capture 443 24022020 105725Lo aspettavamo da giorni: ecco il programma delle sardine. Ma sono solo sei banalità. E le "pretendono" pure 

Le attendevamo impazienti, queste benedette proposte politiche delle sardine. Le abbiamo viste scendere in piazza, riempire programmi televisivi, occupare prime pagine dei giornali. Sono un bel colpo d’occhio, ma dopo una decina di flash mob al grido “Bella Ciao” e “abbasso la Lega” qualcuno aveva iniziato a chiedersi: sì, tutto bello, ma nel concreto cosa vogliono queste sardine? Qual è il loro progetto politico? Cosa immaginano per l’Italia di domani?

 

Qualche giorno fa Mattia Santori in tv promise: “Per il programma del nostro movimento aspettiamo la manifestazione di Roma". Quel giorno è arrivato, Piazza San Giovanni era piena (100mila secondo gli organizzatori, 35mila per la questura) e tutti in trepidazione attendevano finalmente di scoprire il vero segreto delle sardine. Il programma in grado di dare nuovo slancio alla politica, la via da seguire per strappare l’Italia agli odiati populisti. Santori aveva in mano un foglietto, ci aspettavamo un discorso degno di nota. In fondo tutti i referenti locali (il contatore è arrivato a 113 piazze sparse in tutta Italia) hanno avuto un mese per redigere i punti programmatici. Un mese. E cos’hanno prodotto? Nulla, o quasi. Un topolino, più che un pesce. Un elenco di sei banalità sostanzialmente inutili per il Paese. L’unico sussulto riguarda il Decreto Sicurezza (e te pareva), l’odiosissima legge voluta da quel Matteo Salvini che è - alla fine - il vero ispiratore delle sardine. A Bologna sono nate contro il leghista e a Roma si sono riconfermate in grado soltanto di opporsi al Carroccio. Senza proporre granché.

Entriamo nel dettaglio. Il primo punto: “Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece di fare campagna elettorale permanente”. Applausi. Secondo: “Pretendiamo che chiunque ricopre la carica di ministro, comunichi solo attraverso i canali istituzionali”. Ovazione. Terzo: “Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network, sia economica che comunicativa”. Acclamazione. Quarto: “Pretendiamo che il mondo dell’informazione protegga, difenda e si avvicini alla verità e traduca tutto questo sforzo in messaggi fedeli ai fatti”. Standing ovation. Quinto: “Pretendiamo che la violenza venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica in ogni sua forma. E che la violenza verbale venga equiparata alla violenza fisica”. Evviva. Sesto: “Chiediamo di rivedere (dalla piazza gridano “abrogare”) il Decreto Sicurezza, c’è bisogno di leggi che non mettano al centro la paura ma il desiderio costruire una società inclusiva e che vedano la diversità come ricchezza non come minaccia”. Amen.

Vista la profondità di pensiero, mi immagino già lo sforzo per arrivare a sei. Dunque chiedere di scriverne dieci forse sarebbe stato un po’ troppo. Ma quel che sorprende è l’assenza di sostanza politica, sociale, economica. Abbassiamo le tasse o le alziamo? Firmiamo il Mes oppure no? Liberismo o statalismo? Mistero. L'unica cosa certa (in fondo sul palco sono salite pure le Ong) è che desiderano i porti aperti. Ci pare un po' poco.

Quel che invece preoccupa sono i toni. Lo avevamo detto alla pubblicazione del manifesto: quando le senti parlare, le sardine puzzano di dittatura sinistra. I populisti - dicono - non hanno diritto di essere ascoltati, loro invece “pretendono”. Non l’avete notato? Cinque delle sei proposte enunciate a Roma iniziano con quella parola. “Pretendo, pretendo, pretendo”. Come se tutto fosse loro dovuto. Invece, in democrazia un programma si propone agli elettori, ci si candida e - una volta al potere - si cerca di applicarlo. Non si pretende alcunché. L’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino dei Re sardina.

di per www.ilgiornale.it