chico forti liberoNon c’è dubbio che il “caso Forti” abbia tutte le caratteristiche di un fantasioso e tragico film giallo. Questa però è una storia vera e qui non interessa scoprire il vero colpevole. Il tentativo è semplicemente quello di dimostrare che Enrico Forti non lo è. La minuziosa ricerca effettuata negli atti del processo dovrebbe servire proprio a questo, facendo risaltare tutte le incongruenze riscontrate che hanno inopinatamente costituito l’ossatura del processo stesso. In alcuni passi di questo documento si è fatto ricorso al pensiero di tanti amici, di giornalisti, di avvocati e magistrati, che va oltre il caso in questione, sviluppando un confronto della logica e della ragionevolezza nella loro essenza. L'idea di redigere questo documento nasce dalla precisa volontà di rivolgersi al personale giudizio di ciascuno, nella speranza di scuotere la coscienza di chi ha la possibilità di intervenire per rimediare a questa palese ingiustizia.

 Enrico Forti è ormai rinchiuso in carcere da dieci anni. Ma non sarà mai solo.  Gli amici, al di qua e al di là dell’oceano, non si rassegneranno mai al suo triste destino. Si continuerà a sostenere la sua causa, non rinunciando a perseguire l’obiettivo primo della revisione del processo. E ogni battaglia legale e politica sarà combattuta fino in fondo. Mettere tutto nero su bianco è semplicemente un modo per dare forma alle verità nascoste in questo mostruoso poliedro dalle mille sfaccettature. Infine la speranza: la prima delle vigliaccherie, ma anche l’ultima delle follie nel tentativo di ridare a Chico la libertà e la vita. Fino ad allora il caso non sarà mai chiuso.

Come detto, con questa raccolta di note documentali si tenta di far chiarezza su una vicenda dai risvolti inquietanti che nel 1998, negli Stati Uniti, coinvolse il campione di windsurf e film-maker trentino Enrico Forti, conosciuto da tutti come “Chico”. 

            Quanto riportato in questi appunti è stato debitamente tratto dagli atti del processo, dai report della polizia e da testimonianze importanti, tra cui ovviamente quella dello stesso “Chico”, che da sempre contesta le argomentazioni che lo hanno portato alla condanna.

            La ricerca e la raccolta di documenti con cui ci si propone di presentare una veritiera ricostruzione dei fatti, è stata curata dallo zio paterno Gianni Forti, nell’intento  di dimostrare l’innocenza di Chico, cercando disperatamente di ottenere la revisione del processo e l’annullamento di quella terribile e ingiusta condanna.

            Ben ventotto mesi sono stati impiegati dal pubblico ministero Reid Rubin per sviluppare la sua istruttoria, dal 15 febbraio 1998 al 25 maggio 2000, data d’inizio del processo.

            Un record di lentezza inusitato per la giustizia americana! Un ingente impiego di tempo e denaro per sviluppare ed imbastire una teoria accusatoria basata solamente su indizi e prove circostanziali discutibili.

            Ma non ci si illude. C’è la consapevolezza che la procedura sia stata condizionata da problemi che esulano dal processo stesso.

            Le prove circostanziali presentate, non fanno trasparire le ombre nelle quali sono avviluppate. Disarmante poi la filosofia dell’ovvio perseguita dall’accusa per tutta l’istruttoria e durante il processo. Ed anche dopo.

            L’imputato ha mentito? Allora aveva qualcosa da nascondere. Se aveva qualcosa da nascondere, allora faceva parte del complotto. Se faceva parte del complotto, allora è colpevole. Se è colpevole, allora deve essere condannato! Certo, può ricorrere in appello. Ma la legge prevede la discrezionalità della concessione dell’appello e, se non lo si concede, il caso è chiuso.

            La legge del più forte non si arrende  mai, nemmeno davanti all’evidenza.

            Una logica in grado di innescare una sequenza di modalità espressive, strategicamente involute e surreali, confezionate in un mazzetto di concetti estrapolabili dalle convinzioni personali di un qualunque pubblico ministero. Magari per confermare se stesso quale metafora perfetta della giustizia.

            Evidente che qui non si intende criticare il sistema giudiziario americano in se stesso, ma solamente protestare  per lo scorretto uso che se ne è potuto fare. Di qui la minuziosa ricerca tra gli atti processuali.

            Del caso si è occupato anche il magistrato siciliano Lorenzo Matassa nella stesura del suo libro-inchiesta “Tra il dubbio e l’inganno – da Versace al caso Forti: una doppia trappola mortale”  (ed. Koiné, Roma).Questo libro ha riportato vivamente alla ribalta una vicenda che per molti aspetti sembrava essere seppellita per sempre in un carcere di massima sicurezza nelle paludi della Florida.

            Il documento che segue altro non è che un’appendice al libro stesso, da cui peraltro trae alcune parti salienti. L’intenzione però è quella di focalizzare alcuni aspetti perigliosi della vicenda che, per incomprensibili motivi, non si è mai voluto o potuto chiarire.

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Il processo inizia il 22 maggio 2000 e si protrae stancamente fino al 15 giugno. A metà del processo la giudice Platzer  fa notare alle parti che si sta perdendo troppo tempo in chiacchiere. Non c’è alcuna prova oggettiva che coinvolga direttamente Enrico Forti con l’omicidio.

            Non ci sono testimoni.

            Non ci sono impronte.

            Non c’è l’arma del delitto.

            La prova del DNA è negativa.

            Non c’è alcun rapporto tra l’accusato e la vittima.

            Non c’è neppure un movente.

            Ma l’accusatore si riserva di “giocare” tutte le sue carte nell’arringa finale. Sa benissimo che a quel punto la difesa non avrà più alcun diritto di replica. Anche se le sue accuse sono inventate o false, non ci sarà più nessuno che potrà smentirlo.

            Obiezione! Obiezione! Obiezione!

            Gli interventi degli avvocati della difesa saranno regolarmente rifiutati dalla giudice: “Solleverete le obiezioni in appello!” (ma tale appello non sarà più concesso).

            Ed è in questa situazione che la giuria viene fuorviata ed ingannata.

            Verdetto: colpevole.

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da http://agnesinapozzi.altervista.org