Incontro a Palazzo Chigi tra il premier e la Commissione di studio sul fenomeno del jihadismo: "In Italia meno foreign fighter rispetto ad altri Paesi, ma non bisogna abbassare la guardia". Analista: "Il nostro Paese è 5-10 anni indietro rispetto ad altri, e in questo caso è una cosa positiva"

Carceri e web. Sono questi i luoghi dove è più facile imboccare la strada della radicalizzazione che in Italia, comunque, rimane un fenomeno contenuto rispetto ad altri Paesi. Ma l’aspetto inquietante è che ad essere maggiormente attratti dal delirio jihadista siano donne e minorenni. E’ questa la sintesi dell’analisi fatta durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi, convocata al termine dell’incontro tra il primo ministro Paolo Gentiloni, il ministro dell’Interno Marco Minniti e la Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista, coordinata dal professor Lorenzo Vidino.

“Uno dei risultati più importanti” del lavoro della commissione è aver appurato che “i percorsi di radicalizzazione si sviluppano soprattutto in alcuni luoghi, nelle carceri e nel web, più che in altri luoghi che abbiamo magari molto seguito negli scorsi anni o decenni. Non c’è un idealtipo uguale per ciascuno dei soggetti che si radicalizzano, sono situazioni molto diverse. Ma bisogna lavorare sulle carceri e sul web per la prevenzione” spiega Gentiloni che aggiunge: “C’è una specificità” italiana nei fenomeni di radicalizzazione e “per certi versi è più rassicurante nel senso che le dimensioni numeriche della radicalizzazione sono minori che in altri Paesi. Ma il fatto di avere un numero minore di persone radicalizzate o foreign fighter non ci deve indurre a sottovalutare il fenomeno e la necessità di capirlo”.

Sulla stessa linea l’analista Vidino, secondo cui “non si vedono in Italia gli stessi livelli di radicalizzazione di altri Paesi europei. Prendiamo il numero dei foreign fighter, ad esempio”, che sono “poco più di cento in Italia rispetto ai 1500 della Francia”. Perché? “Si tratta di un insieme di fattori: sociologia; demografia, (non c’è un numero alto di seconde e terze generazioni); capacità delle nostre comunità islamiche di avere dei forti anticorpi; il lavoro operato negli ultimi 20 anni dal nostro apparato antiterrorismo; la presenza di un sistema giuridico preparato, vuoi anche per il terrorismo degli anni Settanta; il sistema delle espulsioni, criticabile ma efficace”. L’Italia, ha aggiunto, “è 5-10 anni indietro rispetto ad altri Paesi Ue, e in questo caso è una cosa positiva”. Ma un “approccio basato solo sulla repressione non è più efficiente. Per un insieme di motivi non può più funzionare, si è avvertita un’esigenza da parte di forze dell’ordine e intelligence di utilizzare anche strumenti di prevenzione: misure soft, che vanno a prevenire processi di radicalizzazione in fase embrionale“.

 

“In Belgio tre quarti” dei foreign fighter – ha continuato Vidino – “appartenevano a ‘Sharia4Belgium‘, un network salafita. In Italia, quando un ragazzo nel bresciano ha tentato di creare ‘Sharia4Italy’ alla manifestazione sono andati in quattro, mentre in Belgio alle manifestazioni sono in centinaia”. C’è però un aspetto preoccupante, ed è rappresentato da “crescente numero di donne e di minori che si radicalizzano”.

C’è poi un “problema che riguarda il web ed è quello che io chiamo il ‘malware del terrore‘” contro il quale serve una battaglia che “non può essere limitata ad un singolo paese” ha aggiunto il ministro Minniti sottolineando che per arginare la propaganda del terrorismo islamico attraverso la rete e bloccare i processi di radicalizzazione occorre “costruire rete protettiva“, che “deve essere il frutto di una cooperazione internazionale tra governi e grandi provider”. “Non solo – ha proseguito il responsabile del Viminale – dobbiamo fare un lavoro di prevenzione ma anche di deradicalizzazione. E’ possibile e auspicabile. Ci può essere infatti un caso di foreign fighter di ritorno, anche se si parla di numeri bassi in Italia”. Intanto il ministro ha precisato che “negli ultimi due anni abbiamo espulso dal Paese 133 persone preventivamente per terrorismo”. “Prima di firmare un’espulsione – ha ribadito- devo avere l’accordo con il Paese che riprende la persona”. In questo senso è importante il lavoro che si sta svolgendo con la Tunisia, dove il ministro si è recato da poco “per parlare con il loro premier e il loro ministro dell’Interno: c’è collaborazione”, tanto che il 16 gennaio si farà a Tunisi una riunione con un gruppo misto di forze di polizia dei due Paesi. “Anche per quanto riguarda la protezione della costiera Adriatica e della Puglia- termina- c’è massima attenzione e prevenzione”.

La Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadistaha ha lavorato negli ultimi 4-5 mesi sulle forme di radicalizzazione nelle minoranze fondamentaliste islamiche. Gentiloni ha annunciato che il “lavoro proseguirà, perché quello che ho sottolineato nell’incontro con gli esperti che fanno parte di questo gruppo, è che l’esigenza del governo di comprendere sempre meglio le modalità e i percorsi della radicalizzazione per potersi meglio attivare per contrastarla, non si esaurisce oggi ma certamente ha bisogno di continuare. Mi fa molto piacere che gli esperti abbiano convenuto”.

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