province castaMatteo Renzi non è riuscito nell’impresa di spazzarle via definitivamente e ora ce le terremo a lungo. Con esborsi a carico dei contribuenti sempre più alti. Solo nel 2015 ci sono costate ben 1,7 miliardi di euro in più. Stiamo parlando delle province: simbolo made in Italy dello spreco di denaro pubblico, ora sono diventate immortali.

E lo sono diventate, come spiega la Corte dei conti in un documento di pochissimi giorni fa, proprio per il clamoroso flop del referendum costituzionale del 4 dicembre. Anche se pasticciata, la riforma del 2014 - quella che aveva cercato di dare una prima, goffa spallata agli enti territoriali - ora è in qualche modo rafforzata dal «no» degli elettori alla revisione della Costituzione.

Quel «no», secondo i magistrati contabili, ha di fatto reso le province immortali. L’esito del voto del 4 dicembre «ha avuto l’effetto di cristallizzare la riforma ordinamentale». Si tratta, nel dettaglio, della legge 56 approvata nel 2014, a pochi mesi dall’insediamento di Renzi a palazzo Chigi. L’ex premier affidò all’allora sottosegretario Graziano Delrio il compito di avviare la cancellazione degli enti. Il risultato fu una riforma a metà (e decisamente mal scritta) che si sarebbe dovuta completare solo con la revisione della Costituzione. Saltata quella, resta la legge 56. Che, scrive la Corte dei conti, «esprime» comunque «un nuovo assetto delle province e del livello istituzionale di area vasta che è da ritenere stabile anche in funzione del rispetto del principio di continuità delle funzioni amministrative e, in quanto tale, opera, oggettivamente, in una prospettiva duratura». Il concetto è chiaro: l’attuale architettura della macchina amministrativa italiana è stabile e duratura. Lo stesso concetto ribadito dai diretti interessati, ovvero i presidenti di provincia, in una comunicazione ufficiale al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Al quale, poco dopo la sconfitta referendaria di Renzi, è stato puntualizzato che le province sono «incardinate nella struttura costituzionale». Tanto per ancorarsi meglio nel porto del Quirinale.

Archiviato l’aspetto istituzionale, passiamo ai quattrini. Quelli che cittadini e imprese saranno costretti a sborsare per mantenerle, le province. I dati incrociati dalla Corte, che giovedì ha consegnato un dettagliato dossier in Parlamento, rivelano un allarmante ritorno alla crescita: per il 2015, primo anno di applicazione della riforma Delrio, viene registrata una «brusca inversione di tendenza rispetto alla progressiva contrazione registrata negli esercizi precedenti». Un paradosso: le amministrazioni provinciali costavano meno prima che fossero svuotate di competenze. Nel 2014, le uscite complessive sono state pari a 6,7 miliardi, cifra salita a 8,4 miliardi l’anno successivo. L’incremento è enorme: 1,7 miliardi in più (+26%). Un aumento spaventoso che ha interessato tanto le spese correnti (salite di oltre 1,3 miliardi da 5,9 miliardi a 7,3 miliardi) quanto le uscite per investimenti (aumentate di 372 milioni da 769 milioni a 1,2 miliardi). Il tutto a fronte di incassi di bilancio (ovvero tasse) che restano intatti: poco più di 2 miliardi sia nel 2014 sia nel 2015 tra imposte ordinarie e tributi speciali.

E dire che la fotografia della Corte è parziale, visto che riguarda «solo» 71 enti su oltre 100. 

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dall'articolo di  Francesco De Dominicis  per liberoquotidiano.it 

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