Il paradosso di Papa FrancescoChe cosa sta succedendo alla religione in generale e al cattolicesimo in particolare? Che cosa significa l’evidente diminuzione della rilevanza sociale della religione e l’altrettanto evidente revival di una religione più “personale”, più individuale, di cui tanto si parla in occidente? Siamo davvero oltre la secolarizzazione o siamo invece di fronte a una radicalizzazione della stessa? E come si colloca l’azione di Papa Francesco e della chiesa cattolica in questo scenario socio-culturale?

Queste e tante altre domande vengono sollevate nel bel libro di Luca Diotallevi, pubblicato da Rubbettino, con il titolo Il paradosso di Papa Francesco. La secolarizzazione tra boom religioso e crisi del cristianesimo.

Siamo davvero oltre la secolarizzazione o siamo invece di fronte a una radicalizzazione della stessa? Un problema occidentale

Dico subito che non si tratta di un libro semplice, ma per i temi che affronta e per la decisione con la quale l’autore prende volta a volta posizione è un libro assolutamente da leggere. Checché ne dica il titolo, non siamo di fronte a uno dei tanti saggi sul magistero del nuovo Papa venuto “dalla fine del mondo”, caratterizzati il più delle volte da una stucchevole autoreferenzialità clericale, sia quando sono apologetici che quando sono critici. Siamo piuttosto di fronte un saggio incentrato su uno dei temi più impegnativi, non soltanto per la sociologia religiosa, ma per l’intera cultura contemporanea – la secolarizzazione, appunto –, nella convinzione che soltanto il chiarimento di questo concetto possa rendere, diciamo così, meno arbitrario, più comprensivo, più riflessivo anche il giudizio sul magistero e sull’azione pastorale di Papa Francesco. Proviamo dunque a seguire la trama del discorso di Diotallevi, cercando di individuarne i fili fondamentali.

Il primo di questi fili è rappresentato dalla crisi della “teoria classica della secolarizzazione”. Detto in estrema sintesi, la diminuzione della rilevanza sociale della religione nella società contemporanea non si lascia comprendere guardando esclusivamente alla moderna individualizzazione e differenziazione, con la conseguente progressiva ritirata della religione in uno spazio sociale sempre più ristretto e confessionalizzato nei suoi dogmi e nelle sue gerarchie. La secolarizzazione, secondo Diotallevi, è certamente anche questo, ma questo non riesce a spiegare il ritorno e addirittura il boom di un tipo di religione più personale, più individuale, se si vuole, più intimistica, quale è quella assai diffusa nell’occidente contemporaneo. Se poi guardiamo al tradizionale rapporto tra religione e politica, il disfacimento della “teoria classica della secolarizzazione” è ancora più evidente. Secondo tale modello, infatti, almeno sul piano pubblico, la religione sarebbe stata pian piano sostituita dalla politica. La “laicità” francese ne è forse l’incarnazione più emblematica. Ma oggi è abbastanza evidente come in questo processo politica e religione abbiano perduto entrambe. La politica rischia infatti di diventare religione, e la religione oscilla tra il diventare un fatto puramente “privato” o la stampella confessionale del potere dello stato.

Ci vuole dunque un nuovo paradigma, “un mutamento che riguarda l’intera sociologia e non solo una sua subdisciplina (la sociologia della religione n.d.r.). L’intera sociologia fino a ieri dominante, infatti, dipende da assunti che risentono non poco di una certa idea di religione, di una certa idea di politica, del privilegio di una certa idea di ordine sociale, nonché di una certa idea di Cristianesimo”.

Ci vuole dunque un nuovo paradigma, “un mutamento che riguarda l’intera sociologia e non solo una sua subdisciplina”

Secondo Diotallevi, questo nuovo paradigma esiste ed è il paradigma della teoria sistemica di Niklas Luhmann. La ricostruzione e l’utilizzazione che Diotallevi ne fa, ecco il secondo filo della sua trama, è certamente sui generis; filologicamente presenta forse qualche elemento discutibile, ma comunque è troppo ardua per poter essere analizzata nel dettaglio in questa sede. Sta di fatto che la teoria luhmanniana della differenziazione sociale, seppure criticamente rielaborata, costituisce a suo avviso la migliore chiave d’accesso ai problemi lasciati aperti dalla teoria classica della secolarizzazione. “Vista con lenti luhmanniane, la secolarizzazione è un processo assai più antico e multiforme di quello descritto (e prescritto) dalla ‘teoria classica’. Questa intronizza la variante che dal XVI alla metà del XX secolo prevale nell’Europa continentale centro-occidentale. Per Luhmann la secolarizzazione è differenziazione (tra religione e politica e non solo), per la ‘teoria classica’ la secolarizzazione è sostituzione della religione da parte della politica, e conseguente – almeno tendenziale – sacralizzazione della politica in forma di stato… Con gli strumenti che Luhmann mette a disposizione è possibile comprendere che la modernizzazione comincia assai prima del XVI-XX secolo, che durante questo periodo mantiene anche altre forme rispetto a quello delle state centred societies, e infine che prosegue anche oltre la crisi di queste ultime”.

di Sergio Belardinelli  da ilfoglio.it