi scambi di mail tra funzionari Rai in cui si sollecita il rinnovo delle licenze di film inutilizzabili.

E a questo si aggiunge un conto cifrato scoperto di recente che potrebbe diventare la chiave dell'inchiesta. Il sospetto è che quel conto possa essere servito a girare mazzette. Ipotesi che, se riscontrata, fornirebbe la conferma della riproduzione a viale Mazzini del sistema Mediatrade.

Proprio dal filone romano di tale indagine, che vede coinvolti gli stessi imputati del procedimento milanese più Silvio Berlusconi, prende le mosse l'inchiesta su Rai Cinema. Che viene avviata dopo verifiche su società riconducibili ad Agrama e Lorenzano e il rinvenimento di una mail spedita nel 2000 da Chris Ottinger, vicepresidente del settore sviluppo della Paramount di Los Angeles, al responsabile della Paramount Italia, Giovanni Pedde, nella quale definiva «oltraggioso il ricarico del 100 per cento effettuato da Agrama» sui film destinati a Mediaset e Rai. Alcuni testimoni dell'inchiesta Mediatrade avevano parlato di meccanismi di «intermediazione parassitaria».

Riascoltati nei mesi scorsi a Roma i testi hanno ribadito le accuse. È il caso del produttore cinematografico Silvio Sardi. Dal 1995 in avanti, ha raccontato ai pm, «tentai di proporre film per la tv che opzionavo sul mercato americano agli unici due buyer nazionali, Rai e Mediaset». Ma, ricorda, «dalle due società non ricevetti mai una risposta sia positiva che negativa».

Sardi si rivolge allora a un amico che lo mette in contatto con il produttore Paolo Landolfi e con Raffaello Saragò, all'epoca ad della Alto Verbano di Renato Pozzetto, attraverso i quali, finalmente, nel 1997, riesce a piazzare un pacchetto di otto film alla New Regency srl. «Poco dopo venni a sapere», conclude Sardi, «che la New Regency aveva ceduto i medesimi titoli a Rai e Mediaset. Film che io avevo ceduto a 50 mila dollari venivano rivenduti da New Regency a 400 milioni di lire».

Tra i testi ascoltati a piazzale Clodio ci sono anche gli ad di Rai Cinema dal 2000 in avanti, da Giancarlo Leone a Paolo Del Brocco. Interrogato il 2 e il 7 dicembre scorsi, Leone spiega che «fino al 1999 la Rai acquistava i prodotti da trasmettere sulle varie reti attraverso la direzione Apv (acquisto, produzione e vendita) diretta da Claudio Cappon. Rai Cinema fu costituita per assolvere ai compiti dell'Apv dal momento che gli investimenti erano in crescita: circa 350 miliardi di lire nel 1999». Braccio operativo dell'Apv, ricorda Leone, era l'allora «responsabile degli acquisti dei diritti Carlo Macchitella che aveva alle sue dipendenze Guido Pugnetti, giunto in Rai tra il 1998 ed il 1999 da Mediaset».

Quando viene creata Rai Cinema Macchitella è nominato direttore generale. Incarico che manterrà fino al 2007 quando è costretto a dimettersi perché tirato in ballo nell'inchiesta sui diritti Mediaset, pur non essendo indagato. Da una rogatoria emersero bonifici del 1999 per un totale di 500 mila dollari da parte di Agrama su un conto svizzero denominato "Batigol" aperto da Lorenzano e intestato a Macchitella, che giustificò i soldi come il corrispettivo per beni ceduti al manager del "Biscione". L'eventuale reato era prescritto e tutto svanì in una bolla di sapone.

Anche in relazione a tale vicenda, Leone esclude che possano essersi verificati a Rai Cinema casi analoghi a quelli contestati per Mediatrade. Questo perché a differenza di Mediaset, che acquistava dalle major il 70 per cento dei prodotti tv, con una spesa di circa 350 milioni di euro l'anno, la Rai comprava dalle major solo il 30 per cento dei prodotti, con una spesa annua di circa 170 milioni. «Ma soprattutto», sottolinea Leone, «Rai Cinema, e prima ancora Apv, ha sempre acquistato direttamente dalle major, senza ricorrere a intermediari. Quando lo ha fatto il ricarico è stato al massimo del 10 per cento». Una versione su cui sono in corso accertamenti. Dalle indagini sono emersi acquisti di diritti tramite intermediari con ricarichi fino al 130 per cento.

Articolo di Domenico Lusi per "Espresso.repubblica.it" del 14 GIU 2012

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