tassisti a Roma LapresseScalfire monopoli, rendite di posizione, vantaggi acquisiti non è mai facile. Ma illudersi di vincere la sfida del progresso sgonfiando le gomme altrui o riportando indietro le lancette dell’orologio è insana utopia. Ma è ciò che sta accadendo in Italia con la sharing economy, cioè tutto quel mondo basato sulla filosofia dell’utilizzare e condividere piuttosto che possedere, esploso grazie al web e alle nuove tecnologie: da Uber, a Flixbus, passando per Airbnb o Gnammo.com, fioccano norme che che con l’intenzione di regolare, spesso, finiscono per soffocare. 
Il tutto mentre i liberalizzatori dormono e la legge sulla concorrenza prende polvere in Parlamento da 22 mesi. Una legge che ha perso pezzi lungo il percorso e che dovrebbe ripartire la prossima settimana. Sarebbe ora. Purtroppo però non darà quella svolta invocata più volte dall’Antitrust e dalle istituzioni internazionali. In soldoni, stima l’Ocse, liberalizzare i settori strategici farebbe crescere il Pil del 2,6% in cinque anni. Gli assalti delle lobby hanno imposto retromarce, annacquamenti e rinvii di vario genere. Basti pensare alle farmacie, dove la liberalizzazione dei farmaci di fascia C è fallita con tanto di spaccatura tra i ministri. O ai notai, dove il governo è riuscito a fare qualcosa su piante organiche e sedi ma ha dovuto ripiegare sull’apertura di alcuni servizi agli avvocati. Fallito miseramente il tentativo di regolare la durata delle concessioni dei servizi aeroportuali e autostradali, così come la riforma del trasporto pubblico locale. Qualcosa in più si è fatto in tema di energia elettrica e gas, ma le offerte libere non sono mai decollate e, dal 2018, il mercato tutelato finirà per legge.

Nel 2016, secondo l’Indice delle liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni, l’economia italiana ha ottenuto un punteggio di 70 su 100, collocandosi al sesto posto in Europa, molto distante da Gran Bretagna e Spagna che sono al top della classifica. Fanno eccezione le telecomunicazioni con 94 punti su 100. Fatto sta che – ce lo ha ricordato ieri l’Ue – «fare impresa in Italia è nettamente più difficile che nelle altre grandi economie europee e, negli ultimi anni, i progressi sono stati modesti». 

Simbolo delle liberalizzazioni mai nate, i taxi sono tornati sotto i riflettori in questi giorni, con scioperi e scontri che hanno portato il ministro delle Infrastrutture Delrio ad annunciare un decreto per regolare il settore del Noleggio con conducente. I famigerati Ncc, nemico numero uno dei tassisti dopo la chiusura della piattaforma UberPop per via giudiziaria, l’applicazione che consente a tutti di fare i tassisti. Ora le maglie del regolatore si stringono attorno a Flixbus, la startup tedesca che sta rivoluzionando il modo di viaggiare in autobus in Europa e ha già oltre 60 milioni di passeggeri: non possiede i mezzi, ma gestisce il servizio grazie a una app, consentendo risparmi notevoli. Benissimo, direte voi. Eh no! Nel decreto Milleproproghe spunta una norma che, imponendo di avere come attività principale il trasporto passeggeri su strada per l’autorizzazione sulle tratte interregionali, taglia fuori le piattaforme digitali.

E una stretta è in arrivo anche sull’home restaurant, una legge già approvata alla Camera introduce una serie di adempimenti e il limite dei 5mila euro sui proventi ai cuochi fai da te nelle mura di casa. Blitz fallito, invece, per la norma anti Airbnb che aveva fatto capolino nella manovra 2016, cassata per volere di Renzi. 
Intanto, la sharing economy continua a produrre servizi innovativi. Il giro d’affari in Italia, secondo l’università di Pavia, è destinato a lievitare dai 3,5 miliardi del 2015 a oltre 25 miliardi in pochi anni. Anziché cristallizzare le norme al Paleolitico o lasciare il far west, bisognerebbe tracciare i binari per sfruttare le nuove opportunità di business. Al consumatore la scelta del servizio migliore.

 

Articolo di ALESSIA GOZZI per quotidiano.net

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