capture 470 25022020 165133Ah, l' Unione Europea. Volenti o nolenti, da dieci anni i destini della politica italiana passano da Bruxelles. Berlusconi cadde dopo le risatine di Merkel e Sarkozy e fu sostituito dal più europeista e filotedesco dei premier, il mai votato Monti. Durante la scorsa legislatura si sono avvicendati tre presidenti del Consiglio che hanno fatto a gara per ingraziarsi l' Europa, vuoi per ottenere il via libera ad allargare i cordoni della borsa per manovre volte al consenso, come Renzi, vuoi per trarre una legittimazione che le urne non gli avevano consegnato, come Letta. L' ultimo, Gentiloni, in Europa ci è addirittura finito, come commissario. A che cosa? Forse non lo ricorda neppure lui. Tanto per semplificare, possiamo dire che è commissario allo Ya al suo vicecapo, al quale è sottomesso, il lettone Dombrowskis, fedelissimo della Von der Leyen, e quindi della Merkel.
Anche dopo il voto del 2018 e il successo delle forze sovraniste e anti-Unione, Bruxelles è stata decisiva per i giochi italiani.

 

Il pio Conte, il premier senza elettori, per non farsi schiacciare da Salvini ha cercato l' appoggio della cancelliera tedesca ancora prima di quello del Vaticano, che è ora il suo principale sostegno. E proprio in Europa si è rotta l' alleanza tra M5S e Lega, quando i grillini decisero a sorpresa di votare l' attuale Commissione, a guida tedesca, mettendo in minoranza i sovranisti. Salvini sentì puzza di bruciato e partì la crisi. Anche ora, che la maggioranza giallorossa si sta sfarinando, la Ue torna protagonista. L' assurdo è che oggi l' Italia continua a essere a quattro zampe rispetto all' Europa benché la Ue sia a sua volta in ginocchio, per la sua nuova, drammatica debolezza. «Diceva Nietzsche che l' Europa senza l' Inghilterra non esiste. Oggi è ancora più vero, in un mondo che vede il confronto tra due superpotenze, gli Usa e la Cina, che verrà pure rallentata dal coronavirus, ma resterà un gigante globale.

Mentre l' Europa, senza i mari e ridotta alla sua dimensione continentale dopo la Brexit, ha sempre meno futuro». L' analisi geopolitica dello Stato dell' Unione è di Giulio Tremonti, che a lungo è stato una delle autorità economiche dell' Ue.
Europeista ed euroscettico, sui generis, di centrodestra, in grado di comprendere le ragioni dei sovranisti e lucido analista dei difetti di Bruxelles, il professore ha una chiave inglese nel cappello per risolvere definitivamente le difficoltà salviniane e meloniane con l' Unione. «Bisogna porsi in modo costruttivo, responsabile e non terrorizzante se si vuole essere ascoltati. Io faccio un discorso progressivo e positivo: la soluzione per restare in Europa e cambiare però le regole d' ingaggio che non ci stanno bene c' è; e non ci possono dire di no», suggerisce l' ex ministro.

Cos' ha in testa, professore?
«Un momento, prima della terapia completiamo la diagnosi. Vedo un altro punto di criticità nell' Unione, oltre al rischio di irrilevanza geopolitica».

I conti, visto che l' ultima notizia è che gli Stati membri non hanno trovato l' accordo sul nuovo bilancio Ue dopo la Brexit?
«Il problema sono i tassi a zero. Nel 2012 l' azzeramento del costo del denaro è stato un pronto intervento utile per frenare la crisi, ma oggi sono diventati una lunga degenza e la cura, fatta in questo modo, è diventata peggiore del male che doveva curare. L' asse del potere europeo negli ultimi anni si è spostato dai governi nazionali e dalla commissione Ue verso la Banca Centrale Europea e questa a sua volta ha firmato una cambiale suicida a favore del mercato finanziario internazionale, dominato a sua volta in automatico da robot e algoritmi. In questo modo l' Unione va verso un rischio fatale. Con i tassi zero i fondi pensione le assicurazioni tedesche e delle altre nazioni non potranno più finanziare lo Stato sociale. E per contro, ahimè, non è stato trovato ancora l' algoritmo che permette di riportare i tassi a norma senza generare una devastante crisi finanziaria».

D' accordo professore, vede un' Europa che ha perso potere politico ed economico, ma qual è la terapia che suggerisce e che vorrebbe che i sovranisti italiani trattassero con l' Europa?
«Mi lasci fare un' ultima premessa: tutto quello che sto per dire non è contro l' Europa ma a favore dell' Europa, certo un' istituzione diversa da quella che vediamo scivolare fuori dalla geopolitca del mondo e fuori dal cuore e dalla mente dei cittadini».

Com' è potuto accadere questo tramonto?
«Si è rovesciata la piramide politica e istituzionale dell' Unione a causa della globalizzazione e per bulimia di potere. Quando la Ue nacque, ai tempi del Trattato di Roma, essa era la punta della piramide e si occupava solo dell' essenziale.
Oggi gli Stati sono sovrastati da una struttura istituzionale che sorregge un corpo politico che soffoca le nazioni con regole superflue, come mero esercizio di potere».

Perciò ha ragione chi scappa, come il Regno Unito?
«La Ue produce dieci chilometri lineari di regole l' anno. Legifera perfino sulla circolazione delle salamandre. L' Inghilterra se ne è andata perché si sentiva soffocata, tant' è che per prima cosa, dopo la Brexit, si è liberata di ventimila leggi europee. Quando fu deciso il referendum a Londra, a Bruxelles dibattevano dell' altezza dei tacchi delle parrucchiere e scrivevano 127 pagine per disciplinare gli sciacquoni dei water. Questi eccessi spiazzano l' economia europea e le rendono difficile muoversi efficacemente nella competizione globale, oltre ad alienare la Ue agli occhi dei cittadini, perché si sentono violati nei loro stili di vita, un po' come i tedeschi della Ddr nel film "Le vite degli altri". Si è realizzato quel che Adenauer aveva profetizzato e mai avrebbe voluto: la foresta è diventata così fitta da impedire di vedere l' albero».

Va bene, ma come se ne viene fuori?
«Ricercare un equilibro che rimedi allo squilibrio attuale e tornare ai tempi in cui i popoli si fidavano delle élite che li guidavano perché esse erano illuminate e li comprendevano è possibile. Basta usare la chiave inglese».

Cioè andarsene, come hanno fatto gli inglesi?
«Prima del referendum sulla Brexit il governo inglese trattò con la Commissione Europea una ragionata e drastica riduzione della burocrazia e del campo normativo.
Nella trattativa con Londra l' Unione ha ammesso il principio secondo cui un Paese che concorda una riduzione del carico regole europee non contrasta con la lettera e i principi dei trattati. Quello che andava bene allora per loro perché non può andare bene ora per noi?».

Ma gli inglesi sono inglesi, a noi chi ci ascolta?
«Bisogna di far capire che il passo indietro è nell' interesse non solo di uno Stato, nella fattispecie l' Italia, dell' Europa stessa, che non può continuare con ventimila regole. I romani dicevano "plurimae leges, corruptissima respublica", noi diciamo "plurimae leges, bloccatissima Europa". La riduzione del carico di regole è coerente anche con i principi degli europeisti più ortodossi: essi hanno elaborato il criterio di cooperazioni rafforzate tra Stati, e quindi volontariamente differenziale. Ma come si può stringere il laccio, così simmetricamente si può allargarlo».

Pensa che i nostri sovranisti siano in grado di portare avanti questo discorso?
«La tecnica politica è identificare un catalogo di norme che si vogliono ritirare o ridurre di cui non si condivide più il campo di applicazione, per esempio la direttiva Bolkenstein - cosa c' entra il divino mercato su 200 metri di spiaggia in Calabria? - e sedersi a trattare. L' Unione è forte con i deboli, ma debole con i forti».

Pensa anche a un' uscita dalla moneta unica?
«La chiave inglese è per rimontare il meccanismo, quella dell' euro è questione diversa. L' euro doveva federare i portafogli per federare i cuori. Non è andata così, ma chi vuol uscire dall' euro deve sostituirlo con un' altra divisa e la moneta è una questione fiduciaria, visto che non ha più base nell' oro. Bisogna indicare i nomi di chi firma le banconote e le classi dirigenti che le garantiscono. Mi sembra alquanto complesso, non è solo un problema di sostenibilità del debito in termini di interessi e speculazione».

Mi perdoni, ancora non capisco perché dovrebbero starci a sentire?
«Perché all' Europa conviene. Ora la Ue fa quel che non dovrebbe fare, non solo produce un' infinita quantità di regole, ma lancia anche il Mes, lo strumento per fregarci un' altra volta e prendere i soldi italiani come fecero in favore delle banche francesi e tedesche grazie alla troika. Allora la Bce, l' Fmi e la Commissione devastarono la Grecia e per salvare gli istituti dei grandi Paesi tradirono lo spirito dell' Europa, che è la solidarietà. Così facendo però ha perso il contatto con i popoli, che chiedono sicurezza e difesa anziché regole economiche».

Professore, ma continueranno così
«No, perché la chiave inglese è un' idea che sta nello spirito del tempo. La crisi della globalizzazione, inseguita in modo fanatico negli ultimi trent' anni dai nostri illuminati, alcuni dei quali parlavano bolognese, è già stata evidente una prima volta con la crisi finanziaria del 2008, poi diventata economica, sociale e infine politica, e oggi ritorna lampante con la pandemia cinese, l' imprevisto che fa inceppare il meccanismo del divino mercato unico. La rapidissima propagazione planetaria del coronavirus è l' incidente della globalizzazione, e non è il solo».

La globalizzazione non è un processo a cui ci si può opporre con successo
«Il corso della storia non poteva essere fermato, ma il suo sviluppo poteva essere gestito in tempi più lunghi e saggi. La globalizzazione non andava accelerata, invece l' Unione ci si è buttata a capofitto, accelerando tutti i processi e realizzando una rivoluzione economica e sociale in un decennio, senza preoccuparsi di attutirne i contraccolpi. Non ha fatto la quarantena, per usare un' espressione in voga in questi giorni. Questo è stato il grande errore, politico ed economico.

Era evidente che, oltre al bene, essa avrebbe prodotto il male».

Perché i popoli hanno cercato aiuto conto il lato oscuro dei sovranismi nel centrodestra e non nella sinistra?
«La sinistra in tutti questi anni si è iscritta al partito delle élite. È ancora sotto choc, annichilita si rifugia nel conformismo. Mi ricorda quei nobili che, dopo la rivoluzione francese, ricordavano tutto ma non avevano capito nulla. La crisi ha mandato in fuorigioco la sinistra e il suo gioco a demonizzare il sovranismo è perdente».

Quello sovranista è vincente?
«Sta emergendo l' idea di patria, per reazione alla forza standardizzante delle armate napolenoiche che bruciano la storia e erigono gli alberi della libertà. Un poeta di allora, Holderlin, diceva "non si crede più a nulla, ogni giorno è una festa continua". Le crisi segnano la fine della festa permanente e ci riportano ai valori della patria. L' errore è pensare che ci sia opposizione tra il sentimento di patria e l' idea dell' Europa, ma basta leggere Leopardi e ricordare Adenauer per capire che non è così».

Professore, è ottimista?
«Bisogna partire dalla politica per ricostruire. Tocca al centrodestra la mossa: deve articolare i temi della nuova Europa, senza minacciare rotture che provocano reazioni di chiusura, ma elaborando nuovi progetti di sviluppo, anche istituzionale e normativo».

di Pietro Senaldi per www.liberoquotidiano.it