capture 079 26102019 100450La giornalista di Propaganda Live, Francesca Mannocchi, ha intervistato il presunto trafficante libico Bija, il quale però si è presentato dinnanzi all'intervistatrice con la divisa della Guardia Costiera: "Tutti sapevano che sarei venuto in Italia"Per il momento dell’intervista è stata fornita solo una breve anticipazione, pochi secondi che sono bastati però per avere nuovi spunti di riflessione sul caso Bija, il trafficante libico presente in Italia nel maggio 2017.

 

L’intervista in questione, che ha come protagonista proprio Abdou Rahman, ovvero Bija, è stata realizzata da Francesca Mannocchi per la trasmissione di La7 “Propaganda Live” ed andrà in onda questa sera.

I venti secondi di anticipazione, hanno dato spunti molto interessanti. In primo luogo, Bija è apparso con tanto di divisa addosso: il soggetto protagonista dell’intervista, risponde alle domande della giornalista italiana sfoggiando i gradi della Guardia Costiera libica.

Per capire come mai questo dettaglio non è affatto secondario, occorre per un attimo ricostruire la vicenda di Bija. Il suo nome già dal 2015 – 2016 risulta agli onori della cronaca in riferimento all’organizzazione della tratta di esseri umani dalla Libia.

Lui, nativo di Zawiya, ha iniziato a combattere contro Gheddafi nel 2011 ed in quell’occasione, oltre a prendere il nome di battaglia di Bija, si è ferito alla mano destra con menomazioni che ancora oggi lo rendono per questo motivo ben riconoscibile. Dopo la caduta del rais, è riuscito ad entrare all’interno delle Petroleum Facilities Guard (le milizie addette alla sicurezza dei campi petroliferi) grazie alla parentela con Mohamed Khushlaf. Quest’ultimo è uno dei più potenti della tribù degli Abu Hamyra, la stessa della città di Zawiya a cui appartiene Bija.

Da qui, come ha sottolineato Nancy Porsia in un reportage pubblicato anche su Panorama nel dicembre 2016, il nome di Bija poi è riemerso in più occasioni legato al traffico di esseri umani ed alle partenze di migranti dalla Libia.

Poi però, come è stato scoperto ad inizio ottobre in un reportage di Nello Scavo, giornalista di Avvenire, le sue tracce conducono in Italia: l’11 maggio 2017, Bija ha partecipato ad una riunione con funzionari italiani all’interno del Cara di Mineo. Entrato nel nostro paese con regolare visto, Abdou Raman era all’interno della delegazione libica in Italia in veste di rappresentante della Guardia Costiera del suo paese.

E qui si torna al dettaglio accennato ad inizio articolo: per provare a togliere ogni imbarazzo, fonti del governo libico di Fayez Al Sarraj hanno dichiarato nelle scorse settimane che Bija non era più in servizio. Ed invece, il soggetto protagonista di questa vicenda si è presentato dinnanzi all’intervistatrice di La7 in divisa.

Lui stesso ha voluto ribadire di lavorare, come del resto ha fatto in occasione di un’intervista rilasciata allo stesso Nello Scavo, per il suo paese e che tutto il resto rappresenta invece solo un insieme di bugie.

Nei secondi di anteprima dell’intervista poi, si nota come Bija provi a smentire la versione fornita dal governo italiano appena pochi giorni fa. Rispondendo ad un’interrogazione in commissione affari costituzionali, il sottosegretario all’interno Achille Variati ha affermato che la concessione del visto da parte delle autorità italiane è avvenuta per via di false generalità fornite dallo stesso Bija.

“Sono partito con visto regolare – ha dichiarato Bija all’intervistatrice di Propaganda Live – Ho fatto l’intervista all’ambasciata italiana, presso l’ufficio di rappresentanza alla torre di Tripoli, dodicesimo piano, sono andato ed ho fatto la richiesta del visto, mi hanno fotografato e tutti sapevano che Abdou Rahman sarebbe andato in Italia”.

Altri dettagli dunque, altre incongruenze per una storia che, alla vigilia della scadenza il prossimo 2 novembre dell’accordo tra Italia e Libia, valevole soprattutto ai fini della collaborazione con la Guardia Costiera libica, ha creato imbarazzi in entrambe le sponde del Mediterraneo. Ed al momento, tra le altre cose, ha prodotto anche la messa sotto tutela del giornalista Nello Scavo, il quale ha ricevuto minacce per via del suo reportage.

di per www.ilgiornale.it