silvano moffa letteraCari amici, la crisi di governo, aperta da Salvini, e l’evolversi convulso della situazione politica pongono nuove riflessioni sul futuro dell’Italia e, in particolare, sulle coalizioni (se ci saranno) chiamate a contendersi il potere nella prossima campagna elettorale. Al di là delle fasi intermedie (governo di garanzia, tecnico, balneare etc) che si potranno mettere in piedi per dar vita ad un esecutivo per l’ordinaria amministrazione e per gestire la fase elettorale, va da sé che, nelle prossime settimane, dovranno chiarirsi i termini con i quali si potranno prefigurare le nuove alleanze. Ciò vale sul versante della sinistra, dei grillini e dello stesso centrodestra. 
Occupiamoci di quest’ultima opzione, che è quella che ci interessa di più per ovvii motivi. Tutti i sondaggi danno ormai da tempo vincente l’alleanza del centrodestra con numeri abbastanza significativi. Le regionali, peraltro, hanno confermato questo dato. Pensare però, a nostro parere, che si possa sic et simpliciter rinnovare lo schema del centrodestra del passato, a trazione berlusconiana, è illusorio. I tempi sono cambiati e i rapporti di forza all’interno di quello schieramento si sono ribaltati a favore della Lega. 
In più, Forza Italia ha perso smalto e voti. La scissione procurata dal presidente della regione Liguria, Toti, è solo l’ultimo di una serie di episodi di rottura e di frammentazione, mentre l’esodo di iscritti e classe dirigente è incessante.

 Abbiamo detto che i sondaggi danno vincente il centrodestra. Ma è la Lega che oggi viaggia con il vento in poppa, grazie alla indiscutibile capacità di penetrazione del messaggio salviniano e alla naturale predisposizione del leader della Lega a rappresentare gli umori di una consistente parte di italiani, le cui istanze di maggior sicurezza, accompagnate da una crescente domanda di identità, hanno trovato un riferimento chiaro.

Sulla scia di Salvini, emulando il suo linguaggio e riprendendo le sue parole d’ordine, anche Fratelli d’Italia ha incrementato il suo bottino di voti.

L’impressione che si ricava è di una forza che, al di là della riesumazione di alcuni slogan della destra, non riesca a delineare una sua strategia autonoma e innovativa relegandosi in un ruolo di marginalità e subalternità rispetto alla Lega che, ovviamente, la farebbe da padrone in un futuro governo a guida Salvini. Peraltro, ci sono temi, come quello dell’autonomia differenziata (o federalismo differenziato che dir si voglia) dirimenti. Sui quali la conciliabilità delle posizioni appare, in assenza di una proposta che la superi e la riqualifichi in un contesto di unità nazionale, difficile.

Altro dato inconfutabile riguarda la relazione della crescita esponenziale di Salvini con una presenza al governo della Lega che ha finito, in tempi relativamente brevi (circa un anno e mezzo) con il logorare i Cinquestelle, dimezzandone i consensi e scolorendo la loro identità, costruita prevalentemente sul messaggio di Grillo contro la casta. La carica antisistema del movimento nato dalla fantasia di Casaleggio si è infranta contro il muro della inettitudine a governare dei grillini, del loro pressapochismo e di un moralismo tanto declamato quanto scarsamente praticato. Tra una opzione politica nata dal web e dal vaffaday e un partito fortemente identitario, gli italiani hanno finito con il privilegiare quest’ultimo. E questo dovrebbe far riflettere soprattutto chi, a destra, ha frettolosamente accantonato istanze identitarie, adattandosi alle spinte neoliberiste, ipercapitaliste e genericamente globaliste.

Il fallimento del governo gialloverde decreta inesorabilmente la fine di una esperienza che puntava a fare di un “contratto” il mastice di una intesa tra forze non omogenee e opposte. Questo, però, come dicevamo, non significa che dietro l’angolo ci possa essere un ritorno al passato. Tutt’altro. Agli italiani bisognerà avere la forza e il coraggio di proporre qualcosa di nuovo. Tramontata l’epoca dei partiti-massa e delle grandi ideologie, l’elettorato appare sempre più fluido. E anche più ridotto. E’ un sintomo del malessere della democrazia. Un effetto della non adeguatezza del sistema politico- istituzionale. Una conseguenza della pochezza delle attuali classi dirigenti, la cui selezione percorre binari del tutto avulsi da un positivo e concreto processo di formazione.

Queste prime considerazioni, ci portano a riflettere su un dato che rischia, in una fase così incerta e convulsa, di sfuggire agli attuali attori politici. Ossia il fatto che per realizzare un grande e definitivo cambiamento, recuperando all’Italia il ruolo che merita nel contesto europeo e internazionale, restituendo futuro alle nuove generazioni e certezza ad una crescita in linea con le potenzialità di sviluppo del nostro popolo, non basta alimentare la competizione in una parte minoritaria del Paese, cioè in quel poco meno del 50 per cento degli italiani che va a votare. Occorre, invece, richiamare al voto quella consistente parte di elettori che si rifugia nell’astensionismo. E’ qui che, secondo noi, si gioca la grande partita. E’ qui che si è rifugiata, peraltro, una consistente fetta di elettorato deluso da quel che fu il vecchio centrodestra.

Basta gettare uno sguardo sui territori, dove proliferano le liste civiche nei comuni e nelle regioni, per rendersi conto della consistenza di un siffatto fenomeno. Insomma, c’è uno spazio interessante, quello del civismo, che andrebbe elevato a opzione nazionale per renderlo omogeneo con un programma politico nazionale e popolare, capace, nella sua autonomia, di corroborare di istanze nuove e idee originali la costruzione di una opzione politica che vada al di là dei confini oggi tracciati dalla stessa Lega.

Difficile? Certamente. Ma non impossibile.

Se nessuno, però, ci prova, il rischio di ritrovarsi incartati nel vecchio diventa reale. Ed è quello che noi tutti dovremmo scongiurare.

Cari amici, se condividete queste prime, parziali riflessioni rivolte a quanti si sono tenuti, in questi anni, distanti dalla politica attiva, mai rinunciando a far sentire la loro voce e senza mai deflettere dalle proprie idee di fondo, a volte tristi osservatori di un progressivo degrado della politica e di una crescente dequalificazione del vivere civile; se ve la sentite di riprendere il cammino verso una Italia migliore; ecco: se, in una parola, avvertite la necessità di vincere la rassegnazione, a ottobre cercheremo di offrire un luogo e una idea per confrontarci sul futuro di una destra che abbia a cuore lo Stato, la Nazione, la storia del nostro popolo.

Silvano Moffa