Fratelli coltelli. L'uscita di Alessandro Di Battista su Gianluigi Paragone ha diviso, forse per sempre, la sua strada da quella di Luigi Di Maio. E pare, scrive il Corriere della Sera, che il capo non abbia alcuna intenzione di ricandidare l'amico quando verrà la fine della legislatura, sebbene Dibba abbia alle spalle una sola legislatura.  L'anno pericoloso del Movimento 5 Stelle li ha visti riavvicinarsi strategicamente prima delle elezioni europee dello scorso giugno, poi il pasionario è letteralmente sparito, accantonato dal dibattito politico dai vertici 5 Stelle perché giudicato pericoloso se non controproducente in campagna elettorale. Poi il cambio di governo, con il passaggio dalla Lega al Pd come alleato che Dibba non ha mai digerito. Il suo clamoroso appoggio pubblico a Paragone, appena espulso, viene considerato dai parlamentari vicini a Di Maio come il punto di non ritorno: "Alessandro ha evocato la scissione e di fatto si è messo fuori, segno che punta a far saltare il governo - è lo sfogo raccolto dal Corsera -. Vuole far male al Movimento".

Per ora il ministro degli Esteri non ha risposto, ma non per amicizia o affetto: semplicemente, gli conviene ignorarlo perché sa che la posizione di Di Battista è più popolare e condivisa dalla base grillina rispetto alla sua. Ora l'ex deputato partirà per qualche settimana in Iran (e sull'uccisione di Soleimani ha già creato un grattacapo diplomatico alla Farnesina) ma coi suoi amici giura: "Io non abbozzo, anche da fuori continuerò a farmi sentire e a criticare, quando serve". Le stesse critiche al raid di Trump, secondo i dimaiani di ferro, nascondono un'altra verità molto prosaica: "Voleva andarci lui alla Farnesina. Ora scalpita, morde il freno e spera di tornare in gioco logorando il Movimento e il governo". Anche per questo, dicono, conviene tenerlo fuori. 

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