due pregi di Matteo RenziÈ cocciuto come un mulo e ama vendicarsi, anche quando non gli converrebbe. Questi sono i due pregi di Matteo Renzi. In molti si sono convinti che l' uomo non voglia andare a elezioni presto perché perderebbe molto del proprio potere, visto che i parlamentari del Pd devono il seggo a lui, che li ha scelti e nominati, e non all' attuale segretario, Nicola Zingaretti. Ma ieri l' ex leader dei dem, davanti ai millenials, i giovani del partito, ha tagliato la testa al toro: «Sono orgoglioso di non aver fatto l' accordo con M5S sulla base delle poltrone. Se il governo cade, si torna al voto subito». Formalmente l' ex premier non fa altro che ribadire la linea del nuovo segretario, che ogni giorno chiede le urne. In realtà, sega le gambe a quanti gli hanno fatto la guerra da sinistra e oggi sogna un ribaltone per rappattumare un governo tra grillini e democratici, effettivi e di ritorno, con la benedizione del Quirinale. Lo scopo dei sinistrorsi è sostituire Salvini per poi fare la stessa cosa della Lega: surclassare M5S nell' azione di governo e rubargli i voti.

Per loro Matteo ha parole di fuoco: «Non dimentico quel che ci hanno fatto. Ci hanno insultato, sparato alle spalle e hanno creato le condizioni per mandare al governo questi scappati di casa».

La posizione irremovibile di Renzi ha varie spiegazioni. La prima è umana e perfettamente in linea con il personaggio, un leader emotivo e d' impeto, alieno ai compromessi, che non perdona. I grillini sono quelli che più hanno massacrato l' ex premier con attacchi personali, picchiando durissimo sulle banche, sulla Boschi, sulle inchieste ai danni del padre Tiziano. Oggi sono quelli che più avrebbero da perdere da un ritorno alle urne. Matteo non li sopporta e non gli getterà mai la ciambella di salvataggio. Non gli dispiace neppure far naufragare i progetti del Colle, che non gradisce elezioni anticipate. Quando, cinque anni fa, il leader portò il Pd al trionfo proprio alle Europee e chiese all' allora presidente Napolitano di poter incassare il consenso anche in Italia, il capo dello Stato si oppose e così fece anche il successore, Mattarella, allorché il segretario ci riprovò, timidamente, dopo la rottura del Nazareno.

Alle motivazioni personali si mischiano quelle politiche, tattiche e strategiche. Il Pd di Zingaretti è lontano dal decollare. Se si votasse a breve, non avrebbe un risultato di molto superiore a quello di un anno fa e Renzi si libererebbe in parte dell' immagine dell' uomo che ha diviso e distrutto la sinistra, perché il nuovo Pd allargato di Zingaretti non varrebbe poi molto di più di quello ristretto al cerchio magico e poco altro. Matteo poi potrebbe rinfacciare ai detestati grillini di aver rincorso il potere per demolire la casta ma, una volta raggiuntolo, di aver fatto molto meno di lui in questa direzione. Sia in termini di privilegi dei parlamentari che di riduzione del loro numero, visto che M5S si oppose al referendum che lasciava senza stipendio i senatori.

Infine c' è la strategia. Renzi è in cerca di rivincita. Lo ha detto chiaramente, spiegando che ora ha avuto «il tempo per imparare» e che «dopo la partita d' andata c' è sempre quella di ritorno». Chi ben lo conosce sa che, benché si dichiari in fase zen, «non arrabbiato né nervoso», l' ex premier si è già stancato di restare in panchina. Dopo il 26 maggio il quadro di quel che pensano gli italiani sarà più chiaro e il fiorentino potrà decidere come giocarsi il secondo tempo.

di Pietro Senaldi per liberoquotidiano.it