province castaIl referendum ne avrebbero cancellato il nome. Non le competenze, per le quali serve una norma ad hoc. Intanto gli enti intermedi denunciano l’abbandono del governo che ha tagliato 2 miliardi in 2 anni. La casta elegge la casta. Potrebbe sintetizzarsi così il voto di domenica per il rinnovo di 37 consigli provinciali. Effetto della legge Delrio che due anni fa ne prevedeva la trasformazione in enti di secondo livello. Solo che le ex Province, nel frattempo, hanno continuato a occuparsi di strade e scuole con un taglio di circa 2 miliardi. Né per eliminarle bastava la riforma costituzionale. Che ne avrebbe cancellato il nome, ma rimandava la sostanza a una nuova riforma. Ai cittadini non resta che osservare la classe politica che si sceglie da sé. Con risultati paradossali. Come nel caso dei comuni commissariati che, perdendo i diritti di elettorato passivo e attivo, non esprimeranno alcuna rappresentanza. 29.297 tra sindaci e consiglieri comunali di 2.427 comuni italiani chiamati al voto. Avviati all'abolizione, gli enti intermedi lamentano per ora solo l'abbandono. Da parte del governo, che ha tagliato loro due miliardi in due anni senza riformarne le competenze. E da parte della stessa politica, che nei consigli regola i suoi conti.



La casta che elegge la casta. Potrebbe sintetizzarsi così il voto che domenica, 8 gennaio, saranno chiamati a esprimere 29.297 tra sindaci e consiglieri comunali di 2.427 comuni italiani, per il rinnovo di 37 consigli provinciali. Si chiamano ‘elezioni di secondo livello’: rispetto ad altre consultazioni sono passate quasi inosservate alla maggior parte dei cittadini (che ne sono esclusi), ma non ai diretti interessati. Così, accanto a chi ne fa un banco di prova per prossime elezioni, c’è chi si è schierato apertamente contro questo voto, invocando l’astensione e invitando al boicottaggio.
Ed ecco che ai soliti inciuci, alle alleanze e alle fratture, questa volta nel calderone delle polemiche si è aggiunta anche l’indignazione (non certo unanime) per quei 458 politici che domenica saranno eletti non dal popolo, ma da altri politici. Un effetto della legge Delrio  che due anni fa prevedeva la trasformazione delle Province in enti di secondo livello, per cui non sono previste elezioni dirette. Solo che le ex Province, nel frattempo, hanno continuato a occuparsi di stradeedilizia scolastica e altre vecchie competenze con un taglio di circa 2 miliardi di euro in due anni. Per eliminarle del tutto non sarebbe bastata neppure la riforma costituzionale bocciata con il referendum del 4 dicembre scorso, che ne avrebbe sì cancellato il nome dalla Carta, ma rimandava la sostanza a una nuova riforma. Strade, scuole, ambiente, trasporti: nonostante l’importanza di queste competenze non solo i cittadini non potranno scegliere chi li rappresenterà in questi enti (così come è accaduto già in altre 27 Province tra settembre e dicembre 2016), ma si è creato un paradosso nel paradosso. Nei comuni commissariati, infatti, i cittadini non saranno rappresentati affatto, come accadrà a Padova, tanto per fare un esempio.

LE PROVINCE IN CUI SI VOTA – Domenica si vota nelle province di Ancona, Ascoli Piceno, Belluno, Brescia, Brindisi, Chieti, Como, Foggia, Forlì-Cesena, Frosinone, Grosseto, Isernia, La Spezia, Latina, Lecce, Lecco, Livorno, Monza-Brianza, Novara, Padova, Perugia, Pesaro Urbino, Pescara, Pisa, Pistoia, Prato, Rieti, Rovigo, Salerno, Savona, Siena, Taranto, Teramo, Terni, Verbano Cusio Ossola, Verona e Vicenza. Per l’allerta meteo l’elezione per il rinnovo dei consigli provinciali di Potenza e Matera è stata rinviata a mercoledì, 11 gennaio. Sono sei, in totale, le Province che andranno al voto tra il 9 e l’11 gennaio, una il 29 gennaio. A fine mese potrà dirsi ufficialmente chiusa la tornata elettorale che nel corso dell’anno ha visto il rinnovo degli organi di 71 su 76 delle nuove Province delle Regioni a Statuto ordinario. Sempre con elezioni di secondo livello: in totale 61.127 elettori, sindaci e consiglieri comunali in rappresentanza di 5.120 comuni coinvolti, chiamati ad eleggere 842 consiglieri e 16 presidenti. Nelle Province nelle quali si è già votato l’affluenza al voto è stata molto alta, con una media che si è attestata al 78%, con picchi che hanno sfiorato il 95% degli aventi diritto.

ELEZIONI SENZA CITTADINI – In base alla riforma Delrio (Legge n.56 del 7 aprile 2014, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), gli organi delle nuove Province sono composti dal presidente di Provincia, un sindaco eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della Provincia (in carica 4 anni), dal consiglio provinciale, composto da sindaci e consiglieri comunali eletti da sindaci e consiglieri dei comuni della Provincia (in carica 2 anni) e dall’assemblea dei sindaci, che è l’organo in cui siedono tutti i sindaci dei comuni della Provincia.

LE POLEMICHE – L’esclusione dei cittadini dal voto ha creato non poche polemiche. In tantissimi comuni italiani, infatti, i rappresentanti di partiti e movimenti hanno annunciato l’astensione. A Chieti, ad esempio, dopo Fratelli d’Italia e Movimento 5 stelle, anche Sinistra Italiana ha scelto questa strada. È accaduto anche a Como dove gli ultimi ad annunciare di non partecipare alle elezioni sono stati gli esponenti del Movimento Cinque Stelle, assenti anche nella competizione elettorale di Ascoli Piceno e di altri comuni. Netta la posizione anche di Rifondazione Comunista, ad esempio in Umbria (dove si vota sia per la provincia di Perugia, sia per quella di Terni): “Non parteciperemo a questa farsa”. Rifondazione, in realtà, ha scelto di non presentarsi nella maggior parte delle Province tranne in casi particolari. Come ad esempio a Salerno, dove “si è voluta segnalare una rottura storica di molte liste civiche, soprattutto in piccoli Comuni, con il sistema di potere del governatore del Pd De Luca costruendo una lista fra consiglieri della Sinistra alternativa che aderiscono alle ‘Città in Comune’ e decine di liste civiche”.

ESCLUSI E PARADOSSI – Ma queste elezioni creeranno anche un paradosso. I Comuni commissariati non esprimeranno alcun consigliere provinciale, venendo esclusi sia dall’elettorato attivo, sia da quello passivo. Per le Province interessate dal voto, si tratta di 29 Comuni. Tra i casi più significativi quello di Padova: oltre al comune di Abano Terme, infatti, resta fuori anche lo stesso capoluogo di provincia, che conta oltre 210mila abitanti. E sempre in Veneto ci sono i casi di Cortina D’Ampezzo (Belluno) e Porto Viro (Rovigo). Un’altra situazione paradossale è quella venutasi a creare in Puglia. Sei i Comuni esclusi. Monte Sant’Angelo, Ischitella e Roseto Valfortore (Foggia), Galatina (Lecce), Palagiano e Martina Franca (Taranto). Con un assurdo: quest’ultimo Comune, che con i suoi oltre 49mila abitanti è il più popoloso della provincia (eccezion fatta per il capoluogo), non esprimerà alcun consigliere provinciale. Fuori dai giochi, inoltre, in Piemonte Brovello-Carpugnino (Verbano-Cusio-Ossola), in Lombardia Rovello Porro e Porlezza (Como), in Toscana Campo nell’Elba (Livorno) e Castellina Marittima (Pisa), nel Lazio Sabaudia, Ventotene (Latina) e Salisano (Rieti), in Campania Mercato San Severino, Castel San Giorgio, Colliano, Buonabitacolo e Magliano Vetere (Salerno), in Abruzzo Tortoreto (Teramo) e Fraine (Chieti), in Liguria Borghetto Santo Spirito (Savona), nelle Marche Offagna (Ancona) e Tavoleto (Pesaro e Urbino) e in Basilicata San Mauro Forte (Matera). Un altro paradosso riguarderà la possibilità che in alcune Province si possa arrivare a un consiglio di segno opposto al presidente. Domenica, infatti, solo per 16 Province si dovranno eleggere anche i presidenti (che durano in carica 4 anni, mentre per i consiglieri è previsto un mandato di due anni).

 

 di Luisiana Gaita per ilfattoquotidiano.it   

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