sport il calcio femminileGli sport autenticamente in purezza femminile sono quelli dove non c’è da inseguire nessun modello maschile. Da Wilma Rudolph in poi. Opporre le ragioni della storia, anche con qualche timida ironia, all’enfasi patriottarda che in questo momento circonda la nazionale delle nostre ragazze, potrebbe apparire come un’esile, quanto inopportuna, rivendicazione sessista proprio nel momento in cui la prateria del pallone, un tempo maschia e incontaminata, assume i nuovi tratti ultracazzuti del gentil sesso. Ma insomma, ci sembra doveroso correre un rischio così grave, se l’obiettivo (alto) è quello di rivendicare con orgoglio le nostre povere vite debosciate di quel tempo antico – erano gli anni ’60/70 – quando, spiaggiati davanti al tv, o, nel migliore dei casi, tifosi attivi da stadio, si veniva considerati dal genere femminile, certamente con buone ragioni, come poveri dementi senza speranza.

Allora, e negli anni successivi poco è cambiato, il fruitore medio di calcio, d’alto o basso lignaggio che fosse, non ha mai spiccato il volo nella considerazione delle donne, che semmai ne hanno esplorato psicanaliticamente le pieghe della mente per ritrovare la radice di quel male oscuro. È di questo che parleremo, per arrivare a una conclusione amara: “Perché è impossibile chiamare sport il calcio femminile”.

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