Enrico Ruggeri 439Il rock in Italia, negli anni 70, quando dominava la sinistra, quella definita extraparlamentare, non era visto bene per niente. Era “espressione del capitalismo yankee” si diceva e così capitava che un Fabio Treves (il noto e miglior armonicista blues italiano) che suonava il blues, cioè la musica degli emarginati e dei poveri, venisse cacciato dal palco dell’università Statale di Milano perché “filo americanista”. La confusione e l’ideologia erano tante. Chissà quanto, quei giovani di Lotta Continua e paraggi, si sarebbero divertiti invece che a sentire musica americana a raccogliere il riso nelle risaie di Mao Tze tung, allora loro idolo. Lo racconta anche Enrico Ruggeri in una intervista rilasciata a Vanity Fair in occasione dell’uscita del suo nuovo disco “Alma”. Erano tempi quelli, in cui David Bowie e Lou Reed erano definiti filo nazisti perché indossavano giubbotti e cappotti di pelle nera e tenevano i capelli cortissimi tinti di biondo: non c’era dubbio, con quel look non potevano che essere dei nazistoidi.

Naturalmente di ascoltare i dischi e leggere i testi non se ne preoccupava nessuno, giusto per capire che non avevano niente a che fare con nostalgie nazistoidi. ALLA SINISTRA NON PIACEVANO I GAY “Io suonavo – dice ancora Enrico Ruggeri – e non mi interessavo di politica: già questo voleva dire essere di destra. Non ero niente e non ho mai votato. Però venni minacciato perché avevo i dischi di Bowie: quella sinistra così stalinista era super omofoba e quell’immaginario glam (musica espressione di tematiche gay, ndr) non era gradito”. Lui che cominciò nel 1978, faceva punk con i Decibel, genere musicale visto con sospetto anche quello: “Il musicista doveva essere il cantautore con la barba, scarno, brutto. Senza alcun senso dello show, che è poi il grande limite del cantautorato italiano: bei testi, musiche così così e spettacolo nullo”. Dice di aver pagato un prezzo per tutto questo: “La critica – aggiunge – non mi ha mai messo in Serie A: neanche in B, diciamo in A1”. Parla poi del grande uso di cocaina che si faceva a Milano negli anni 80, anche lui: “In quegli anni a Milano era difficile evitare la cocaina: tutti sniffavano, anche gli operai che mi ristrutturavano casa. Mi dà fastidio pensare che da qualche parte ci sia un coglione che mi vede in tv e dice agli amici, vedi Ruggeri, io con quello ho tirato di coca. La droga avvicina persone che non c’entrano niente tra loro. Tutto tempo perso”.

Articolo di Paolo Vites per ilsussidiario.net