shell oil platform.1910x1000Scoperto da un quotidiano olandese, Climate of Concern è un film del 1991 con cui la Shell lanciava l’allarme sui cambiamenti climatici. Il clima cambia “a un ritmo più veloce di quanto sia mai avvenuto in qualsiasi altro momento dopo la fine delle glaciazioni… cambia troppo in fretta perché la vita riesca ad adattarsi senza gravi sconvolgimenti”. Questo è l’avvertimento sui cambiamenti climatici contenuto nel film Climate of concern con cui già nel 1991 Shell prevedeva di informare l’opinione pubblica, in particolare i giovani nelle scuole e nelle università, su come il clima del Pianeta stava cambiando a causa delle grandi quantità di CO2 disperse nell’atmosfera a causa dei combustibili fossili utilizzati nella produzione industriale e nei trasporti. (segue video)

Un primo passo a cui Shell si è poi ben guardata di dar seguito, abbandonando l’idea di diffondere pubblicamente il documentario. Ora un’agenzia giornalistica indipendente olandese, The Correspondent, ha rintracciato il film. Ulteriori indagini sono poi state condotte da Damian Caiington, giornalista del Guardian.“È sorprendente che sia [un film] di 25 anni fa. Incredibile” ha detto Tom Wigley, un professore che era a capo della Climate Research Unit dell’University of East Anglia quando ha aiutato la Shell a realizzare il filmato. “[Era stato fatto un documentario] abbastanza completo su ciò che potrebbe accadere, quali sono le conseguenze e che cosa possiamo fare a questo proposito” ha aggiunto. Lo stesso Wigley ha ammesso che le previsioni riguardanti l’innalzamento delle temperature e del livello del mare presentate nel film sono abbastanza buone e in linea con le conoscenze oggi a disposizione.Con una chiarezza cristallina, il film metteva in luce come la temperatura del Pianeta si stesse alzando e le gravi conseguenze che questo avrebbe potuto comportare: isole tropicali cancellate dall’innalzamento del livello dei mari, pianure costiere che avrebbero dovuto affrontare l’inquinamento delle falde acquifere da cui dipendono attività agricole e tante città. Il tutto veniva accompagnato da immagini inquietanti che ritraevano persone colpite da carestie e calamità naturali. Le stesse criticità, con le stesse immagini, che vediamo oggi. “In un mondo soggetto alle trasformazioni del clima, chi si prenderà cura dei rifugiati causati dal cambiamento climatico?” chiede allo spettatore il narratore nel film. Ed è esattamente la domanda che i governi e le nostre comunità si pongono oggi.Alla Shell erano noti i rischi del cambiamento climatico ancora prima del 1991. Vi è traccia di rapporto “riservato” datato 1986 che dimostra che la società era a conoscenza di quanto la scienza del clima cominciava a dare evidenza, l’effetto serra. Nel report del 1986 la Shell scriveva che i cambiamenti climatici erano un problema che solo “in ultima analisi, solo i governi possono possono affrontare”. Ma il documento rivela, dopo tre decenni, che l’industria energetica “ha fortissimi interessi in gioco e molte capacità per poter contribuire”.La Shell non è l’unica che sapeva e ha taciuto. Molte altre compagnie petrolifere hanno nascosto il problema, come testimonia il The Climate Deception dossier del 2015. Shell aveva consapevolezza della possibilità di cambiamenti “veloci e drammatici che avrebbero avuto un impatto sull’ambiente umano, il tenore di vita futuro e le scorte di cibo, con importanti conseguenze sociali, economiche e politiche”. Secondo quanto riporta il Los Angeles Times, la compagnia petrolifera già nel 1989 aveva preso in considerazione quali sarebbero potuti essere gli effetti dei cambiamenti climatici nella costruzione di una sua piattaforma petrolifera, ma nello stesso anno, partecipava alla costituzione del Global Climate Coalition, un gruppo lobbistico internazionale che si opponeva alla riduzione delle emissioni di gas serra e ostacolava gli studi scientifici sul cambiamento climatico. La compagnia petrolifera anglo-olandese se ne andrà nel 1998 citando differenze “inconciliabili”, ma la società è ancora presente nel Business Roundtable e nell’American Petroleum Institute con cui le compagnie petrolifere hanno cercato di ostacolare in tutti i modi il Clean Power Plan di Barack Obama. Non contenta la Shell ha fatto pressioni per far ridurre i target europei di sviluppo delle fonti rinnovabili e nel 2016 ha lanciato la divisione New Energies, un’operazione di greenwashing di scarso successo, visto che ha destinato un investimento pari all’1 per cento dei 30 milioni di dollari che invece mette nel settore oil and gas.


di Cecilia Bergamasco per Lifegate.it 

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