Inutile girarci intorno: l’unica domanda a cui rispondere in queste ore è se i Cinque Stelle e il Partito democratico, nello specifico l’ala parlamentare che risponde ancora Matteo Renzi, faranno un governo alternativo a quello Conte. Ci sono molti pro e contro. Vediamoli in sintesi e partiamo dagli aspetti critici. Legittimità Matteo Salvini ha stravinto le elezioni europee, con oltre il 34 per cento. È vero che l’Italia è una Repubblica parlamentare e quindi sondaggi, elezioni locali e pure quelle europee non influenzano la composizione di Camera e Senato, i cui membri hanno piena facoltà di sfiduciare un governo e appoggiarne un altro. Ma si è affermata l’idea – anche corretta in tempi di bipolarismo, meno col proporzionale – che presidente del Consiglio e maggioranza si decidono nelle urne, non nei palazzi.

E un governo sorretto da due partiti che sono minoranza nelle urne e nei sondaggi nascerebbe sotto i peggiori auspici. Ci sarebbe Matteo Salvini in piazza – o in spiaggia – tutti i giorni a gridare al golpe. Così come i Cinque Stelle hanno condannato per anni l’intesa Pd-Forza Italia – Nuovo centro destra ecc. che ha governato dopo il 2013 quando il Movimento era già il primo partito.

Mercati Per quanto possa sembrare strano, da tempo i grandi fondi di investimento hanno deciso che è più affidabile e rassicurante una Lega forte, anche se include esponenti fuori controllo che vogliono uscire dall’euro, piuttosto che gli indecifrabili Cinque Stelle. È vero che Matteo Renzi ha ancora una certa credibilità internazionale, molto superiore a quella domestica, ma un governo M5S-Pd assediato da una Lega vicino al 40 per cento verrebbe guardato con sospetto, almeno all’inizio, soprattutto se non avesse un presidente di grande caratura (non ci sono molti Draghi o Monti disponibili, al momento). Ci sono però anche molte ragioni che rendonol’accordo possibile e forse inevitabile.

I passaggi C’è poi un aspetto che rende l’intesa, in un certo senso, quasi inevitabile. Prima o poi sarà votata la mozione di sfiducia della Lega a Conte, prima o dopo quella del Pd a Salvini. Qualunque sia la sequenza, presto o tardi i membri leghisti lasceranno l’esecutivo perché nessuno accetterà che sia il candidato premier Salvini a gestire le elezioni dal ministero dell’Interno. A quel punto servirà un rimpasto, anche solo per gli affari correnti. Si può anche procedere con un governo sfiduciato, ma se i tempi si allungano al punto che il governo in carica dovrà almeno impostare anche la legge di Bilancio, per evitare l’esercizio provvisorio (gestire il 2020 con lo stesso bilancio 2019), ci vorrà un premier con un minimo di legittimità. Che si chiami governo di transizione, di garanazia o di scopo, il principio è lo stesso: servirà un voto di fiducia con una maggioranza e, se si farà la legge di Bilancio, un voto su quel provvedimento. Ha senso per Pd e M5S votare un governo per passare mesi poi a prenderne le distanze? O è meglio per loro sfruttare il tempo – e quello che sembra un errore di tempistica da parte di Salvini – per limitare i danni?

da https://www.ilfattoquotidiano.it